Il garbo di Ponticelli
“Maria….ma che vuol dire essere stata maestra per te?” Le chiese un pomeriggio Francesco mentre mettevano a posto le sedie, dopo la lezione di teatro.
Maria teneva lo sguardo basso, concentrata nella puntale sistemazione delle sedie in fondo alla sala, alla domanda sollevò lo sguardo e tirò su gli occhiali, scivolati come sempre sulla punta del naso. Sorrise ripensando a tutti i tasselli della sua vita e con un sospiro sedette sulla sedia. Francesco la guardò come rapito da quel gesto così puntuale, “a tempo di teatro” pensò, allora si sedette e colse al volo l’occasione di ascoltare una storia nuova, lui che dell’ascolto aveva fatto mestiere. (…)
Insegnava teatro, al centro Ciro Colonna di Ponticelli. Francesco aveva scelto di unirsi ai Maestri di Strada di Napoli e usare il teatro come strumento rigenerativo, quel teatro capace di tirare fuori il meglio dai ragazzi e dalle ragazze in quella periferia di Napoli, dove capire le anime e le relazioni che si creano tra le persone diventa il fuoco per scrivere uno spettacolo.
Ora Francesco era seduto di fronte a lei, in attesa che quel respiro profondo si trasformasse in parole, immagini, in teatro di verità.
“Tu lo sai Francè, ho fatto la maestra per tutta la vita, e ora qui con voi faccio la nonna…sì, la nonna, ma una nonna che continua a imparare ogni giorno dai ragazzi, e dai tuoi occhi che cercano sempre qualcosa di vero, Francè – disse Maria mentre fissava una fuga tra le mattonelle del pavimento, quasi a cercare una direzione – Essere una maestra…significava, e significa ancora…mettermi di fronte a qualcuno e dire: guarda, ci sono io, e ci sei tu. Ci sono le tue emozioni, le tue scoperte, le tue cadute, così come ci sono le mie. Non c’è bisogno di essere grandi, di sapere tutto. Ci vuole solo attenzione, gentilezza, e un po’ di coraggio”.
“Coraggio? Nella gentilezza?” le chiese Francesco intento a seguire ogni parola, ogni gesto. “Sì, Francè. Il coraggio di non mollare quando sarebbe più facile alzare la voce. Di restare là, vicino, a quel ragazzo o a quella ragazza che ti sfida, ti insulta, ti ignora. Di fare un passo indietro per lasciare spazio, e uno avanti quando serve una guida. È un equilibrio sottile, fragile, come il vetro, bisogna essere garbati. È aiutare a crescere senza sostituirsi. È mostrare la via senza percorrerla al posto loro. E questo vale anche per me, credimi: ogni volta che entro in questa sala, ogni volta che vedo un ragazzo provare una scena, capisco che sto imparando ancora, che sto crescendo anch’io, che mica sono brava come loro io! – disse Maria mentre una risata le balzava fuori spontanea – E mo’ te la faccio io una domanda Francè – incalzo portandosi avanti col busto sulla sedia- Ma il teatro per te cos’è? Come si muove dentro le vite di questi ragazzi?”
Francesco portò le mani al mento, mentre il pensiero andava ai suoi allievi palpitanti prima di entrare in scena: “Io non ho mai saputo bene dove comincia il teatro, se sul palcoscenico, o nella strada, o dentro la pancia. Forse comincia quando qualcuno si ferma e ascolta. Qui nel teatro con i ragazzi e le ragazze di Ponticelli forse comincia quando un ragazzo ti guarda e per la prima volta capisci che ti sta credendo. A Ponticelli ci sono arrivato come si arriva nei luoghi che non ti aspettano. Con una valigia piena di strumenti, intenzioni e una paura dentro: Mi capiranno? Ci crederanno che il teatro è verità?”
Maria si alzò come se non riuscisse a tenere la smania di tutte le parole che aveva nella testa: “Francè… tu sai cosa significa lavorare qui, in periferia? Non è solo insegnare, non è solo teatro… è tenere insieme pezzi di vita che altrove verrebbero persi. Ci sono ragazzi che sembrano scomparire dentro se stessi o dentro il sistema. Il loro mondo spesso è fatto di una serie di non ce la farai mai. E tu…tu devi trovare la scorciatoia per raggiungerli, per acchiapparli prima che finiscano in un vicolo buio. Ragazzi che crescono spesso senza punti di riferimento, senza esempi…e poi…arriva il teatro…dal niente per loro, che manco lo capiscono bene all’inizio, ma che con attenzione si prende cura di ognuno. Tu lo sai fare bene questo – disse Maria sopra il sorriso di Francesco imbarazzato – Tu fai un lavoro che cambia la misura del tempo; un lavoro che si fa piano,
che segue il tempo di ognuno mentre segna il tempo della scena. In questo alternarsi, ognuno riesce quindi a trovare il suo spazio, il suo tempo.”
“Grazie Maria, il teatro con questi ragazzi è per me il teatro più grande che ci sia, perché nasce prima del mestiere di teatrante. Nasce dal bisogno loro di dire: Io ci sono. E quando un ragazzo o una ragazza lo dice davanti agli altri, passando sopra la paura col coraggio, allora è lì che la scena diventa verità”
“Hai presente Carmine? – chiese Maria – lui veniva a scuola da me, era un ragazzo silenziosissimo. Due mesi prima non diceva nulla, non guardava nessuno. Poi, è venuto da te a teatro e ha parlato, così come se niente fosse…”
“Eh, con lui un giorno abbiamo fatto un esercizio di improvvisazione – continuò Francesco mentre dondolava dall’entusiasmo sulla sedia – Doveva raccontare una storia senza parole, solo con i gesti. Aveva le parole lì, sulla punta della lingua, ma non uscivano con la voce. Ha iniziato a muoversi, a parlare senza parlare… e poi è scoppiato a ridere. La prima volta sua davanti a tutti. Maria… quella risata… era vita. Quella risata negli incontri successivi si è trasformata in parole”.
