L'ANALISI DEL DECRETO SALVA CASA
Astrid: troppi limiti alle regolarizzazioni, vanno ELIMINATI. Nel Dl c’è anche un mini-condono
Condivisa la finalità di eliminare le difformità formali che bloccano compravendite e lavori. Finire il lavoro con la riforma del 380
28 giugno

Franco Bassanini, presidente Astrid
IN SINTESI
Evitare anche il minimo condono, ma al tempo stesso consentire tutte le regolarizzazioni possibili delle numerosissime difformità edilizie perché “semplificare e accelerare queste regolarizzazioni è fondamentale al fine di agevolare gli interventi, non solo necessari ma talora anche urgenti e indifferibili, di rigenerazione urbana, consolidamento antisismico, efficientamento energetico, manutenzione straordinaria o ristrutturazioni di edifici in condizioni precarie o prossimi al termine del loro ciclo di vita (si pensi agli immobili in cemento armato, costruiti fra le due guerre)”. Ed è “indispensabile per ristabilire la fluidità del mercato immobiliare, necessaria per far fronte alle esigenze di mobilità territoriale e sociale”. È questa la valutazione che Astrid, il think tank presieduto da Franco Bassanini, dà dell’operazione avviata dal ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, con il decreto-legge 69, detto salva-casa.
Il giudizio positivo sul decreto-legge
La valutazione di Astrid è contenuta in una relazione a firma di Silvia Paparo, Alessandra Miraglia e dello stesso Bassanini, presentata al seminario sul decreto-legge 69 organizzato dalla stessa Astrid il 17 giugno. Bassanini da ministro della Funzione pubblica e poi con Astrid e Paparo da ex dirigente del dipartimento della Funzione pubblica sono stati negli anni passati fra i principali protagonisti delle semplificazioni in Italia e sono oggi tra i massimi esperti di questo tema in Italia.
Il giudizio che del decreto 69 dà Astrid è largamente positivo, anzitutto perché “ha indubbiamente il merito di mettere al centro il tema chiave delle regolarizzazioni”. Anche la finalità enunciata dalla relazione illustrativa del provvedimento di “adottare in particolare, misure specifiche finalizzate a rimuovere quegli ostacoli – ricorrenti nella prassi – che determinano lo stallo delle compravendite a causa di irregolarità formali” è considerata da Astrid “una finalità di indiscutibile importanza”.
La riforma del testo unico per completare il lavoro
La relazione avverte, però, subito che questa finalità “non potrà essere pienamente conseguita mediante le misure urgenti contenute in questo decreto-legge (neppure se fosse arricchito di ulteriori misure, dati i limiti propri della decretazione d’urgenza). Occorre dunque – come lo stesso Ministro Salvini aveva peraltro annunciato di voler fare – provvedere, preferibilmente con una legge delega, a una più ampia riforma della legislazione edilizia in vigore” basata sul decreto legislativo 380/2001, il testo unico dell’edilizia. Questa legge delega – dice Astrid – andrebbe richiesta dai partiti già nella discussione parlamentare del decreto-legge mediante ordini del giorno che impegnino il governo.
Questo è un passaggio molto rilevante della posizione di Astrid che non reclama la riforma del 380, come molti altri hanno fatto, per andare oltre le finalità del decreto e prevedere un intervento organico. Certo, anche questo, ma il paper parte dall’idea che una riforma del 380 è anzitutto necessaria proprio per raggiungere a pieno le finalità che Salvini vuole raggiungere: eliminare la grande massa delle irregolarità formali.
La storia delle modifiche al 380
Un altro apporto originale del paper Astrid riguarda il racconto e l’analisi delle “numerose modifiche” che nell’ultimo decennio sono state apportate a quel testo unico. “Si pensi – racconta la relazione – solo per fare qualche esempio, all’introduzione della SCIA e della CILA, agli ampliamenti delle fattispecie di attività edilizia libera, alle semplificazioni in materia di demolizione e ricostruzione e di edilizia sismica, alla SCIA di agibilità, alle numerose riforme della disciplina della conferenza di servizi. Si tratta, tuttavia, – chiarisce la relazione – di disposizioni di carattere puntuale che non hanno dato luogo ad una riforma organica in grado di rispondere efficacemente alle nuove esigenze; né lo potevano fare dato il loro carattere estemporaneo”.
