APPALTI ISTRUZIONI PER L'USO / 36

L’accordo di cooperazione tra le amministrazioni: la natura collaborativa e l’importanza di questo strumento

L’accordo di cooperazione tra amministrazioni, previsto in via generale dall’articolo 15 L. 241/1990 e declinato più specificamente dall’articolo 7, comma 4, del Dlgs. 36/2023, è un’intesa tra due o più enti, finalizzata alla realizzazione di un interesse pubblico comune attraverso la messa in comune di risorse e l’effettiva partecipazione di tutte le parti allo svolgimento di compiti funzionali all’attività. È, dunque, uno strumento molto utile per realizzare insieme un progetto comune: l’unione fa la forza. La sua natura, pertanto, è squisitamente collaborativa e non sinallagmatica, distinguendosi così dai contratti pubblici (appalti o concessioni), che prevedono uno scambio di prestazioni a titolo oneroso. La corretta qualificazione di tali intese è fondamentale per determinare se esse rientrino o meno nell’ambito di applicazione del Codice dei Contratti Pubblici e per evitare l’elusione delle procedure di evidenza pubblica, che tutelano la trasparenza e l’equo accesso al mercato per gli operatori economici. Una errata interpretazione può esporre le amministrazioni a contenziosi e obblighi risarcitori.

Vediamo, dunque, insieme come inquadrare e utilizzare correttamente questo strumento.

17 Lug 2025 di Gabriella Sparano

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Quali sono i criteri principali per escludere un accordo tra enti dall’applicazione della normativa sui contratti pubblici?

Per escludere un accordo tra enti dall’applicazione della normativa sui contratti pubblici, è necessario che concorrano simultaneamente le seguenti condizioni:

  • deve intercorrere esclusivamente tra due o più stazioni appaltanti o enti concedenti, anche con competenze diverse (accordo pubblico-pubblico);
  • deve garantire l’effettiva partecipazione di tutte le parti nello svolgimento di compiti funzionali all’attività di interesse comune, in un’ottica esclusivamente collaborativa e senza alcun rapporto sinallagmatico tra le prestazioni;
  • deve determinare una convergenza sinergica su attività di interesse comune, anche se con fini diversi per ciascuna amministrazione, purché l’accordo non tenda a realizzare la missione istituzionale di una sola delle amministrazioni aderenti all’accordo. L’interesse comune deve essere un interesse pubblico effettivamente condiviso e rientrare nelle finalità istituzionali degli enti;
  • le stazioni appaltanti o gli enti concedenti partecipanti devono svolgere sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione. Insomma, l’accordo non deve essere una costruzione artificiosa per eludere le norme sulla concorrenza.

Quando i movimenti finanziari tra gli enti partner sono considerati legittimi in un accordo di cooperazione?

I movimenti finanziari tra i soggetti che sottoscrivono l’accordo devono configurarsi solo come mero ristoro delle spese sostenute e rendicontate.

È escluso il pagamento di un vero e proprio corrispettivo che includa un margine di guadagno. Se un’amministrazione si comporta come un operatore economico che presta servizi verso un corrispettivo (anche se solo il rimborso dei costi), non si può parlare di cooperazione per il perseguimento di funzioni di servizio pubblico comune, ma di uno scambio tra le amministrazioni.

Anche un rimborso spese, se di importo significativo e non dettagliatamente giustificato da costi specifici, può essere interpretato come un corrispettivo mascherato, trasformando l’accordo in un appalto pubblico soggetto alle regole di evidenza pubblica.

La presenza di una remunerazione per l’esecuzione di prestazioni e servizi, piuttosto che un mero rimborso costi, è un chiaro indicatore di un rapporto contrattuale oneroso.

Qual è l’importanza della “effettiva partecipazione” e della “equi ordinazione” negli accordi pubblico-pubblico?

Il requisito dell’interesse comune è di particolare importanza e deve esserci un’effettiva condivisione di compiti e responsabilità. Questo differisce da un contratto a titolo oneroso, dove solo una parte esegue la prestazione e l’altra remunera.

È imprescindibile, dunque, una posizione di equi ordinazione tra le parti per coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune, senza comporre un conflitto di interessi patrimoniale. È necessaria una “sinergica convergenza” su attività di interesse comune, anche se con fini pubblici diversi per ciascuna amministrazione.

