IL SEMINARIO IFEL

Bilancio Ue 2028-34, critiche su politica di coesione e tempi stretti sugli investimenti (N+1). “Ma sarà difficile cambiare”

30 Ott 2025 di Giorgio Santilli

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Bilancio Ue 2028-34, critiche su politica di coesione e tempi stretti sugli investimenti (N+1). “Ma sarà difficile cambiare”

Pierciro Galeone, direttore Fondazione Ifel

Il seminario organizzato dalla Fondazione IFEL sul Quadro pluriennale finanziario 2028-34 dell’Unione europea ha fatto già emergere in modo netto le due principali criticità che creerà per l’Italia la proposta presentata dalla commissione Ue lo scorso luglio: il ridimensionamento e la “nazionalizzazione” della politica di coesione e i tempi strettissimi per eseguire e contabilizzare gli investimenti (la regola N+1 che dà un margine di dieci mesi dalla scadenza del programma naziché i due anni attuali). Dal seminario è venuto fuori abbastanza chiaramente, però, anche che non sarà per niente facile modificare i pilastri del QPF mentre la lunga negoziazione, un anno e mezzo, consentirà di discutere elementi di dettaglio che possono incidere in modo rilevante sul risultato finale. Alla base della discussione che si è tenuta all’IFEL, il documento predisposto dalla stessa Fondazione, con un gruppo di lavoro coordinato dal direttore del dipartimento Fondi Ue e investimenti territoriali, Francesco Monaco, che Diario DIAC ha anticipato in un articolo di martedì 26 ottobre (che si può scaricare qui).

Galeone: investimenti dei comuni da 8,4 miliardi nel 2018 a 21 nel 2025, decisivo l’impatto delle politiche Ue

Il direttore di Ifel, Pierciro Galeone, ha spiegato, nella sua introduzione iniziale, la ragione del seminario, ripercorrendo l’impatto decisivo che le politiche e le regole europee hanno avuto sulle diverse fasi della finanza pubblica negli ultimi venti anni e chiosando che “organizziamo questo genere di iniziative perché è meglio capire direttamente cosa ci chiede l’Europa mentre le politiche si approvano piuttosto che ce lo venga a spiegare un funzionario del governo a cose fatte”. Galeone ha ricordato che, proprio per effetto delle politiche Ue, dalla stretta del patto di stabilità al Pnrr, gli investimenti dei comuni sono passati dagli 8,4 miliardi del 2018 al record di quest’anno con 21 miliardi.

Boeri (Farnesina): queste le direttrici del negoziato per l’Italia

Il consigliere legislativo della Direzione generale per l’Europa del ministero degli Affari Esteri, Umberto Boeri, ha ricordato le principali novità della proposta e si è poi soffermato sulle “direttrici di negoziazione” che il governo italiano si sta dando. Boeri ha ricordato quanto sia importante la elevata flessibilità dell’impianto del QPF, anzitutto “perché solo grazie a questa flessibilità, la Germania e altri Paesi del Nord Europa sono disposti ad accettare la dimensione delle risorse in bilancio”, poi per gli effetti e i rischi che comporta, in particolare “impone margini di manovra molto importanti all’interno del QPF che avranno ricadute anche sui bilanci annuali”. Boeri ha anche ricordato che, oltre alla procedura speciale che porterà all’approvazione del QPF (senza l’accordo fra le istituzioni europee, il cosiddetto trilogo, ma con la sola possibilità per il Parlamento di rigettare l’accordo nel Consiglio), andranno approvati invece con procedura ordinaria 25 regolamenti settoriali attuativi. Altra considerazione, “la logica di forte semplificazione perseguita dalla commissione, per esempio con la riduzione da 52 a 16 programmi e da 7 a 4 rubriche”. Un aspetto importante, anche nel confronto delle risorse di questa programmazione con la precedente, è la sottrazione ch eoccorre operare, rispetto al totale di 1.984,89 miliardi di euro, dei 198 miliardi di rimborso del Pnrr, 24 miliardi l’anno.

L’aspetto più interessante dell’intervento di Boeri è stato quando, nella replica, ha indicato – anche facendo tesoro del dibattito – le “direttrici su cui l’Italia sta insistendo”. La prima è “metodologica, che questo negoziato deve essere fondato sulla piena comprensione di tutti gli aspetti della proposta, compresi i regolamenti che stiamo approfondendo”. La seconda è riferita alla fusione in un fondo unico della politica agricola e della politica di coesione: “queste politiche tradizionali dell’Unione – ha detto Boeri – devono mantenere una propria integrità e visibilità, anche perché previste dai Trattati che vanno rispettati”. Si tratta di una risposta alle molte preoccupazioni emerse nel seminario, soprattutto a quella – avanzata da Massimo Bordignon – che le politiche facenti parte di un fondo unico possono andare incontro a compensazioni reciproche, in base anche alle preferenze degli Stati o alla forza data dalle loro consituency politiche. “Dovremo vigilare – ha aggiunto ancora Boeri – anche perché è altissima la flessibilità nella governance dei fondi”. Infine, Boeri ha assunto un impegno a porre come prioritaria per la posizione italiana la questione del 5+1. “Credo che il negoziato – ha concluso Boeri – difficilmente potrà mettere in discussione i pilastri della proposta, ma il negoziato su molti aspetti importantissimi di dettaglio potranno modificare anche sostanzialmente il risultato finale”.

