Bilancio Ue: risorse insufficienti, metodo Pnrr sui fondi di coesione. Il nodo debito comune
De Vincenti: il punto debole è la rinuncia a finanziare una politica per innovazione e competitività con un piano di emissione di debito comune analogo a Ngeu. Novità della proposta per il 2028-2034 è invece l’aumento di risorse alle politiche Ue per l’industria. Fitto (nella foto): connessione e sinergia tra Pnrr e coesione anche per superare difficoltà di attuazione del piano e avere programmazioni più efficaci.
16 Ott 2025di Maria Cristina Carlini
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CONVEGNO EMERGENZA CASA VERSO UN PIANO EUROPEO
Due punti di forza: sicuramente, l’aumento consistente delle risorse a disposizione delle politiche industriali europee e lo schema di governance che estende ai Piani di partenariato nazionali e regionali l’esperienza fatta con Ngeu e i Pnrr con un monitoraggio e un coordinamento verticale. Due i punti di debolezza: il primo è l’eccesso di condizionalità nei passaggi burocratici che ogni piano nazionale e regionale è chiamato a soddisfare; il secondo riguarda proprio la consistenza complessiva del progetto di bilancio che mostra una evidente sproporzione con i numeri del Rapporto Draghi per conseguire gli obiettivi di innovazione e competitività e soprattutto il fatto che si è rinunciato all’emissione di debito comune per finanziarli. In sintesi, ci sono una “eccessiva timidezza” nelle risorse messe in campo ed una “eccessiva complessità del quadro di governance dei fondi. E’, dunque, un quadro di luci ma con pesanti criticità quello che emerge dal position paper della Fondazione Merita sulla proposta di bilancio pluriennale 2028-34, presentato nello scorso luglio dalla Commissione Europea. Un lavoro che ieri Claudio De Vincenti ha illustrato in un convegno alla Luiss dal titolo “Scelte difficili per il nuovo bilancio Ue. Industria, coesione e sostenibilità”.
Claudio De Vincenti
Si parte dai numeri, dal confronto tra la proposta del Quadro Finanziario Pluriennale 2028-34 rispetto al QFP 2021-27. Secondo l’elaborazione di Merita, il precedente Qfp prevedeva 1.074, 300 miliardi (a prezzi 2018) che salgono nel 2028-34 a 1.763.056 con una variazione del 64.1% e del 28,5% corretta per l’inflazione. Tenendo conto di questo valore e al netto poi dei 149 miliardi di euro stanziati per il servizio del debito contratto per il finanziamento di Ngeu, la dotazione di risorse in termini reali risulta aumentata di quasi il 18%, Si tratta di un risultato riconducibile all’aumento del Reddito Nazionale Lordo (Rnl) complessivo dei 27 Stati membri previsto per il periodo 2028-34 rispetto al 2021-27: l’incidenza del bilancio sul Rnl mostra infatti solo un leggero incremento (dall’1,067% all’1,15) rispetto al QFP 2021-27, un incremento che non giustifica quindi le critiche dei “Paesi frugali”, sottolinea il paper. All’interno di questa dotazione complessiva, il piatto forte è l’ aumento delle risorse a disposizione dell’insieme delle politiche industriali: la voce “Competitivtà, prosperità e sicurezza” ammonta a oltre 522 miliardi a prezzi 2025, di cui almeno 480 (quasi 5 volte quelli del QFP 2021-27) risultano direttamente allocati alle politiche industriali attraverso il Fondo europeo per la competitività (398 miliardi), il Connecting Europe Facility (72 miliardi), il Programma mercato unico e il Programma Euratom. Ma c’è l’altra faccia della medaglia. A subire una pesante sforbiciata sono la politica agricola e quella di coesione subiscono: -21% e -25% rispettivamente in termini reali. Questo avviene nell’ambito di una riaggregazione che le riporta, insieme con la voce Migrazione e gestione dei confini, all’interno di un’unica dotazione di 771 miliardi. Una scelta dettata dalla volontà di non aumentare troppo il bilancio complessivo, ma che rischia di compromettere proprio quelle politiche pensate per ridurre le disuguaglianze interne e sostenere i territori più fragili. Insomma, argomenta Merita, “la scelta di un incremento molto modesto dell’incidenza del bilancio sul Rnl dell’Unione implica che il forte aumento delle risorse a disposizione delle politiche industriali porti con sé la contrazione delle risorse per due voci tradizionalmente molto importanti del QFP, ossia coesione e agricoltura”.