Se l’attuazione dell’accordo è di fatto demandata a un solo soggetto o se una parte si limita a ricevere prestazioni a fronte di un pagamento, viene meno il carattere cooperativo. La cooperazione richiede la previa definizione delle reciproche esigenze, l’individuazione di soluzioni concordate e la suddivisione di compiti e di responsabilità tra le parti, così che le attività in sinergia convergano nella realizzazione di un obiettivo comune.

Quando un accordo tra enti può essere considerato un contratto d’appalto o di concessione e non un accordo di cooperazione?

Un accordo tra enti pubblici rischia di essere ricondotto a un contratto d’appalto o concessione se:

  • non c’è un’effettiva partecipazione di tutte le parti allo svolgimento di compiti funzionali all’attività di interesse comune, e l’attuazione dell’accordo è di fatto demandata a un solo soggetto;
  • l’accordo comporta la realizzazione di opere pubbliche o lo svolgimento di servizi pubblici che sono attività economicamente contendibili e con connotazioni imprenditoriali, piuttosto che la disciplina di attività comuni agli enti;
  • non disciplina attività comuni, ma piuttosto compone un contrasto di interessi tra un’amministrazione che offre prestazioni deducibili in contratti di appalto e un’altra che le domanda;
  • i movimenti finanziari tra le parti non sono configurabili come mero ristoro delle spese, ma come un vero e proprio corrispettivo a fronte di prestazioni di natura economica, richiamando lo schema tipico della concessione.

Quali sono le implicazioni di una non corretta qualificazione di un accordo di cooperazione e il ruolo della concorrenza?

Una non corretta qualificazione di un accordo di cooperazione può portare alla sua riclassificazione come contratto d’appalto o di concessione.

In tal caso, l’affidamento avrebbe dovuto avvenire secondo le procedure di aggiudicazione contemplate nella normativa sui contratti pubblici. La mancata sottoposizione alle procedure di evidenza pubblica lede la “chance” degli operatori economici privati di partecipare alla gara per l’affidamento del servizio. Questo può comportare la responsabilità risarcitoria dell’amministrazione che avrebbe dovuto indire la procedura competitiva, con la quantificazione del danno basata sulla perdita di chance. Il preminente interesse generale alla concorrenza, sancito dalla normativa europea e nazionale, si traduce in un vincolo alla capacità negoziale delle amministrazioni. Se l’attività può essere svolta da operatori economici sul mercato, la via ordinaria è la gara pubblica, a meno che non siano rispettate stringenti condizioni di genuina cooperazione che escludano un rapporto di scambio economico. Gli atti che approvano l’accordo devono giustificare la scelta della cooperazione e dar conto della sua conformità ai principi stabiliti.

Qual è la differenza con l’accordo di collaborazione di cui all’articolo 82-bis del Codice?

Sebbene entrambi prevedano forme di cooperazione tra soggetti, la loro natura, finalità e ambito di applicazione sono distinti:

  • l’accordo di cooperazione, come si è visto, è un’alternativa alla gara con la stipula di un’intesa tra enti pubblici, per la realizzazione in comune di un obiettivo di interesse comune; l’accordo di collaborazione è uno strumento di gestione della fase di esecuzione di un contratto che è stato già aggiudicato tramite le ordinarie procedure di evidenza pubblica, coinvolgendo anche operatori privati. Esso, più precisamente:
  1. è un accordo plurilaterale che coinvolge la stazione appaltante, l’appaltatore e altre parti coinvolte in misura significativa nella fase di esecuzione di un contratto (lavori, servizi o forniture). Questo include operatori economici privati;
  2. mira a disciplinare le forme, le modalità e gli obiettivi della reciproca collaborazione durante l’esecuzione di un contratto principale già aggiudicato. Punta a perseguire il “principio del risultato”, prevenire e ridurre i rischi, e risolvere le controversie che possono insorgere in fase esecutiva;
  3. non definisce specificamente i movimenti finanziari tra le parti, in quanto questi sono già regolati dal contratto principale. Può prevedere premialità per il raggiungimento di obiettivi di collaborazione;
  4. non sostituisce il contratto principale (che è stato aggiudicato tramite gara) e non ne integra i contenuti. È un accordo accessorio e strumentale all’esecuzione dell’appalto, un meccanismo di gestione collaborativa post-aggiudicazione;
  5. ottimizza l’esecuzione del contratto, promuove il dialogo e la risoluzione congiunta dei problemi, nel rispetto del principio della fiducia.

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