ECCO, ASVIS, WWF, GREENPEACE

“Manovra, servono fondi e fiscalità per la transizione verde. Risorse da Ets 1 e 2, riforma dei Sad e nuove imposte ai voli di lusso”

04 Nov 2025 di Mauro Giansante

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“Manovra, servono fondi e fiscalità per la transizione verde. Risorse da Ets 1 e 2, riforma dei Sad e nuove imposte ai voli di lusso”

Favorire l’elettricità al gas nelle scelte fiscali, riformare i sussidi ambientalmente dannosi e istituire fondi per biodiversità e adattamento climatico. Il mondo ambientalista delle associazioni e dei think tank tuona contro la manovra 2026 proposta dal governo, descrivendola come ampiamente insufficiente per la transizione energetica. Il centro studi Ecco, ad esempio, ha spiegato ieri in audizione tramite il direttore e cofondatore Matteo Leonardi che “oggi, la maggiore efficienza delle tecnologie pulite nei trasporti e nel riscaldamento non si traduce in un vantaggio economico per i consumatori”. Secondo le analisi Ecco, “una parte significativa dei risparmi, ottenuti dalla maggior efficienza delle tecnologie, è intercettata da tasse e oneri che gravano sull’energia elettrica, il triplo rispetto al gas”. Di qui, “l’urgenza di un aggiornamento della fiscalità energetica rispetto agli obiettivi di competitività e ambiente”. Per andare a ridurre la spesa di famiglie e imprese, valorizzando la competitività. In concreto, si dovrebbe procedere verso la “rimozione degli oneri parafiscali (aesos) che oggi ostacolano lo sviluppo dell’infrastruttura di ricariche dei veicoli elettrici e penalizzano le imprese che elettrificano i consumi”; l'”allineamento di accise e Iva tra gas ed elettricità per uso domestico, eliminando i sussidi impliciti ai combustibili fossili, per facilitare la piena elettrificazione delle abitazioni; la “riforma delle accise nel settore industriale per bilanciare lo squilibrio tra gas ed elettricità che ostacola l’elettrificazione dei processi produttivi”. Infine: il “finanziamento delle misure attraverso i proventi Ets, la riforma dei sussidi ambientalmente dannosi e nuove forme di imposizione su aviazione di lusso e extra-profitti fossili”. Secondo Leonardi, “una riforma di questo tipo non comporterebbe necessariamente una perdita di gettito, ma rappresenterebbe un riequilibrio capace di rendere l’energia più accessibile, sostenibile e sicura per l’Italia”.

Anche per il Wwf occorre mettere pesantemente mano alla manovra. Su tanti fronti ma anche su quello energetico e ambientale. L’associazione, infatti, sostiene che la manovra presentata dall’esecutivo Meloni ignora la crisi climatica “e taglia i fondi per la protezione del territorio e della natura. La spesa stanziata per gli interventi relativi alla cultura, l’ambiente, la qualità della vita assorbe ancora solo lo 0,8% del totale”. Così come manca di una visione lunga per sostenere l’industria verde e decarbonizzare davvero l’economia del Paese. Di qui, le proposte: “un fondo per la tutela della biodiversità, un fondo per l’eliminazione dei combustibili fossili da 6 miliardi di euro e un fondo nazionale di adattamento climatico da tre miliardi”. E’ inaccettabile che si continuino a bloccare miliardi di euro per il Ponte sullo Stretto mentre il Paese ha ben altre priorità, sostiene il Wwf. Quelle risorse potrebbero finanziare interventi per l’adattamento, la ri-naturazione, l’energia pulita e la decarbonizzazione, scelte che sarebbero insieme più utili per l’ambiente e più favorevoli all’economia nazionale. Infine: “è anche il momento di dare un segnale di equità sociale e a tal fine si propone un contributo di solidarietà sui titoli di viaggio destinati alla classe business e di prima classe e sui voli aerei privati i cui proventi saranno destinati al Fondo per la Transizione Industriale e al Fondo Italiano per il Clima. Inoltre, sarebbe altamente ingiusto destinare a spese correnti i soldi del Fondo Sociale per il Clima, istituito a livello europeo nel quadro del sistema Ets dal momento che il fondo nasce proprio per aiutare le fasce vulnerabili nell’accesso alla transizione”.

Anche per l’Alleanza per lo sviluppo sostenibile la manovra è insufficiente (anche) sul fronte della transizione verde. “Dal 2026 bisogna attuare il Piano integrato per la tutela e il ripristino della natura. Non ci sono fondi su questo tema e questo ci preoccupa molto”, ha spiegato in audizione il direttore scientifico dell’Asvis Enrico Giovannini. Che concorda con gli altri soggetti sul tema Sad: “trasformandoli in sussidi favorevoli per l’ambiente”. Ma sono tante le misure proposte, a confronto con quando inserito sin qui in Legge di Bilancio. Anzitutto: un Pniec più ambizioso; una Legge sul clima; il rispetto del 100% rinnovabili sull’elettrico al 2035; l’adeguamento del Piano sociale clima e i fondi per il Piano integrato tutela e ripristino della natura. Ma serve, poi, un piano strutturale di azioni che includa la Revisione della Snsvs entro i primi mesi del 2026 e la definizione del Piano di accelerazione trasformativa.

Infine, anche Greenpeace ha rimarcato la mano sul fatto che “scorrendo le 175 pagine della nuova legge di bilancio, la crisi climatica è assente. Viene menzionato il clima in un solo articolo con fondi del tutto inadeguati: solo 350 milioni di euro nel 2026 per la riduzione del rischio idrogeologico, quando i danni dell’alluvione dell’Emilia-Romagna del 2023 sono stati quantificati in 8,5 miliardi”. Ha aggiunto Sofia Basso, dell’associazione, che “il settore dei combustibili fossili è il grande assente della legge finanziaria, nonostante l’accumulo di profitti record dalla crisi pandemica e dal conflitto in Ucraina. Questi extra profitti sono stati in gran parte ridistribuiti agli azionisti invece di essere reinvestiti nella transizione energetica. Come Greenpeace, quindi, esprimiamo la nostra più ferma e netta condanna”.

Insomma, secondo gli addetti del settore la manovra è molto grigia e poco verde. A dirlo, inoltre, sono i numeri presentati sempre ieri da Ecco nel monitoraggio sui target Pniec alla vigilia della Cop30 in Brasile. Attualmente, il piano è fermo al 20% rispetto al 2030 con i trasporti e il settore civile in grave ritardo al netto dei 12 miliardi di danni prodotti dal clima nel 2025.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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