POSSIBILE SOLUZIONE CON BRUXELLES UE PER SUPERARE LO SCOGLIO DEL 2026
Acqua, casa, ferrovie, bus elettrici: fondi per finanziare nuove RIFORME post-2026 con i soldi Pnrr non spesi
Al momento si stanno valutando fondi per il social housing e per gli investimenti idrici, finanziati con gli avanzi del Pnrr, mentre per l’acquisto di treni e dei bus elettrici si potrebbe addirittura pensare a società ad hoc sul modello anglo-svedese delle Rolling Stock Company (Rosco). Questi fondi imporrebbero nuove regole di programmazione disegnate su quelle del Pnrr con target e milestone e risultati di performance. Contribuirebbero a nuove aperture concorrenziali dei mercati. Sarebbero il modo per superare lo scoglio del giugno 2026 e proiettare il Pnrr oltre quella scadenza con una nuova stagione di riforme e innovazioni programmatiche.
Si infittiscono gli incontri e le trattative fra governo e commissione Ue per definire la proposta italiana per la nuova revisione del Pnrr, la seconda a tutto campo dopo quella approvata l’8 dicembre 2023. Stavolta, però, la posta in palio è, se possibile, ancora più alta di quando a tirare le fila dal lato italiano era Raffaele Fitto. Perché la revisione generale che dovrebbe partire con la formalizzazione della proposta a febbraio deve includere, o almeno abbozzare, le soluzioni per superare l’esame finale del 2026. Dopo questa prova non ci sarà tempo per un’altra modifica generale del Piano, a poco più di un anno dalla fine del percorso: è qui, perciò, che vanno impostati l’assetto finale e le vie di fuga.
Ecco allora che ai tavoli di confronto fra la commissione e le singole amministrazioni responsabili della spesa del Pnrr ci sono più piani di discussione che si intrecciano e si incrociano con un solo obiettivo: approvare un percorso che porti l’Italia a superare l’esame finale. La commissione Ue non ha alcun interesse a “bocciare” l’Italia e a tagliare i finanziamenti, ma bisogna trovare soluzioni che siano compatibili con le regole, o almeno con la filosofia di fondo, del Next Generation Eu.
Il primo piano del confronto è quello tradizionale, la prassi cui ci ha abituati l’ex ministro Fitto, che ora siede dall’altra parte a Bruxelles: spostare risorse da progetti bloccati o fortemente in ritardo a nuovi progetti che possono, viceversa, garantire la spesa effettiva. Nel caso del ministero delle Infrastrutture è noto che le criticità maggiori sono le grandi opere ferroviario come il Terzo Valico, la Palermo-Catania, la Salerno-Reggio Calabria, mentre la Napoli-Bari presenta qualche problema dovuto alle frane (ma dovrebbe essere possibile cambiare i lotti finanziati dal Piano) e a marciare secondo le scadenze previste è solamente l’Alta velocità Brescia-Padova (che per altro rischia di incagliarsi per il mancato riconoscimento delle compensazioni degli extracosti).
Anche i progetti del Pinqua accusano ritardi molto forti. Al momento le previsioni ministeriali più ottimistiche dicono che si potrebbero spendere al massimo 15 miliardi dei 20 complessivamente attribuiti al Mit dal Pnrr. Ci sono, quindi, almeno sulla carta, 5 miliardi da spostare. A tirare, addirittura in anticipo rispetto alle scadenze, ci sono solo i programmi di acquisto di treni e bus elettrici. Possibile quindi che alcuni fondi siano trasferiti dalle opere infrastrutturali al materiale rotabile. Certamente non cinque miliardi.
Anche il secondo piano di confronto non è nuovo: come contabilizzare le spese in modo da riconoscere, sul singolo investimento, non “tutto o niente” a seconda che si raggiunga l’originario obiettivo di performance o meno, ma la quota della spesa effettivamente realizzata. Magari suddividendo la singola opera in parti, lotti funzionali, tranche. Per il momento su questo la commissione non molla, ma alla lunga un criterio più flessibile dovrà essere trovato. Questo è tema di competenza di Palazzo Chigi, del Mef e del neoministro per il Pnrr, Tommaso Foti, più che dei singoli ministeri di spesa.
La vera novità di questi giorni è però un’altra: lo spostamento delle risorse che non si riescono a spendere in nuovi strumenti finanziari pensati per garantire una prosecuzione delle riforme che hanno funzionato nel Pnrr italiano molto più della capacità di spesa negli investimenti. L’idea sarebbe cioè di creare dei fondi, alimentati dagli “avanzi” del Pnrr e reimpiegati negli stessi settori, legandoli però a nuovi piani in cui venga stressato ancora di più l’aspetto di innovazione e di performance. Una sorta di Pnrr-bis dentro il Pnrr stesso, con l’obiettivo di riportare ai criteri Pnrr la programmazione italiana del dopo-2026.
Nascerebbero così un fondo per il social housing (con gli avanzi del Pinqua), aperto forse anche alla partecipazione di capitali privati, un fondo o addirittura una società ad hoc per l’acquisto di treni sul modello anglo-svedese delle Rolling Stock Company o Rosco, un fondo per gli investimenti idrici, forse anche un fondo per l’acquisto di autobus elettrici, sottraendo così la competenza alle Regioni e faciltando le gare per l’assegnazione dei servizi di trasporti locali su ferro e su gomma.
In tutti questi casi gli obiettivi sarebbero molto ambiziosi e condivisibili dalla Ue: sganciare le procedure di programmazione dalle pastoie burocratiche italiane, garantire livelli qualitativi di performance molto alti, prevedere una scansione temporale del tutto uguale a quella del Pnrr con target e milestones e una supervisione/monitoraggio che potrebbero essere affidati, al posto della commissione, all’Autorità di regolazione dei trasporti per la parte trasportistica o ad altri soggetti “terzi” e indipendenti rispetto al governo.
La commissione potrebbe dare il via libera a questa specie di Pnrr-bis – le prime valutazioni sono positive – anche per gli investimenti in infrastrutture ferroviarie, a condizione però che la nuova programmazione “modello Pnrr” soppianti l’attuale discipina del contratto di programma che non ha mai garantito tempi e risultati certi.
La strada è solo all’inizio ma promette bene. Fra gli altri risultati ci sarebbero quelli di non disperdere le risorse su cui si sono registrati ritardi di spesa, avviare una nuova stagione di riforme e di innovazioni programmatico-finanziarie, di proiettare gli investimenti oltre il 2026 riducendo i rischi di frenata del dopo-Pnrr. Le proposte del Mit, inoltre, diverrebbero una strada che tutto il governo potrebbe seguire con analoghi ragionamenti sugli investimenti della transizione ecologica e digitale, sulle scuole, sugli asili nido, sugli studentati, sulla sanità territoriale.
Sarà la proposta di revisione di febbraio del governo italiano a rivelare se questa strada sarà andata avanti e avrà portato all’accordo fra Roma e Bruxelles sulle modalità di chiusura del Pnrr.