Le questioni irrisolte in assenza di un intervento organico
Resta così aperta – sottolinea Astrid – una buona parte dei problemi ripetutamente sottolineati, in questi anni, da tutti gli operatori del settore (Regioni, Comuni, associazioni imprenditoriali, ordini professionali): “la grande difficoltà ad orientarsi in un quadro normativo intricato e talora contraddittorio, in particolare al fine di individuare la tipologia di intervento, la relativa qualificazione e il corrispondente titolo abilitativo; la scarsa chiarezza e la farraginosità delle procedure e in ispecie di quelle che ostacolano (o, quanto meno, scoraggiano) lo sviluppo dei processi di rigenerazione urbana e di efficientamento energetico degli edifici; la complessità delle procedure di attestazione dello stato legittimo di edifici risalenti, che rendono molto ardua quella riqualificazione degli immobili esistenti che, di fronte all’esigenza di contenere il consumo di suolo, rappresenta l’unica alternativa a nuove cementificazioni del territorio”.
L’esame delle norme del decreto-legge
Ma veniamo all’esame dettagliato delle norme del decreto-legge. “Tra gli aspetti positivi –sottolinea Astrid – si segnala, oltre l’obiettivo di affrontare il tema delle regolarizzazioni, il parziale superamento della cosiddetta doppia conformità”. Utile il riferimento storico fatto dall’analisi. “Sono passati ventitré anni dal parere del Consiglio di Stato sulla proposta di testo unico edilizia oggi in vigore, che aveva messo in discussione la doppia conformità. Il Consiglio di Stato aveva allora sottolineato che, pur non potendosi in astratto contestare la necessità del duplice accertamento della conformità, è illogico ordinare la demolizione di un edificio, che allo stato attuale risulta conforme alla disciplina urbanistica vigente e che pertanto potrebbe legittimamente ottenere, a demolizione avvenuta, una nuova concessione”.
I punti critici del decreto-legge che vengono esposti con approccio costruttivo per apportare miglioramenti al testo vengono raggruppati in tre temi (tolleranze, varianti in corso d’opera ante ‘77 e accertamento di conformità).
La presenza di un mini-condono nelle norme sulle varianti
E nel trattare il tema delle tolleranze la relazione evidenzia che “vi sono disposizioni, che, a rigore, non sembrano in linea con l’obiettivo di evitare nuovi condoni (ancorché di limitate dimensioni)”.
Dove è annidato il rischio di condono edilizio?
“Il decreto legge include al comma 1-bis dell’ art. 34-bis – dice Astrid – nell’ambito delle tolleranze, una sorta di sanatoria ex lege e una tantum, che sembra discostarsi, per dimensioni e caratteristiche, dalla nozione consolidata di “tolleranza di cantiere” (e cioè errore di cantiere non intenzionale); e che, con limiti dimensionali inversamente proporzionali alla superficie utile, copre difformità realizzate anche successivamente alla costruzione dell’immobile, con riferimento all’unità immobiliare, e anche in un’epoca molto recente”. Qui c’è la traccia di un mini-condono che “si applicherebbe anche nelle aree soggette a vincolo paesaggistico”.
I troppi limiti ed esclusioni dalla regolarizzazione
Viceversa, però, sempre sul tema delle tolleranze Astrid rileva esclusioni dalla regolarizzazione che, a parere del think tank, non hanno ragion d’essere perché fortemente e inutilmente restrittive. In particolare il riferimento è agli “immobili ubicati nelle aree soggette a vincolo (che coprono gran parte del territorio nazionale) risulterebbero, invece, esclusi dall’ambito di applicazione delle tolleranze gli interventi ed errori di cantiere di minima entità”. Tali situazioni – rileva Astrid – “sono molto numerose, specialmente se risalenti nel tempo; e spesso riguardano solo le parti interne degli edifici”. Inoltre, “in numerosi casi hanno prodotto un legittimo affidamento dei privati”. Vengono portati ad esempio “immobili provvisti, al momento dell’acquisto, di titolo e di certificazione di abitabilità/agibilità che ne attestava la conformità al progetto rilasciata all’ esito di un sopralluogo dell’ispettorato edilizio del comune; molti tra essi sono oggi irregolari, per minime difformità che all’epoca erano tollerate. O ancora pensiamo al caso delle varianti in corso d’opera ante ‘77 realizzate in un’epoca in cui le varianti, che oggi si possono fare con una semplice SCIA a fine lavori, non erano disciplinate”.
