CITTà IN SCENA/2
A Ercolano la nuova Piazza abbatte il MURO fra città nuova e Storia, libera lo sguardo sugli Scavi e sul golfo. Il sindaco Buonajuto: ora facciamo il lungomare

La nuova Piazza Carlo di Borbone con la vista verso gli Scavi e il mare

La Piazza Carlo di Borbone affaccia su uno dei parchi archeologici più importanti del mondo e guarda in faccia il blu del golfo di Napoli.
Un anno fa non c’era.
C’era stato lì sopra il muro alto cinque metri fra via Cortili e via Mare che era qualcosa di più di una manifestazione tangibile del degrado. Era la frontiera fra due mondi, la barriera mentale che impediva ai residenti di una delle zone più disagiate e difficili di Ercolano di guardare e vivere la città antica, goderne la bellezza e i benefici economici. Dietro quel muro di indifferenza un quartiere di 5mila metri quadrati, mutilato e chiuso in se stesso, dove il 72% degli edifici era almeno parzialmente abusivo e il 44% in avanzato stato di degrado, dove la radice popolare dell’antico quartiere Resina era stata sempre più infiltrata da una povertà crescente (con un tasso di disoccupazione ufficiale tra il 60% e il 70%) e dal fiorire di attività criminose di tipo camorristico.
Una separazione creata storicamente dalle scelte della Sovrintendenza che con i Grandi scavi di Amedeo Maiuri – dal 1927 al 1958 – aveva coinvolto la popolazione di Ercolano, dando lavoro e creando orgogliosa partecipazione, per poi passare dagli anni ’60 fino al primo decennio del nuovo secolo a una politica che – forte del vincolo archeologico sempre più esteso – aveva via via escluso la città nuova da quella antica, procedendo per strappi urbanistici e lasciando proprio alle zone di confine gli aspetti peggiori della presenza del sito archeologico: edifici espropriati e parzialmente demoliti, costruzione di muri di cinta, uso come discarica dei detriti derivanti dallo scavo, frattura fisica creata dal dislivello variabile fra 3 e 12 metri.
Ora il muro della separazione è stato buttato giù e lì c’è la passeggiata archeologica a collegare il teatro romano agli Scavi, la città vecchia a quella nuova.

