DOPO L'INTERVENTO DI PAOLA DELMONTE
Rigenerazione urbana, i fallimenti del passato e lo spazio per il nuovo imprenditore etico
Si tenta, da più di una legislatura, l’approvazione di una disciplina nazionale
13 luglio
Non voglio ulteriormente intervenire su questi temi, c’è abbastanza carne sul fuoco e sembra ci sia anche una convergenza politica su alcuni elementi tecnici comuni contenuti nei vari DDL in corso di discussione: la dichiarazione di pubblico interesse delle aree oggetto di intervento di rigenerazione urbana, l’istituzione di un fondo finanziario dedicato, una forma di pianificazione / programmazione nazionale dei fondi, ecc. Vedremo cosa ne uscirà.
Mi voglio dedicare ai due temi aperti nell’articolo che mi ha preceduto (Rigenerazione urbana, la priorità è un centro istituzionale di competenze e il PPP di Paola Delmonte). Come è risaputo, un tentativo di creare un centro di competenze, di livello interministeriale c’è stato: con l’istituzione del Comitato interministeriale per le politiche urbane in base alla legge 134/2012, si è inteso creare, appunto, un “centro di competenze” non legato ad un singolo dicastero, ma incardinato presso la Presidenza del Consiglio dei ministri per supportare le “politiche urbane”. Una locuzione che oggi non può che essere sovrapponibile alle “politiche per la rigenerazione urbana”, con l’accezione ampia, multi-istituzionale e multi-disciplinare che oggi possiede la dimensione urbana, territoriale e dell’ecosistema.
Probabilmente, ideato e istituito il CIPU come un punto governativo intelligente e partecipato, oltre al cervello, sarebbe stato necessario costruirgli intorno un “corpo” e degli organi; una valida struttura tecnica di supporto, competente in diverse materie (ambiente, urbanistica, sociologia, paesaggio, cultura, … per usare le nomenclature tradizionali che oggi sono chiaramente non sufficienti rispetto alla complessità reale dell’ambiente urbano) e in grado di acquisire conoscenze in modo dinamico, di cooperare con le moltissime istituzioni, strutture, associazioni, ecc. che sul territorio “ascoltano” le esigenze, i fabbisogni e, a volte, in modo isolato cercano di fare fronte a situazioni emergenziali di degrado urbano e sociale che spesso non sono anomalie, ma costituiscono una fisiologica – talvolta anche criminale – modalità di “gestione” reale del territorio.
Non aver dotato il CIPU di questo “corpo” lo ha relegato ad essere uno dei soggetti che non hanno la possibilità concreta di incidere, specie se si opera con piani, programmi e progetti che, come sempre, seguono l’opportunità di finanziamento, nazionale o europeo, in una lotta darwinistica tra Enti territoriali, sempre più sfibrati dalla carenza di personale dirigenziale e operativo. Infatti, il PNRR, come era prevedibile, sta mettendo in luce un’altra carenza che arriva da lontano, da decenni di tagli alla spesa pubblica: la mancanza di una politica di qualificazione professionale degli Enti territoriali, un’azione più stringente verso la cooperazione degli stessi Enti, soprattutto per i settori di specializzazione, che la legge “Delrio” sembra avere solo scalfito, l’istituzione un supporto istituzionale che sviluppi, realmente, il concetto di sussidiarietà verticale anch’esso entrato nella Costituzione circa venticinque anni fa.
Inoltre, mi sembra che l’attuazione del PNRR metta in luce anche la capacità di cooperare, di collaborare e di copianificare tra le Istituzioni. Troppo difficile, troppo lungo, troppo complesso, intervenire su questi argomenti? Temo di sì. Un’amministrazione, centrale e locale, preparata, professionale e competente (anche pagata adeguatamente e dotata di strumenti moderni?) è il giusto presupposto per gestire processi di riqualificazione basati sul Partenariato pubblico-privato. Anche su questo occorre fare qualche precisazione, vista l’inflazione che la formula PPP sembra avere come modalità “salvifica” di risolvere ogni questione, dappertutto e con tutte le condizioni amministrative, economiche, territoriali, sociali.
Non credo di scrivere una grande novità se richiamo l’attenzione sul fatto che il PPP può funzionare se esistono delle condizioni di legittimità, derivanti dal codice dei contratti e dall’interesse pubblico dichiarato e se, in condizioni di disequilibrio finanziario, sia possibile intervenire con finanziamenti pubblici correttivi di riequilibrio. Ma la rigenerazione urbana postula, quasi sempre, fatti salvi alcuni “mercati” dinamici e in espansione, un “fallimento” che è composto da disagio sociale, disoccupazione, carenza di servizi, degrado ambientale, sottocultura, ecc. al quale l’unico rimedio possibile sembra essere un nuovo privato imprenditore/investitore etico che operi in stretta connessione con la parte pubblica con una logica sia pure rivista, corretta e aggiornata, più simile ai “vecchi” programmi integrati e complessi che alla disciplina della concessione di costruzione e gestione di opere pubbliche. Esiste o potrebbe esistere questo nuovo soggetto privato? Forse è anche più difficile che si manifesti e necessita di tempi ancora più lunghi rispetto ad una seria riforma della PA centrale e locale perché dovrà evolvere, con i tempi necessari, anche una nuova dimensione culturale di fare impresa, che sta lentamente emergendo.
*Architetto e urbanista.