“Esclusioni sproporzionate e irragionevoli”
Queste esclusioni, ripete Astrid, “oltre ad apparire sproporzionate e irragionevoli, rischiano di lasciar fuori dal DL” Salva Casa” la maggior parte delle irregolarità di minore entità. Se non si eliminano queste limitazioni, si rischia di non risolvere compiutamente il problema al quale il decreto-legge vuol dare soluzione come espressamente enunciato nella sua relazione illustrativa”.
Le proposte correttive: eliminare l’esclusione a priori per le aree vincolate
Astrid avanza anche delle proposte correttive.
Immobili ubicati in aree soggette a vincolo paesaggistico. Astrid propone di “eliminare l’ esclusione a priori di tolleranze esecutive minori, quali ad esempio il minore dimensionamento dell’edificio, le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, la diversa collocazione di impianti e opere interne (eseguite durante i lavori per l’attuazione di titoli abilitativi edilizi), le irregolarità esecutive di muri esterni ed interni, la difforme ubicazione delle aperture interne, la difforme esecuzione di opere rientranti nella nozione di manutenzione ordinaria, gli errori progettuali corretti in cantiere e gli errori materiali di rappresentazione progettuale delle opere”. La relazione propone inoltre di “eliminare anche la previsione che alcune delle tolleranze sopracitate debbano essere antecedenti al maggio 2024, come se, ad esempio, un errore materiale di rappresentazione progettuale delle opere non possa presentarsi anche in futuro”.
Tutela del legittimo affidamento dei privati. “Proponiamo – dice la relazione – di estendere le tolleranze ai casi di irregolarità realizzate durante l’esecuzione dei lavori oggetto di un titolo abilitativo, cui sia seguita, previo sopralluogo o ispezione da parte di funzionari incaricati, l’attestazione di abitabilità/agibilità nelle forme previste dalla legge. Si potrebbe tutt’ al più escludere che possano beneficiare di tale disciplina coloro che erano proprietari dell’immobile all’ epoca della realizzazione degli interventi”. Attualmente l’agibilità è soggetta a SCIA e la prassi del sopralluogo, da parte dei funzionari comunali è risalente nel tempo, ma riguarda molti edifici degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta.
“Si tratta – chiosa la relazione – di norme vigenti da anni nella legislazione regionale”.
L’impossibile verifica della sussistenza di limitazioni di diritti di terzi
Tra le criticità si segnala una disposizione, che rischia di vanificare l’applicazione delle tolleranze: è prevista la verifica da parte del tecnico della sussistenza di possibili limitazioni dei diritti dei terzi; lo stesso tecnico dovrebbe anche provvedere alle attività necessarie ad eliminare tali limitazioni, presentando ove necessario i relativi titoli abilitativi (i tecnici e non i titolari!). Una previsione di tale portata sembra di difficilissima, se non impossibile applicazione. Del resto, il testo unico dell’edilizia già prevede, in linea generale, che il rilascio dei titoli edilizi non possa limitare i diritti dei terzi e questa disposizione resterebbe in vigore. Peraltro, tutta la modulistica edilizia oggi prevede che il proponente attesti di essere consapevole che il titolo abilitativo non può limitare i diritti dei terzi. Il nostro suggerimento è quello di eliminare il comma 3-ter, inserendo al comma 3, relativo all’attestazione delle tolleranze, la medesima previsione del Dpr. n. 380 relativa al permesso di costruire e cioè che “l’attestazione delle tolleranze non può limitare i diritti dei terzi”.