C’è poi il deciso cambio di passo, sul fronte della gestione, con il quale Bruxelles punta ad abbandonare la logica dei singoli programmi regionali e sostituirli con Piani di Partenariato Nazionali e Regionali (PRN). Saranno meno numerosi (27 in tutta Europa, uno per Stato membro), più integrati e allineati agli obiettivi strategici dell’UE. E’ un modello che ricalca quello del Pnrr e, quindi, con focus su performance e riforme, un maggiore controllo da parte della Commissione, centralità dei governi nazionali. L’obiettivo è quello di semplificare ma il rischio è quello di una marginalizzazione del ruolo delle Regioni, specie in Paesi come l’Italia dove i divari territoriali sono profondi. A questo si aggiunge il fatto che la nuova governance introduce un’elevata complessità amministrativa, con molte autorità coinvolte (coordinamento, gestione, pagamento, audit), rischiando di rallentare l’attuazione dei fondi.
Un ulteriore elemento critico riguarda il forte aumento dei fondi gestiti direttamente dalla Commissione europea (dal 20% a oltre il 40% del totale): un’opportunità per chi sa muoversi nei meccanismi europei, ma un ostacolo per l’Italia, storicamente debole nell’accesso ai fondi diretti. Il documento della Fondazione Merita sottolinea come l’Italia debba lavorare su due fronti: rafforzare la capacità di attuazione e costruire una governance coerente, soprattutto per il Mezzogiorno. In questa direzione vanno gli Accordi per lo sviluppo e la coesione, sottoscritti tra 2023 e 2024 con le Regioni, e la Zona Economica Speciale unica istituita nel 2023 per attrarre investimenti e semplificare le procedure nel Sud.Tuttavia, la recente decisione di accorpare la governance della ZES sotto il nuovo Dipartimento per il Sud, sopprimendo la struttura di missione, solleva perplessità. Il rischio è di disperdere le competenze e rallentare l’attività proprio quando il sistema aveva iniziato a dare risultati: in un anno, si parla di 750 autorizzazioni con investimenti attivati per oltre 8,5 miliardi e 35mila posti di lavoro potenziali.
Fondazione Merita conclude il suo paper con quattro suggerimenti operativi: occorre riaprire in sede europea il nodo politico di un aumento delle risorse complessive a disposizione del bilancio comunitario, in particolare attraverso una nuova emissione di debito comune che consenta di finanziare in misura consistente le politiche industriali di cui l’economia europea ha bisogno, salvaguardando al tempo stesso le risorse per la coesione; vigilare attentamente sui criteri di riparto dei fondi per la coesione e l’agricoltura tra i Paesi membri e operare affinché le allocazioni decise nel Piano nazionale e regionale non penalizzino le risorse per le politiche di sviluppo delle aree svantaggiate del nostro Paese; valorizzare la nuova governance dei Piani di partenariato nazionali e regionali, cogliendone le potenzialità positive di sollecitazione delle amministrazioni coinvolte e di accelerazione realizzativa degli investimenti e, al tempo stesso, semplificare maggiormente il quadro di governance; migliorare la capacità del nostro Paese di attrarre gli impieghi dei fondi diretti UE e disegnare la politica di coesione collegandone gli strumenti a quelli che saranno messi in campo dalla politica industriale comunitaria, in modo che la coesione stessa si configuri a pieno titolo come politica per lo sviluppo e la competitività delle aree economicamente in ritardo.