Pochi progetti in Italia hanno il diritto di chiamarsi rigenerazione urbana – parole abusate nel trionfo nostrano di un politicamente corretto spesso vuoto – come questo progetto di via Mare che è nato come idea nel 2007, è stato reso definitivo nel 2014 ed è stato voluto fortemente, avviato e portato a termine dall’attuale sindaco Ciro Buonajuto. Chiedo a lui di sintetizzare il risultato di questa operazione. “Ora la gente è felice – risponde – e in una zona dominata dai clan fino a qualche anno fa non hai più i figli della camorra che devastano e spaccano. Tutti si godono la piazza”.
“Tutti” sono residenti e turisti che arrivano numerosi: 563.165 visitatori degli Scavi nel 2023 sono un record storico che fa +29% sul 2022 e curiosamente anche +29% rispetto al 2016, ultimo anno in cui il Parco di Ercolano era una costola di quello di Pompei prima di diventare Ente autonomo. In mezzo, il tonfo del Covid e la ripresa che si nutre delle iniziative del nuovo Ente Parco diretto da Francesco Sirano, ma anche del supporto della Herculaneum Conservation Project (HCP) che “opera a supporto del Parco per valorizzare, proteggere e gestire il patrimonio culturale di Ercolano e per promuovere la sua relazione con il territorio e la comunità locale”. La HCP è una partnership pubblico-privata costituita dall’Ente Parco con il Packard Humanities Institute, fondazione filantropica americana costituita dal colosso dei computer e operante in Italia attraverso l’Istituto Packard per i Beni Culturali.
Il progetto che ha portato alla creazione di Piazza Carlo di Borbone – investimento complessivo di 6,1 milioni di cui 2,6 coperti da fondi pubblici europei, nazionali e locali e 3,5 da fondi privati provenienti appunto dall’Istituto Packard per i beni culturali – ha un mix così raro di elementi che diventa un manuale e un esercizio di anatomia del progetto-tipo di rigenerazione urbana perfetto. Starebbe di sicuro nella cinquina per il Premio Oscar dei progetti di questo tipo in Italia.
Il primo elemento di una buona rigenerazione urbana è la capacità di rigenerare il tessuto sociale su cui il progetto fisico e urbanistico poggia (e di cui al tempo stesso diventa strumento). E da queste parti – dove nel 2009 fu ucciso per sbaglio un ragazzo, Salvatore Barbaro, solo perché guidava un’auto uguale a quella di un boss – la rigenerazione sociale passa necessariamente per spazi riconquistati alla legalità. Un valore che va misurato negli anni perché la durata nella rigenerazione sociale è determinante. Il campetto di calcio riqualificato e il nuovo parco verde aiuteranno a tenere vivo a lungo nei giovani del posto il senso di un cambiamento. “Il progetto – dice Buonajuto – è stato lungo e faticoso perché, a differenza di quando realizzi un’infrastruttura, qui devi convincere le persone che il bello è contagioso e che qualcosa di bello può servire anche ai figli”.
Il secondo elemento – la partecipazione dei cittadini al progetto – è stato molto più difficile da praticare. In parte per le ragioni dette da Bonajuto, in parte perché quasi sempre la rigenerazione urbana si scontra con la rassegnazione, la pigrizia atavica, la difesa dello status quo, l’incapacità di pensare a una vita migliore di chi vive nel degrado. La cittadinanza attiva si dispiega molto lentamente, poco alla volta, dopo il risveglio dal letargo che diventa, di per sé, il valore aggiunto più qualificante e vivo del progetto. L’infrastruttura si eleva così da opera fisica a spazio urbano, a contenitore di servizi ai cittadini, a motore di occasioni di vita e di incontri.
A Ercolano ha contribuito in modo decisivo a raggiungere un buon risultato di partecipazione attiva dei cittadini il terzo aspetto qualificante del progetto: l’aspetto culturale. Non la Cultura (quella che si sente di avere la C maiuscola) che giganteggiava già nelle premesse del progetto – gli Scavi, la passeggiata archeologica e l’ottimo rapporto di collaborazione fra le due istituzioni del luogo, il comune e il Parco Archeologico – quanto la cultura di piazza e di strada che si nutre dell’associazionismo dei cittadini (molto forte in questa città) e assume peso quando porta qualità del vivere alla comunità. Connecting Code è un progetto nel progetto che ha giocato, parlato, recitato, fotografato, filmato con donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini del posto e ha portato un’opera site specific realizzata dagli artisti Bianco-Valente (si veda qui un video sulle attività svolte e qui un progetto specifico ‘O Vic e Mar): è risultato vincitore del bando Creative Living Lab (quinta edizione del 2023), promosso dalla Direzione generale Creatività contemporanea del ministero della Cultura.
Il quarto elemento del progetto Ercolano – esposto da Buonajuto anche nel festival della rigenerazione urbana Città in scena organizzato da Ance e Mecenate 90 – è un felicissimo rapporto pubblico-privato centrato sul rapporto del Parco archeologico con la fondazione americana Packard Humanities Institute che ha finanziato gran parte dei lavori e in particolare il parco a verde, il campetto di calcio e il progetto culturale Connecting Code. Qui l’attrattore archeologico è stato decisivo, ben prima di questo progetto, dando vita a un’esperienza di mecenatismo e di partnership che ha pochi eguali.
Ultimo elemento immancabile ormai in una rigenerazione urbana è quello di riqualificazione ambientale e questo compito è stato assolto dalla creazione del parco verde controllato, in pieno centro storico, fruibile dalla gente del quartiere, dal resto della popolazione, da chiunque voglia godere della vista sugli Scavi.
E, adesso, come si guarda avanti? Come si costruisce su questo successo una linea di continuità? “Ora – dice Buonajuto – siamo scesi al mare perché vogliamo realizzare una passeggiata al mare. Ercolano ha la ferrovia lungo il mare e quindi non ha un lungomare. Ora vogliamo valorizzare l’accesso degli scavi al mare e far diventare la passeggiata archeologica una passeggiata al mare. Un sindaco deve risolvere i problemi quotidiani delle persone ma deve avere anche una visione di città. Ecco, la mia visione di città è che gli scavi devono essere collegati al mare. Una città di mare non può non avere l’accesso al mare, una spiaggia, un lungomare. Ci stiamo provando. Chi è venuto prima di me ha pensato che lungo il mare ci dovesse essere la ferrovia e le concerie. Io invece penso ci debbano essere la spiaggia e i turisti. Così sfonderemo il muro del milione di turisti”.