IL PAPER DI ASSONIME
Rilancio del Ppp: i nodi qualificazione, concorrenza e gestione del rischio
Firpo: strumento utile quando le risorse pubbliche sono limitate, ma la pubblica amministrazione deve fare un salto di competenze economiche oltre i requisiti formali dell’attuale qualificazione
18 luglio
IN SINTESI
È il momento giusto per parlare di partenariato pubblico-privato: la fine del Pnrr ci lascerà con una scarsità di risorse pubbliche per investimenti e il contributo dei privati diventerà fondamentale, non tanto e non solo per sopperire alle esigenze di cassa, ma per costruire una innovativa visione di sviluppo. “Una finestra sul futuro”, come ha detto ieri l’amministratore delegato di Webuild, Pietro Salini, intervenendo al dibattito organizzato alla Luiss su un paper Assonime illustrato dal direttore generale Stefano Firpo e dedicato proprio al PPP “driver per l’innovazione e la sostenibilità”. E per dirla con le parole di Paola Severino, presidente della Luiss School of Law e della Scuola nazionale dell’amministrazione, “a livello internazionale, essere muniti di un modello organizzato è una necessità per essere selezionati”. Quello che l’Italia ha fatto sempre fatica a costruire è un “modello organizzato”: la storia del Ppp – dentro e fuori del codice degli appalti – è una storia di fallimenti, di scorciatoie senza concorrenza costruite per sopperire alle risorse mancanti dal lato pubblico e alle occasioni di business con un mercato degli appalti fermo o stantìo dal lato privato più che per portare il valore che in altri Paese contribuisce a creare.
C’è ora l’occasione di una nuova partenza, innescata anche dalla riforma contenuta nel nuovo codice degli appalti che, senza risolvere tutto, fa comunque notevoli passi avanti soprattutto in termini di chiarezza, sposando anzitutto il concetto-chiave delle direttive Ue che Ppp, project financing e concessioni esistono nella misura in cui il rischio viene trasferito sul privato. Sintetizzando con le parole del presidente di Anac, Giuseppe Busìa, i fronti principali da risolvere sono tre: qualificazione “aggiuntiva” delle stazioni appaltanti, corretta valutazione del rischio, concorrenza che oggi è fortemente limitata dal fatto che il diritto di prelazione del promotore di fatto manda deserte quasi tutte le gare.
Ma andiamo per ordine e cominciamo dal paper Assonime.
Il position paper di Assonime
“Soprattutto in periodi caratterizzati da una notevole contrazione delle risorse economiche e da un elevato indebitamento pubblico – è il punto di partenza del position paper di Assonime – il PPP consente di finanziare progetti di pubblica utilità con il concorso di privati senza dover gravare sulla finanza pubblica. Perché ciò avvenga, tuttavia, è necessario poter contare su elevati standard di efficienza della pubblica amministrazione, dirimere alcune incertezze normative in merito, tra l’altro, al diritto alla prelazione che può essere fatto valere dal promotore privato del progetto. E sviluppare schemi contrattuali innovativi e più flessibili rispetto ai tradizionali modelli di collaborazione con il privato”. Il documento svolge, per altro, un’interessante incursione in alcune forme innovative di PPP, prendendo spunto dal fatto che il nuovo codice degli appalti apre a “forme atipiche” di partenariato, e pone l’attenzione sulle esperienze di paesi all’avanguardia, come gli Stati Uniti, dove forme di partenariato come le innovation challanges sono largamente utilizzate in settori strategici come lo spazio e la difesa.
“Il PPP è uno strumento utile per favorire un ammodernamento dell’apparato infrastrutturale del paese e per innovare molti servizi erogati dalla PA – ha sottolineato Firpo – soprattutto in un momento nel quale gli spazi di manovra della finanza pubblica appaiono limitati. Forme di partenariato hanno iniziato a diffondersi anche all’interno dei progetti finanziati con il PNRR ma ancora in modo troppo limitato; ciò ha impedito di finanziare molti progetti di indubbia utilità sociale. Gli strumenti giuridici e gli approcci regolatori promossi meritoriamente dal nuovo codice degli appalti da soli non bastano, occorrono anche mercati e iniziative capaci di attrarre l’interesse di promotori e investitori. E, ovviamente, anche una pubblica amministrazione all’altezza dei nuovi compiti”.