Sul rischio di una marginalizzazione delle regioni, il Ministro per gli Affari europei, Tommaso Foti, ha voluto mandare un messaggio tranquillizzante. “Di fronte alle loro proteste sul tema della coesione è opportuno rendere edotte le diverse regioni europee che non sono state espropriate. Si apre una fase di confronto che dovrebbe essere definita non in tempi biblici, nei prossimi mesi ci saranno molte elezioni ed è meglio chiudere un accordo prima di una campagna elettorale”, ha detto nel suo intervento al convegno. “E’ indubbio che l’attuale coesione era arrivata al capolinea. E credo che il tema della flessibilità nel bilancio sia molto importante, visto che in poche ore cambia il mondo, non in pochi mesi”, ha sottolineato. C’è poi un dato rimarcato da Foti: “tutti parliamo di competitività ma il rapporto Draghi parlava di investimenti di 800 miliardi, dopo un anno ci dicono che ne servono 1200”. Una riflessione sul Pnrr: “non è che nel Pnrr siano state tutte luci”. “C’è stata qualche ombra: le regioni si sono sentite poco coinvolte. S’è più pensato a fare lo svuota cassetti che a promuovere progetti strategici. Lo dico per evitare un futuro analogo. Tuttavia non è stato solo un programma di spesa, ma anche di riforme che vanno anche oltre nel tempo”. Un accenno poi alla manovra di bilancio e alle coperture che arriveranno con la revisione del Pnrr. “Noi avevamo delle voci che non potevano raggiungere degli obiettivi, delle voci che avevano raggiunto gli obiettivi compatibile con il piano all’interno del bilancio nazionale e, con un’elementare compensazione, abbiamo ottenuto il risultato che da una parte raggiungeremo gli obiettivi del Pnrr e dall’altro non perdiamo inutili risorse”.
“C’è una connessione e una sinergia tra il Pnrr e la politica di coesione anche per superare difficoltà di attuazione del piano stesso e avere una programmazione più efficace. Questo è propedeutico del nuovo strumento, il piano nazionale e regionale. Il fatto che ci sia la parola regionale non è un caso. C’è la conferma delle tre categorie delle Regioni e abbiamo la conferma dei principi della politica di coesione”, ha poi detto il vicepresidente esecutivo della Commissione Europea con deleghe alla Coesione e alle Riforme, Raffaele Fitto. “Ora si avvierà il confronto con il Parlamento e il Consiglio a partire dall’ammontare delle risorse: ma questo nuovo bilancio può assicurare un elemento di modernizzazione, nel senso di rafforzamento del mercato interno e anche nei confronti dell’apertura di nuovi mercati globali, penso al Mercosur e alle relazioni con l’India”, ha aggiunto Fitto. “Questa proposta di bilancio punta a più semplificazione e più flessibilità. Sul tema della coesione c’è un’azione mirata, proprio sul fronte della flessibilità per affrontare sfide nuove richieste dai tempi che viviamo. Per questo abbiamo presentato una revisione della politica di coesione”.
Per l’ex premier ed ex Commissario Ue, Paolo Gentiloni, “la proposta della Commissione è coraggiosa: dopo tante discussioni innescate dal rapporto Draghi sulla competitività si prende atto dell’importanza di questo obiettivo e si concentrano risorse su questo punto, come quelle sulla sicurezza. Ma è coraggiosa a metà, per le sue dimensioni ancora limitate. Si poteva arrivare al 2%. Questo è un problema perchè la domanda di interventi europei è aumentata enormemente”. Tuttavia, secondo l’ex Commissario, esiste un problema legato al fatto che il bilancio copra un periodo molto lungo: “Non sono tempi per piani di sette anni, tuttavia questo è e dobbiamo cercare di avere il massimo di flessibilità. Ma in tempi così turbolenti, quando cambia l’ordine mondiale in un disordine mondiale, è difficile avere una prospettiva così lunga. Detto questo, l’economia europea sta dando prova di una certa tenuta: è utile ricordarlo. L’Eurozona cresce dell’1,2 e la distanza tra eurozona e gli Usa si è più che dimezzata, dal 2% del 2024, secondo le previsioni, la distanza sarà 0,8 nel 2025”. E, ha sollecitato, “sarebbe importante che il governo si impegnasse a rafforzare questo bilancio, ma non con gli occhi rivolti all”indietro”.
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