La sproporzione dell’intervento sulle tolleranze
Infine, come abbiamo visto, le tolleranze anche di maggiori dimensioni, incluse nei limiti percentuali del comma 1-bis dell’art.34-bis, sono libere dal punto di vista paesaggistico, mentre sono escluse a priori quelle di minima entità, comprese quelle che riguardano modifiche interne. Sul punto si può suggerire di individuare gli interventi, in area soggetta a vincolo paesaggistico, da sottoporre al relativo accertamento di compatibilità, in ragione del fatto che abbiano comportato la realizzazione significativa di nuovi volumi o superfici. Ad esempio, si potrebbe ipotizzarlo per interventi che comportino un aumento di cubatura o di superficie, superiori al 2% e che alterino lo stato dei luoghi (siano visibili dall’esterno).
Varianti in corso d’opera ante 1977
Per completare il quadro della regolarizzazione delle difformità prive di una effettiva rilevanza, “proponiamo di introdurre – dice ancora la relazione di Astrid – la possibilità regolarizzare le opere edilizie realizzate in parziale difformità durante i lavori per l’esecuzione dei titoli abilitativi rilasciati prima dell’entrata in vigore della legge n. 10 del 1977 (quarantasette anni fa e oltre), quando ciò non contrasti con un interesse pubblico, concreto e attuale alla loro rimozione, accertato dall’amministrazione competente con provvedimento adeguatamente motivato”. Alla regolarizzazione “si dovrebbe procedere mediante presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività e il pagamento, a titolo di sanzione pecuniaria, del doppio del contributo di costruzione”.
Accertamento di conformità
Lo stesso parziale superamento della doppia conformità – dice la relazione – “è sicuramente apprezzabile, ma ad una analisi più attenta la disciplina del nuovo regime rischia, forse per un effetto non voluto, di dare vita ad una procedura più complessa e onerosa per le parziali difformità rispetto a quella prevista per gli abusi totali”.
Sul punto Astrid ipotizza un ventaglio di possibili correttivi che riportiamo di seguito:
– in tutti i casi dovrebbe essere richiesta la conformità alla sola disciplina edilizia vigente all’epoca della costruzione perché “è irrealistico richiedere che immobili realizzati nei decenni scorsi possano essere dichiarati conformi ai requisiti stabiliti dalle discipline di settore oggi vigenti”. Per esempio, nessun edificio costruito anche pochi anni fa può essere conforme alla disciplina antisismica recente.
– per la disciplina urbanistica dovrebbe essere richiesta solo la conformità a quella vigente al momento della sanatoria, quanto meno per le parziali difformità (consentendo quindi di sanare gli immobili privi di un titolo originario solo nel caso della doppia conformità urbanistica);
– un’oblazione più onerosa dovrebbe essere prevista per i casi in cui non si abbia la doppia conformità urbanistica (si abbia cioè solo la conformità urbanistica al momento della presentazione della domanda e non anche al momento della realizzazione). Occorre dunque modificare la disposizione del decreto-legge che subordina in tutti i casi le parziali difformità al pagamento di una oblazione più elevata, anche nel caso in cui l’immobile presenti il requisito della doppia conformità urbanistica;
– ai titoli in sanatoria dovrebbe essere applicato il regime amministrativo previsto per la presentazione o per il rilascio dei titoli edilizi ordinari, compresa la relativa tempistica e compreso – come previsto dal decreto-legge – il formarsi del silenzio-assenso;
– l’interessato dovrebbe avere la facoltà di richiedere che, al fine di ottenere l’agibilità, l’autorizzazione sia subordinata alla preventiva attuazione degli interventi edilizi, necessari per assicurare l’osservanza della normativa tecnica di settore relativa ai requisiti di sicurezza, igiene, salubrità, efficienza energetica degli edifici e degli impianti e al superamento delle barriere architettoniche.
– l’accertamento di compatibilità paesaggistica e le relative sanzioni continuerebbero ad essere disciplinate dall’articolo 167 del decreto legislativo n. 42, come peraltro previsto dal decreto-legge.
– la regolarizzazione dovrebbe essere prevista anche per gli immobili ubicati in aree sismiche, previa effettuazione dei lavori di messa in sicurezza, laddove l’immobile non risulti conforme alla normativa tecnica delle costruzioni vigente all’epoca di realizzazione degli interventi.