Il paper sottolinea, come elementi di criticità da risolvere, anzitutto “la mancanza di formazione e competenza in materia di moltissime stazioni appaltanti”. Valutazioni errate dei Ppp – che generalmente sono strumenti off balance, quindi non gravanti sulla finanza pubblica – possono risultare particolarmente rischiosi, in assenza di valutazioni adeguate, perché possono portare a una riclassificazione dei progetti da off a on balance. Quindi è centrale il tema di una qualificazione delle stazioni appaltanti che vada oltre “i requisiti di tipo formale” che “non fanno affatto riferimento a competenze di tipo economico finanziario indispensabili in queste circostanze”. L’altro profilo critico è dato dagli “effetti anticoncorrenziali del diritto di prelazione” di cui si è ampiamente discusso nel dibattito alla Luiss.
Il dibattito alla Luiss
“Il partenariato pubblico-privato – ha detto Severino – costituisce una delle strategie più efficaci per affrontare sfide delicate e cruciali per il nostro Paese, comprese quelle poste dal tema della sostenibilità e dal crescente bisogno di innovazione. Il successo di questi modelli si deve alla duttilità delle forme con cui tale collaborazione può implementarsi, rendendo assai proficuo il ‘dialogo’ in quegli ambiti che richiedono la compartecipazione del “mondo privato” nella realizzazione di interessi generali”.
Molti gli spunti emersi dal dibattito che si è tenuto alla Luiss. Quello più insistente ha riguardato la qualificazione delle stazioni appaltanti per cui risulta del tutto insufficiente il percorso, pure virtuoso, avviato dall’Anac sulla qualificazione “generale”. Lo stesso Busìa ha detto chiaramente che “ci vuole una competenza in più per valutare il Ppp, ma non è pensabile che questa competenza sia presente diffusamente nelle singole stazioni appaltanti, mentre dobbiamo perseguire il modello dei centri di competenza specializzati, che esistono già e che sempre più devono essere al servizio delle altre pubbliche amministrazioni”. Qui il nodo è quello degli enti locali che, a differenza delle amministrazioni centrali, “non sono obbligati a fare ricorso a questi centri di competenza, ma noi dobbiamo spingerli perché lo facciano”.
L’altro elemento che si è affacciato continuamente nel dibattito è il “corretto” trasferimento del rischio sul privato. “In questo il codice ha fatto un grande passo avanti perché il trasferimento del rischio sul privato segna il confine fra Ppp e appalto – ha detto Busìa – ma è fondamentale che le pubbliche amministrazioni dicano chiaramente attraverso le loro linee guida che cosa vogliono da un’operazione di Ppp perché questo aiuta l’operatore privato a individuare la strada corretta per arrivarci. Le amministrazioni pubbliche devono anche imparare a pensare non solo alle risorse che possono acquisire tramite il Ppp ma al valore che possono creare tramite un rapporto con il privato che io penso debba essere un patto di lungo periodo”.
Quanto alla concorrenza, Busìa ha detto che “siamo messi peggio di quanto si dica perché il risultato che produce il diritto di prelazione del promotore è che la gara non si fa proprio perché altri potenziali concorrenti non partecipano”. Una via di uscita rispetto a questa scarsa partecipazione alle gare potrebbe essere quella suggerita da Marcello Clarich, ordinario di diritto amministrativo alla Sapienza di Roma, che ha ricordato l’istituto del dialogo competitivo, riproposto dal codice degli appalti ma praticamente inutilizzato in Italia. “Tutte le imprese che partecipano preventivamente rispetto al momento dell’offerta possono contribuire a modificare i criteri con cui vengono valutate le offerte”, ha detto Clarich.
Salini, che ha ricordato come Webuild abbia dieci miliardi di Ppp su 67 miliardi di portafoglio, ha detto con la consueta concretezza che “se vogliamo centrare un risultato, aldilà della velleità di dire che il Ppp è una parte importante del codice degli appalti, dobbiamo capire come si fa a coinvolgere i privati e tirare fuori le loro specialità e come si fa a coinvolgere la finanza per finanziare i progetti”. Sul trasferimento del rischio ai privati, Salini ha spiegato che l’impresa gestisce “competenze di carattere professionale quando realizza degli impianti e può quindi accollarsi il rischio tecnico, ma non gli possiamo dare il rischio di mercato perché il rischio di mercato allontana la finanza di progetto che invece vuole certezze”. Salini ha poi lanciato la proposta che “su acqua, energia, ospedali, scuole e carceri servono oggi stazioni appaltanti nazionali”. Un modello che sembra richiamare e rilanciare una tipologia di concessionario di committenza molto in auge negli anni ’70 e ’80 (Italposte, Italsanità, ecc.) che farà certamente discutere considerando l’esigenza – posta da più parti e dallo stesso Busìa – di avere centrali di committenza specializzate per settori.