L’(in)evitabile digitalizzazione del settore dell’ambiente costruito
La Gestione Informativa Digitale (GID) e con essa il cosiddetto BIM, fanno ormai parte integrante del Codice dei Contratti Pubblici e, potenzialmente, in futuro, potrebbero entrare a far parte della legislazione relativa alla rigenerazione urbana e all’edilizia privata. Al contempo, l’innovazione digitale mostra sempre più risvolti: dall’Intelligenza Artificiale al Gemello Digitale, dal Passaporto Digitale del Prodotto alla Notarizzazione, dal Fascicolo Digitale dell’Edificio allo Smart Readiness Indicator.
Tutto starebbe, dunque, a testimoniare che le sorti magnifiche e progressive della digitalizzazione siano inarrestabili? Nella realtà, la disseminazione effettiva delle metodologie, dei processi e degli strumenti ispirati alla digitalizzazione, al netto dei casi esemplificativi, resta ancora piuttosto limitata e nulla lascia presagire che vi possa essere uno sviluppo lineare inarrestabile.
Non si tratta, tuttavia, in realtà, di confrontarsi con una forte reticenza e opposizione degli operatori del versante della domanda e di quello dell’offerta, per quanto la diffusione nelle prassi quotidiane della pancia profonda del mercato sia del tutto circoscritta.
Al netto delle difficoltà culturali ed economiche che tali soggetti si trovano ad affrontare nella transizione digitale (e sostenibile), l’impressione è, piuttosto, che, ammesso che esse possano essere superate nell’arco del medio termine, vi siano una serie di elementi e di fattori esogeni, che definiscono la struttura del mercato, determinanti e difficilmente riconfigurabili in tempi ragionevoli: dalla frammentazione del tessuto committente, professionale e imprenditoriale all’informalità delle reti, dagli atteggiamenti speculativi e dagli approcci antagonistici nelle filiere e nelle catene, e così via.
Essi, comunque, sono anche i tratti identitari del settore che, sotto mutate vesti, sono sopravvissute a tutte le evoluzioni strutturali degli ultimi decenni. Senza, poi, contare che, ad esempio, il ricorso dell’Intelligenza Artificiale potrebbe avere ripercussioni sulla nozione di autorialità e di creatività per i progettisti (architetti e ingegneri, in primo luogo) e possa rendere una parte delle prestazioni professionali una sorta di commodity.
Accanto, pertanto, al dipanare senza interruzioni delle novità digitali che si propongono come una sorta di camera delle meraviglie, talora promettenti, talaltra minacciose, potrebbe registrarsi un accrescimento del digital divide e un aumento dei fraintendimenti relativi alla natura ultima della trasformazione digitale. Questo è il motivo per cui varrebbe la pena di volgere lo sguardo al di fuori dell’universo digitale per riflettere con gli attori istituzionali, finanziari e settoriali appunto sulle condizioni al contorno. Il punto è, però, che tali condizioni contestuali non siano affatto marginali e che, conseguentemente, anzi, esse siano decisive per alimentare un corto circuito tra i racconti e i tentativi dell’implementazione digitale e lo stato effettivo del settore e dei mercati corrispondenti.
Soprattutto, tali condizioni, spesso rimandano in ultima analisi alla essenza stessa delle rappresentanze e degli attori (in naturale difficoltà nel mettere in discussione regimi inveterati) che, per certi versi, per evitare una attuazione prevalentemente formale e superficiale della digitalizzazione (non un improvviso rigetto, bensì un lento svuotamento di senso), dovrebbero accettare di rimettere in discussione alcuni assetti consolidati e certuni rapporti di forza. Affermare, quindi, che per il settore dell’ambiente costruito le sorti della digitalizzazione possano giocarsi al di fuori di essa dovrebbe equivalere per gli operatori e per le loro rappresentanze a guardare al dato e all’informazione come a una sfida esistenziale, ontologica, per così dire: come a un agente trasformativo, per alcuni aspetti, traumatico.
D’altra parte, alcune narrazioni sulla eventualità che la digitalizzazione, sotto la forma delle piatteforme tecnologiche, potessero permettere a soggetti estranei di eterodirigere le transazioni nel mercato si sono rivelate abbastanza effimere, almeno per ora. Al contrario, i richiami taciti alla opportunità di dilazionare certi investimenti e di confermare le strutture consolidate appaiono sempre più insistenti, come dimostrano alcuni riflussi inerenti anche alla sostenibilità e alla circolarità. Un simile contingenza permette, però, di enfatizzare come lo scettiscismo nei fatti (a dispetto delle dichiarazioni di prammatica), così come l’enfasi riposta in una Intelligenza Artificiale che rafforzi le prassi del passato e del presente di carattere documentale, impongano, infine, di cercare di dimostrare quali possano essere davvero i ritorni consentiti dalla digitalizzazione.
Sennonché proprio il fatto che i contesti impediscano in parte di conseguire i risultati promessi e attesi riporta a una specie di circolarità viziosa. Come spezzare il circolo vizioso? Provando, anzitutto, a evidenziare meglio i fattori esogeni che siano ostativi e a rimuovere un atteggiamento di adesione formale agli scenari digitali, utili oggi solo ad alimentare una offerta di servizi che si presenta povera in partenza, anche quanto a sua redditività.