Le audizioni sul Piano Strutturale di bilancio
Bankitalia: investimenti e riforme per limitare i rischi al ribasso della crescita (nel 2024 +0,8%)
E’ il richiamo arrivato, nel corso della giornata di audizioni parlamentari sul Piano strategico di bilancio, dalla Banca centrale che ha comunque raccomandato attenzione a non deviare dalla traiettoria della spesa individuata dal Psb. La Corte dei Conti parla di scelte difficili nell’allocazione delle risorse. Il Cnel sollecita interventi e riforme per stimolare la spesa privata dopo il 2026. L’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) parla di piano impegnativo. Forte è la sollecitazione ad accelerare su riforme e investimenti. E forte è l’allarme degli enti locali per possibili nuove strette sulla spesa.
IN SINTESI
Un piano che presenta dei rischi nella sua attuazione ma dalla cui traiettoria non bisogna derogare; un piano che richiederà anche scelte difficili sul versante dell’allocazione delle risorse; un piano carente sull’indicazione di spese e coperture e generico sulle riforme da mettere in campo. Il tutto in un quadro macroecomico all’insegna di una forte incertezza. Sono alcuni dei principali messaggi che arrivano dalla lunga giornata di audizioni sul nuovo Piano strutturale di bilancio di medio termine: davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, sono intervenuti la Banca d’Italia, il Cnel, la Corte dei Conti, l’Istat e l’Ufficio Parlmentare di Bilacio e, per gli enti locali, Anci, Upi e Conferenza delle Regioni.
La Banca d’Italia: la discesa del debito pubblico è una priorità, non derogare dai tetti di spesa a meno di eventi eccezionali
Il programma che fissa le principali direttrici della politica di bilancio italiano nel nuovo Piano Strutturale di Bilancio di medio termine “non è esente da rischi” ma va portato avanti, tenendo ben chiaro che “a meno di eventi eccezionali, non si potrà derogare dai tetti stabiliti di spesa inclusi nel piano”: “assicurare che l’incidenza del debito pubblico si collochi stabilmente su una traiettoria discendente è un obiettivo prioritario per l’Italia a prescindere dai vincoli europei”. E’ il richiamo arrivato dalla Banca d’Italia che sottolinea come “potersi basare su un quadro di regole stabile e orientato al medio termine conferisce credibilità alle strategie di politica economica e àncora le aspettative di famiglie, imprese e operatori finanziari”. Un richiamo che sollecita, dunque, “un approccio prudente nella gestione della finanza pubblica” che deve coniugarsi “con una forte azione riformatrice e di investimenti, in modo da innalzare il potenziale di crescita”. Ci sono, avverte l’istituto centrale, dei rischi nell’attuazione del Piano: “in primo luogo, per finanziare parte della nuova manovra il Piano sfrutta il margine determinato dalle maggiori entrate ora attese per il 2024, con l’assunzione implicita che esse siano interamente permanenti”, ha spiegato Sergio Nicoletti Altimari. “Inoltre, come evidenziato dal Governo stesso, sarebbe sufficiente uno scenario macroeconomico lievemente meno favorevole. Ad esempio, basterebbe un aumento imprevisto di 100 punti base dei rendimenti sui titoli di Stato di nuova emissione per rendere più arduo conseguire l’obiettivo del Governo di riportare nel 2026 l’indebitamento netto al di sotto del 3 per cento del Pil”, ha aggiunto Altimari.
I conti in corso d’anno, come ha rilevato il rappresentante di Bankitalia, mostrano un andamento incoraggiante. Nelle stime del Piano l’indebitamento netto sul PIL nel 2024 si ridurrebbe sia rispetto al 2023 sia rispetto a quanto stimato nel DEF di aprile. Il saldo primario sarebbe nuovamente in avanzo, seppur minimo, per la prima volta dal 2019. Più in generale, l’intero profilo dell’indebitamento netto per gli anni 2024-27 a legislazione vigente risulta più favorevole di quanto stimato in primavera. Rispetto agli andamenti tendenziali dei conti, il governo programma misure espansive – accrescendo il disavanzo di circa 0,4 punti percentuali del PIL nel 2025, 0,7 nel 2026 e di 1,1 nel 2027 – rispettando al contempo il tasso medio di crescita della spesa netta indicato nella traiettoria di riferimento proposta dalla Commissione a giugno. Nel quadro programmatico, i provvedimenti che verranno inclusi nella manovra di bilancio, tra cui la stabilizzazione della riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti con determinati livelli retributivi, nonché gli interventi a sostegno delle famiglie più numerose, dispiegheranno i loro effetti principalmente nel 2025, innalzando la crescita del PIL all’1,2 per cento. Per Bankitalia, tali effetti attesi sono in linea di principio raggiungibili, “ma una valutazione più compiuta richiede informazioni, non ancora disponibili, sulle risorse stanziate per ciascuna misura e sulle modalità di attuazione”.
