DA DOMANI AL VOTO LA RELAZIONE CON LE RACCOMANDAZIONI PER LA RIFORMA
Appalti, il Parlamento Ue a von der Leyen: ridurre i 476 articoli delle direttive, alt al massimo ribasso, revisione prezzi, qualificare le imprese
Possibili emendamenti ma l’impianto delle raccomandazioni che sarà presentato dal relatore polacco Piotr Muller (conservatore) è definito: spinta a usare l’offerta economicamente più vantaggiosa, obblighi di pubblicazione e motivazione rafforzati per le procedure negoziate, preferenza alle produzioni europee nei settori strategici, accesso facilitato per PMI, imprese locali ed economia sociale, limiti al subappalto multilivello. Cambio di mentalità per la digitalizzazione. E il dubbio che la direttiva non sia lo strumento giuridico “appropriato” per una “riforma ambiziosa” (qualcuno pensa ai regolamenti).
Novanta raccomandazioni e 37 “considerando” in premessa: così comincia il percorso con cui il Parlamento europeo proverà a pesare sulla proposta che la commissione guidata da Ursula von der Leyen presenterà in materia di riforma delle direttive sugli appalti (la 24 e la 25 del 2014). La relazione contenente le osservazioni del Parlamento – predisposta dal relatore in commissione per il mercato interno, Piotr Muller, polacco, appena 36enne, appartenente al partito di ultradestra Diritto e Giustizia e al gruppo conservatore europeo – sarà votata a partire da domani nell’Aula del Parlamento. C’è spazio ancora per l’approvazione di emendamenti, ma va detto che il lavoro fatto finora dalla commissione ha visto un’attiva partecipazione all’elaborazione del testo dei vari gruppi parlamentari, a partire da quelli che più pesano nella maggioranza che sostiene von der Leyen, Popolari e Socialisti europei.
Nel merito, la posizione che esce dalla relazione della commissione Mercato interno è di riconferma dei principi fondamentali posti alla base delle direttive del 2014, ma con la richiesta esplicita di una “riforma ambiziosa” che renda più concreta e stringente l’applicazione di questi principi e con numerose novità che risentono dell’attuale scenario geopolitico di confronto con gli altri blocchi economici. Si moltiplicano, quindi, le raccomandazioni di tutela delle imprese europee soprattutto nei settori strategici (dove si arrivano a chiedere delle riserve) e là dove siano presenti nei mercati imprese di Paesi terzi sovvenzionate direttamente o indirettamente dallo Stato o ancora dove siano gli stessi Paesi terzi a usare gli appalti per cavalcare politiche commerciali aggressive e discriminatorie.
Nella riconferma dei principi-chiave, il compito svolto dalla relazione non trascura nulla, dalla difesa della concorrenza alla riduzione della burocrazia e degli oneri amministrativi, dalla tutela delle PMI agli obiettivi sociali e ambientali, ma con l’invito pressante a fare di più e meglio: per esempio nel “ridurre gli attuali 476 articoli o 907 pagine di legge” che costituiscono barriere di accessibilità per PMI, imprese locali e start up; nel verificare che le norme europee siano effettivamente applicate dai Paesi membri (a questo proposito la relazione invita addirittura la commissione a valutare se la direttiva sia “lo strumento giuridico più appropriato”, insinuando evidentemente il dubbio che una parte delle norme possa essere reso più stringente per mezzo di regolamenti); nel contrastare la forte riduzione del tasso di concorrenza applicata degli ultimi dieci anni, testimoniata dalle relazioni della Corte dei conti Ue, con la richiesta di misure di rafforzamento degli obblighi di pubblicazione e motivazione nel caso di procedure negoziate (caso molto attuale anche in Italia); nella difesa delle PMI e delle economia locali, arrivando a proporre, ove opportuno, l’assegnazione di quote minime a produzioni locali (richiamando anche la relazione Draghi).
Ma l’invito più forte e ripetuto – più che una priorità, una vera ossessione – riguarda la previsione di “paletti” che consentano un minore ricorso al massimo ribasso e un forte utilizzo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, vista come lo strumento per far passare nel sistema degli appalti un migliore rapporto qualità-prezzo, una maggiore spinta all’innovazione, una maggiore difesa di start up e PMI, una migliore difesa dalla corruzione. Questo attacco al criterio del prezzo più basso si fa forte dei dati statistici che dicono che solo il 50% degli Stati ha introdotto la possibilità di ricorso alla OEPV e che alcuni degli Stati più conservativi arrivano al 90% di appalti affidati con il massimo ribasso. Qui la discontinuità che il Parlamento chiede a von der Leyen è nettissima, anche se motivi di opportunità e forse anche di legittimità impediscono di spingersi fino a chiedere l’abolizione del massimo ribasso.
Ci sono poi alcune novità assolute. Il punto 84 chiede “l’introduzione di disposizioni che consentano adeguamenti dei prezzi in risposta ad aumenti sproporzionati dei costi che l’offerente non avrebbe potuto ragionevolmente prevedere, quali l’inflazione, l’aumento dei costi dei materiali e dell’energia e le modifiche al diritto del lavoro”. Una vera e propria legittimazione europea ai meccanismi di revisione prezzi introdotti dall’articolo 106 del nostro codice.
Salto mortale triplo in avanti anche per l’analisi dei processi di digitalizzazione, che vengono confermati come prioritari. La novità è, al punto 27: l’invito alla commissione e agli Stati membri a “ripensare in che modo la futura legislazione in materia di appalti dovrebbe facilitare e proteggere in modo sicuro la digitalizzazione, anziché limitarsi a digitalizzare i lunghi processi analogici attuali”.
Tema che fa sempre discutere è il subappalto di cui si riconosce la grande utilità per consentire l’ingresso nel sistema delle PMI e per garantire flessibilità e riduzione dei costi, senza negare però “un aumento dei rischi di violazione dei diritti dei lavoratori nonché ostacoli a un’applicazione efficace delle norme” (punto 83). Si suggerisce quindi un limite al subappalto multilivello, l’introduzione di un regime di responsabilità solidale degli operatori economici e dei subappaltatori, pagamento diretto dei subappaltatori da parte delle PA.
In merito di lavoro non si può non ricordare un altro tema molto presente nel dibattito italiano, il diritto delle stazioni appaltanti di includere nei bandi di gara contratti nazionali di lavoro vincolanti (punto 63).
Un’ultima considerazione – ma Diario DIAC seguirà il lavoro parlamentare e darà nuovi contenuti di questa relazione nei giorni prossimi – riguarda il rilancio, in verità abbastanza timido, del tema della qualificazione degli operatori economici. Per ora è solo un “considerando” (l’ultimo, introdotto fuori sacco) che non ha trovato posto nelle raccomandazioni esplicite. Il punto evidenzia che “registri sistematici dell’esecuzione degli appalti possono rafforzare la capacità delle amministrazioni aggiudicatrici di escludere rapidamente i soggetti inadeguati alle procedure di appalto”. Il riferimento si fa poi più esplicito con riguardo ad “attori associati a reti criminali”. Risulta quindi alla fine una via di mezzo fra le white list e un sistema di qualificazione vero e proprio che premi le imprese che hanno svolto correttamente l’esecuzione degli appalti. Un po’ poco per procedere, forse, ma sorprese potrebbero venir fuori dal voto degli emendamenti e dalla discussione parlamentare.