L'EDITORIALE

Clima a Roma, urbanistica a Brescia: nuove frontiere partecipative

Oggi abbiamo deciso di aprire Diario DIAC con l’articolo di Mauro Giansante sulla presentazione fatta ieri dal sindaco di Roma Gualtieri e dal direttore dell’Ufficio clima di Roma Capitale, Edoardo Zanchini, del Climate City Contract. Trovate nell’articolo di Mauro (scaricabile qui) tutti i contenuti fondamentali del documento capitolino e le ragioni che hanno spinto Roma Capitale a farne un pilastro della propria strategia per il futuro della città.

Sarete liberi di farvi un’idea del valore di questa iniziativa, in un momento come l’attuale, in cui le politiche di contrasto ai cambiamenti climatici sono estremamente divisive e il Paese, nel complesso, non ha ancora fatto una sintesi su quale direzione vuole percorrere e con quale velocità. I nostri articoli dei giorni scorsi sulla conferenza Ance ‘Città nel futuro’, sui lavori di Ecco e Kyoto Club sulla direttiva Case green, sul rapporto Asvis e sulle parole con cui Giorgia Meloni chiede un cambiamento di rotta delle politiche europee sul clima portano voci diverse in questo dibattito.

La principale ragione per cui abbiamo deciso di dare la posizione più alta a questo articolo è, però, un’altra. E può sembrare addirittura secondaria rispetto all’urgenza e all’importanza del tema. Il Climate City Contract ha raccolto in un portfolio 523 azioni, che possiamo tradurre con una qualche approssimazione con il termine progetti. Di questi, 30 arrivano dall’amministrazione, mentre 493 arrivano dagli 80 stakeholder che Roma Capitale ha raccolto intorno al tavolo di questo “piano”.

24 Ott 2025 di Giorgio Santilli

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Dato un tema – come ridurre le emissioni – Gualtieri e Zanchini hanno deciso di dare un punto di riferimento all’azione che soggetti fondamentali per la vita della città avevano già avviato autonomamente o hanno prodotto in base allo stimolo arrivato dall’amministrazione. Istituzioni, società partecipate comunali, Università, enti nazionali di ricerca, istituti di credito ed enti finanziari, unioni industriali, fondazioni, associazioni, aziende private e cooperative, insomma tutti i soggetti che a Roma hanno un peso, da Bankitalia all’Enea, dalle controllate capitoline alle grandi aziende energetiche alle aziende industriali. L’obiettivo è informare gli altri di quello che già si sta facendo, tentare di indirizzarlo verso obiettivi comuni, provare a coordinare l’azione di soggetti scoordinati per definizione (per esempio le controllate capitoline), aggregare più soggetti possibili intorno a progetti nati da altri, individuare linee di azione che possono essere recepite in bandi degli appalti attraverso i criteri ambientali minimi, mettersi insieme per partecipare ai bandi di finanziamenti europei, sviluppare proposte e iniziative da sottoporre anche al governo.

Roma Capitale poteva decidere di presentare un piano di riduzione delle emissioni imposto dall’alto e tirare dritto, dopo aver  magari “ascoltato” un certo numero di soggetti. O poteva chiamare qualche megaconsulente a effetto per produrre un dibattito sterile. Invece si è messa a lavorare duramente con gli stakeholder, ha incrociato agende difficili, ha chiesto di rimboccarsi le mancihe, ha proposto un passo avanti a volte e un passo di lato altre volte. Ha imposto un lavoro che non c’era, uno spazio che non c’era, una stanza che non c’era. Ha chiesto di renderlo partecipato. E’ solo l’inizio, il vero lavoro comincia adesso.

Sapete che Diario DIAC ha un’attenzione quasi maniacale ai processi partecipativi in tutte le fasi della trasformazione territoriale. Oggi assistiamo a segnali importantissimi di uno spostamento a monte del modello partecipativo che in passato è stato rivolto soprattutto ai progetti, con risultati molto alterni, proprio perché la partecipazione spesso arrivava a cose decise. Ora viene sperimentata una partecipazione nella fase di programmazione. Non ci illudiamo affatto che sia facile e neanche che il risultato sia scontato, come abbiamo scritto anche a proposito di un’altra iniziativa che sta in questa stessa area sperimentale, l’Agenda Urbana Brescia 2050 (si veda qui l’articolo).  Queste iniziative vanno discusse, esaminate criticamente, messe al vaglio dei fatti. Le aperture di questi portali attraverso i quali si può creare un mondo nuovo, però, noi ve le dobbiamo raccontare, anche facendo un po’ di tifo che vadano avanti.

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