Crescita sotto l’1% nel 2024: gli scenari di Bankitalia e Upb
Ma, ha sottolineato Bankitalia, lo scenario programmatico del Governo risulta, tuttavia, “più favorevole delle nostre più recenti valutazioni, che segnalano possibili rischi al ribasso”. “Nel quadro previsivo a legislazione vigente del Psb il Pil cresce dell’1,0 per cento quest’anno, dello 0,9 per cento nel prossimo e dell’1,1 per cento nel 2026. La revisione dei conti economici trimestrali pubblicata venerdì scorso dall’Istat, non inclusa nel quadro, comporterebbe una correzione meccanica al ribasso di due decimi di punto percentuale della stima per l’anno in corso”. Quindi, +0.8% E, ha riaffermato Bankitalia, “la capacità della nostra economia di contrastare l’eventuale materializzarsi di questi e altri rischi dipenderà anche dalla attuazione piena ed efficace degli investimenti e delle riforme del PNRR”. Anche per l’Upb, dopo la revisione operata dall’Istat, l’obiettivo di crescita dell’1% fissato dal Def “diventa più incerto, aumentano i rischi. Possiamo aspettarci qualche decimo di punto in meno, un paio di punti decimali, mentre resta pienamente valida la stima del Pil nominale”, ha indicato la presdiente di Upb. Lilia Cavallari.
Soffermandosi, poi, sugli obiettivi di spesa, per l’Upb, “il percorso programmatico della spesa netta prevede una crescita dell’1,3% nel 2025, che aumenta nel biennio successivo fino all’1,9% nel 2027 e si riduce di nuovo nel biennio finale di programmazione arrivando all’1,5% nel 2029”: si tratta di un percorso in linea con la traiettoria di riferimento della spesa inviata alla Commissione Ue che “implica un aggiustamento di bilancio impegnativo e prolungato nel tempo che assicurerebbe una riduzione plausibile del debito in rapporto al Pil nel medio periodo, preservando al tempo stesso gli investimenti pubblici”.
Nell’audizione in Parlamento l’Istat ha spiegato che l’Italia è tornata ad una crescita da ‘zerovirgola’. “Siamo tornati a una fase di stato stazionario o ‘steady state’ con tassi di crescita abbastanza contenuti che stentano a dimostrare la situazione di un’economia che si sviluppa in forma consistente”, ha detto il direttore per la contabilità dell’Istat, Giovanni Savio, spiegando come “si sono spente” alcune “spinte propulsive” post Covid e quindi “dobbiamo attendere che siano altre forze a spingere la crescita”.
La Corte dei Conti: “Saranno necessarie scelte difficile sull’allocazione delle risorse”
Di percorso impegnativo ha parlato anche la Corte dei Conti. “Il documento presentato dal Governo offre un quadro della gestione di bilancio per il prossimo settennio che appare coerente con quanto richiesto dal nuovo patto di stabilità europeo, descrivendo un percorso di graduale riduzione del debito e un più rapido rientro del disavanzo rispetto al quadro presentato nel Def dello scorso aprile. La rilevanza del processo intrapreso giustifica la previsione di un percorso che si presenta in ogni caso impegnativo, ma la cui piena valutazione e le sue implicazioni potranno essere meglio colte quando sarà disponibile nel dettaglio il quadro programmatico di cui si rinvia la esplicitazione al Dpb”, ha detto Enrico Flaccadoro, presidente di coordinamento delle Sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei conti. “Saranno necessarie scelte difficili sull’allocazione delle risorse. Su molti fronti si evidenziano necessità crescenti derivanti da problemi strutturali, da andamenti dei costi, dal crescere di aree di sofferenza sociale, dall’emergere di nuove sfide economiche e produttive a cui si aggiungono esigenze poste da nuove criticità legate al contesto nazionale ed internazionale”. Sono “temi su cui, in raccordo con quanto previsto nel Pnrr, nel Piano si delineano linee di sviluppo, ma senza ancora richiamarne modalità di definizione e priorità”, ha aggiunto Flaccadoro. “Per quanto riguarda gli investimenti pubblici, mantenere un livello di spesa finanziata a livello nazionale coerente con il profilo di aggiustamento del bilancio, rende necessario, esaurito il Pnrr, reperire risorse aggiuntive”, ha sottolineato la Corte dei Conti. “Con riferimento agli investimenti locali e nel Mezzogiorno, caratterizzati da performance particolarmente positive nell’ultimo biennio, ciò è rimesso, prioritariamente, al progressivo e tempestivo avanzamento della fase realizzativa di quelli afferenti al nuovo ciclo di programmazione 2021-2027 e agli accordi di coesione sottoscritti nell’anno tra Regioni e Governo nazionale”.