Fanelli: regola N+1 inaccettabile per l’Italia e impossibile da rispettare

Micaela Fanelli, esperta delegata ALI per le politiche europee, è stata la prima a sollevare con molta forza le due questioni critiche emerse nel dibattito. Anzitutto ha denunciato il tentativo di ridimensionare le politiche di coesione e “lo spostamento radicale del bilancio verso le politiche di competitività” con il risultato di un indebolimento del “pilastro della solidarietà”: una manovra contro cui – ha detto – “occorre costruire un’alleanza per la coesione in Italia e in Europa”. Bersaglio di questa alleanza anche “il forte accentramento che mette in disscussione uno degli aspetti virtuosi della politica di coesione, l’essere una politica place-based”. Ancora più drastica Fanelli è stata sulla regola N+1. “Dobbiamo dire chiaramente qui e nel negoziato che la regola N+1 è inaccettabile per l’Italia e impossibile da rispettare per come è organizzata. Chiediamo al governo su questo punto di fare una battaglia fortissima”.

Bordignon: risorse sulle nuove politiche, compromesso sulla coesione

Molto articolato l’intervento di Massimo Bordignon che ha rilevato anzitutto come le dimensioni del bilancio in termini reali restino inalterate, ma – ha sottolineato – “con le politiche tardizionali dell’Unione, agricoltura e coesione, che passano dalla quota del 70% a una quota del 45% del totale e una riduzione in termini reali dell’ordine del 30%”. Seconda considerazione, “scompare la governance multilivello che aveva consentito alle Regioni di avere una ampia autonomia nell’allocazione dei fondi”. Terza considerazione, “il modello diventa quello del Pnrr, con una forte semplificazione e accelerazione della spesa, in base al principio espresso dalla stessa commissione che non è importante come fai le cose ma che cosa fai”. Quarta considerazione, nella ripartizione dei fondi “la quota non assegnata diventa molto più ampia, in particolare nella politica della coesione, anche se l’Italia ha una quota assegnata molto rilevante” in favore delle Regioni del Sud.

Bordignon si è dilungato sulle ragioni profonde del negoziato e sui suoi possibili risultati. “Trovo difficile – ha detto – che si torni indietro da questa impostazione, per due ragioni fondamentali: la prima è che i Governi nazionali non sono più disponibili a mettere più soldi nel bilancio europeo; la seconda è che sono emerse una serie di altre emergenze, la competitività, le nuove tecnologie, la difesa, la protezione delle frontiere, il rapporto Draghi, il rapporto Letta, il nuovo sistema geopolitico, che portano a una sostanziale condivisione della posizione che è fondamentale spingere su queste nuove politiche piuttosto che su quelle tradizionali. Considerati questi due fattori, il compromesso che offre von der Leyen, dopo aver tentato con scarso successo di allargare ancora il perimentro dell’azione della commissione, ora con la difesa come con la sanità ai tempi del Covid, è meno soldi sulla coesione, meno soldi sulle politiche tradizionali, ma più spazi per decidere l’allocazione dei fondi a livello nazionale, con meno interferenze da Bruxelles”. Il consiglio che offre Bordignon a chi vuole difendere il ruolo delle regioni e degli enti locali è di “non fare battaglie di retroguardia per tornare indietro, che non avrebbero successo, ma piuttosto chiedere da subito di stare con un ruolo di peso negli organismi nazionali di governance dei fondi e nei tavoli di coordinamento, con il duplice obiettivo di contrastare il rischio duplice del centraslismo e di un ulteriore ridimensionamento della politica di coesione”.

Bianchi (Svimez): le Regioni del Sud imparino a intercettare i fondi competitività

Anche Luca Bianchi, direttore della Svimez, concorda che si debba affrontare con realismo il nuovo impianto del QPF. In questa luce, “la domanda chiave è quante delle risorse disponibili nel bilancio europeo sono intercettabili dalle Regioni del Sud?”. Il bilancio non sarebbe necessariamente negative. Oltre alle risorse vincolate della coesione, le Regioni del Mezzogiorno dovrebbero chiedere di imporre condizionalità sui nuovi fondi come quello della competività. “Se si ridimensiona la politica della coesione a favore della compeititività – dice Bianchi – è legittimo dire basta alla coesione come surrogato di una politica per la competività; la coesione deve fare la coesione e ridurre i divari, mentre le Regioni del Sud devono avere accesso, alla pari delle altre regioni, al bazooka della competitività”.

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