“Ah, il teatro… – disse Maria sedendosi di nuovo sulla sedia – Quando vi ho incontrato la prima volta, non sapevo nemmeno che facevate teatro, ti ricordi Francè? Mi dissero che l’Associazione Maestri di Strada doveva fare un progetto nella scuola nostra. Io ancora lavoravo, non ero in pensione come ora. Io conoscevo l’associazione vostra, me la ricordavo dal 1988 quando nacque il famoso progetto Chance, quello che aveva acceso la speranza di essere sostenuti, nei giovani e giovanissimi …che tristezza quando fu chiuso nel 2009, per fortuna i Maestri di Strada continuano ad alimentare quella speranza. Dal fondatore Cesare Moreno in poi, proprio come te Francesco. E da lì è cominciato tutto: scritture, spettacoli. E ora io, che non riesco a stare ferma manco in pensione, vengo al corso di teatro qui a Ponticelli, e recito pure la parte della nonna nello spettacolo! E che bello vedere i miei ex alunni che mi guardano e dicono: prof, brava!
L’ultimo spettacolo che abbiamo fatto io tremavo prima di entrare in scena, e loro mi rassicuravano: Prof, non ti preoccupare, andrà benissimo.”
Le risate e le parole di Maria facevano le capriole per la stanza, e pure se stava ferma sulla sedia, la sua presenza irradiava lo spazio. Francesco la seguiva come quando guardi uno spettacolo e sei così dentro la storia da sentirti sul palcoscenico insieme a chi la canta. E così canto anche lui: “Maria tu ha portato dentro questo gruppo un modo di stare accanto. Quella cosa che fa una maestra quando non ti corregge la frase, ma ti guarda e ti dice: ce la puoi fare. E allora tu la scrivi meglio quella frase. Perché ti senti visto. E quando ti senti visto riesci a stare in piedi. Noi veniamo da una scuola che confonde spesso l’errore con la colpa. Ma l’errore, nel teatro, è oro. E tu lo sai da prima di fare teatro. Tu lo sai che l’errore è una fenditura da cui passa la luce. È il punto dove nasce la verità. E tu sai che quella verità va custodita, e che la fenditura deve respirare, come una ferita. Solo così diventa forma, ritmo, parola. A volte penso che a Ponticelli abbiamo fatto il teatro della rigenerazione umana, anche grazie al tuo stare con noi, a quel tuo garbo di stare con noi, al tuo incoraggiamento senza dire nulla. Ogni volta è una scoperta in questa sala, e ogni volta ci arriva addosso come una valanga di verità. Perché il teatro cerca sempre un senso in quello che compie in scena, e questo per questi ragazzi, vuol dire dare un senso anche al fuori. Marì, la fame di senso è universale, pure quando la fame vera brucia nello stomaco – disse Francesco sfregandosi le mani come a cercare altre parole e poi continuò – qui a Ponticelli impariamo tutti insieme ….”
Maria annuì e con un sorriso che gli si spalancava piano disse: “Proprio così, Francè, e questa è la bellezza di essere maestri. Non solo insegnare, ma anche accogliere, custodire, e lasciarsi trasformare. Guarda me…hai capito che giro? Dopo quarant’anni che incoraggio loro, oggi sono loro, quegli allievi, che incoraggiano me a teatro, che mi fanno da maestri. Io glielo dicevo quando andavo a scuola e glielo dico ancora: voi siete la parte migliore di Ponticelli. Lasciate agli altri le notizie brutte. Voi siete la parte bella, quella che non fa il rumore della criminalità. Quella lasciatela a chi nun tene nient. Voi avete voi stessi. Voi siete il garbo di Ponticelli”.
Maria poi si alzò e iniziò, seguita da Francesco, ad impilare le sedie in fondo alla sala, per lasciare il posto all’attività successiva del centro. Mentre muoveva corpo e mani in questa azione Francesco pensò che tutto era possibile, anche il Centro Ciro Colonna di Ponticelli, che con fatica portava avanti le sue attività, che con fatica provava col teatro e non solo a costruire comunità in quel quartiere così maltrattato, anche il centro Ciro Colonna imparava, insegnava, cresceva. Francesco rivide le risate e i passi incerti, la vita che si era accumulata in quel centro. Quel posto era vivo, accoglieva ragazzi, ragazze e tantissime persone che come Maria rappresentavano ognuno a modo suo il garbo di Ponticelli.
In quel silenzio teatrale e leggero, Maria, come se avesse ascoltato i pensieri di Francesco, si voltò verso di lui e disse: “Il garbo di essere gentili, questo conta, trovare il garbo, l’ascolto giusto e cercare la bellezza anche dove sembra impossibile. E questo centro ora è un posto bello, assai Francè”.
Ringraziamo Maria, Nicola, i Maestri di Strada di Napoli e tutte le vite attorno al Centro Ciro Colonna di Ponticelli, per averci ispirato. La storia prende spunto dalle interviste ad alcuni di loro.
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