Cnel: servono interventi per stimolare la spesa privata
“Nel 2026 cesserà l’effetto positivo del Pnrr e pertanto quel vuoto, in termini di investimenti, non potrà che essere colmato da una forte riqualificazione della spesa pubblica, maggiori risorse europee e un rafforzamento degli strumenti di partenariato pubblico/privato”, ha detto il presidente del CNEL Renato Brunetta. “Occorre pianificare riforme che siano in grado di assolvere al ruolo di catalizzatore della spesa privata, così da compensare il vincolo della spesa primaria netta fissata all’1,5%, pari alla metà dell’aumento del Pil nominale previsto. Ipotizzare una crescita della spesa primaria pari alla metà del tasso di crescita del Pil nominale significa confidare nell’esistenza di una crescita potenziale dell’offerta non intaccata da andamenti o politiche dal lato della domanda. Le riforme dovrebbero facilitare un meccanismo grazie al quale quote di domanda privata sostituiscono quella pubblica. Non bisogna poi dimenticare che tra i Paesi creditori l’Italia si colloca al quarto posto. Far sì che queste risorse siano impegnate all’interno piuttosto che offerte all’estero richiede stimolare gli investimenti privati in modo di assorbire il risparmio domestico, anche mediante una grande riforma del mercato dei capitali”.
L’allarme degli enti locali: no a ulteriori strette della spesa
No a ulteriori tagli della spesa corrente per gli enti locali, una nuova stretta sarebbe insostenibile. E’ il grido d’allarme lanciato dall’Anci, l’associazione dei Comuni italiani, nel corso del ciclo di audizioni sul nuovo Piano Strutturale di bilancio di medio termine, davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato. “I Comuni nell’ultimo decennio hanno già imboccato la strada di forte contenimento e di grande attenzione sulla spesa, di fatto già stiamo facendo quanto richiesto dall’Europa. Il peso della spesa pubblica dei Comuni sul totale è passato dall’8,2% nel 2011 al 6,5% attuale e il deficit dal 3% all’1,5%”, ha detto Alessandro Canelli, delegato Finanza locale di Anci. “A fronte di questo abbiamo costi per forniture e servizi aumentati sensibilmente, anche per l’inflazione, per il personale, per la crescente spesa sociale, con una struttura dei bilanci comunali piuttosto rigida”, ha sottolineato. “La spesa è sotto stretto controllo. Un ulteriore taglio oltre a quello dell’ultima Manovra, che porterebbe un impoverimento di un miliardo, un’ulteriore stretta sulla spesa corrente sarebbe insostenibile”. Per l’Anci, “ulteriori ipotesi di tagli sul comparto dei Comuni, o comunque di richiesta di contributo per il risanamento della finanza pubblica, diventerebbero veramente estremamente gravosi, soprattutto per tutta una serie di enti che hanno già difficoltà e sono già in crisi di vario genere”. L’Anci ha ricordato che, a fine 2022, il combinato disposto di tagli alle risorse intervenuti nel corso del passato decennio e accantonamenti FCDE (Fondo Crediti di dubbia esigibilità) , resi obbligatori a partire dal 2015, attesta sui 14 miliardi di euro la manovra sviluppata sul comparto comunale. Inoltre, in ragione delle recenti misure finanziarie adottate, nel quinquennio 2024-2028 i comuni subiranno un ulteriore taglio netto alle risorse di bilancio per un ammontare complessivo pari a circa 1 miliardo di euro. Le stesse misure pongono inoltre a carico delle Città metropolitane e delle Province un taglio complessivo di circa 300 milioni di euro.
Anche dall’Upi si leva il no ulteriori tagli alla spesa. “È prioritario scongiurare che il Piano strutturale di bilancio di medio termine abbia ricadute negative sugli equilibri di bilancio e sulla capacità di investimento degli enti locali, e in particolare delle Province. Qualunque meccanismo di nuovo taglio della spesa corrente determinerebbe un immediato freno al ciclo positivo degli investimenti oltre a deprimere ulteriormente la spesa per le funzioni fondamentali, già incisa dai tagli delle spending review e dall’aumento dei costi di materiali ed energia. L’unico vincolo di finanza pubblica da applicare agli enti locali in riferimento alla spesa primaria netta è il rispetto dell’equilibrio di bilancio”. ha detto il rappresentante dell’Unione delle Province d’Italia (Upi) Luca Menesini.