Guarda il cielo, amore mio, il cielo sopra i tetti di Quarticciolo
Dormi dormi mio piccino, dormi dormi bel bambino
tu riposa nella pancia che ti aspetta il mondo intero
quando qui ti affaccerai, il tuo cielo sceglierai …
Guarda il cielo, amore mio, il cielo è di tutti e tutte. Un cielo che a volte sembra vicino, come se potessi toccarlo con una mano. Altre volte invece è lontanissimo, irraggiungibile, quasi ostile. È lo stesso cielo che mi ha fatto compagnia quando ero bambina, lo stesso che adesso entra dalla finestra e si riflette sulla pancia mia che ti trattiene.
Il cielo di Quarticciolo sta sopra le case popolari degli anni quaranta, sopra le piazze che odorano di fritto, sopra i murales che raccontano storie di lotta e resistenza.
Le case sono basse, i cortili consumati, le piazze di sera diventano più scure, voci forti e a volte minacciose si sentono da lontano. Eppure, figlio mio, se saprai guardare oltre la polvere, vedrai che qui c’è vita che pulsa, che resiste, che inventa. Vedrai comunità.
Quarticciolo: per qualcuno è solo un nome che fa paura, un luogo che compare nei giornali quando succede qualcosa di brutto. Ma per me, papà e per tanti altri, è casa. (…)
Qui c’è la nostra comunità, fatta di persone che combattono e sorridono, che si danno una mano, che inventano ogni giorno modi per restare umani in mezzo alle difficoltà. E io so che, quando verrai, ti troverai circondato da questo respiro collettivo: non sarai mai solo, perché ogni bambino, qui, è figlio di tanti. Qui ci sono storie che resistono, ci sono mani che si stringono, ci sono voci che non si rassegnano. Qui troverai una comunità che si alza in piedi, che non si arrende.
Col tuo papà, e tanti altri amici, abbiamo fatto un sacco di cose belle che non vedo l’ora di farti incontrare.
Tutto è iniziato con la palestra popolare. Era un ex locale caldaie, e nell’agosto agosto 2015, quando tu eri un sogno non ancora sognato, iniziammo la ristrutturazione. Raccogliemmo soldi tra di noi e nel quartiere, riuscimmo ad aprire solo un anno dopo nel settembre 2016. Quel primo anno fu riqualificazione e costruzione, non solo di un locale, ma di relazioni.
Immagina: c’erano tutte persone che si avvicinavano, s’impicciavano, davano consigli, ci chiedevano la pittura in avanzo per lavoretti a casa loro, poi, pian piano iniziarono a preparaci panini, torte, e le chiacchiere diventarono così discorsi. Quando aprimmo eravamo già una piccola comunità.
Nella palestra popolare si fa la boxe. Ci si allena, certo, ma soprattutto ci si rialza.
Ho visto ragazzi arrivare con lo sguardo basso e uscire con gli occhi accesi. Ho visto corpi segnati dalla fatica ritrovare dignità. Il ring è un luogo strano: ti mette di fronte a te stesso, ti insegna a cadere e a rialzarti, a guardare l’altro non come un nemico, ma come uno specchio.
Io stessa, amore mio, lì ho imparato a vedere l’intimità delle persone senza giudicarle. Ho iniziato a capire che facevamo tutti parte di un progetto più grande, più ambizioso, che potevamo cambiare qualcosa, rigenerare e rigenerarci. E lì ti porterò, amore mio, non perché tu debba combattere, ma perché tu possa imparare che la forza vera è sempre intrecciata alla comunità.
Dal ring si è aperto un mondo, allora abbiamo capito che c’era un grande bisogno: aiutare i bambini, le bambine, i ragazzi, le ragazze, a studiare. Abbiamo iniziato a fare doposcuola: i bambini arrivavano con i quaderni e gli occhi stropicciati e da noi trovavano qualcuno che li aiutava nei compiti, qualcuno che li ascoltava. Ricordo ancora il volto di Andrea, che un giorno mi ha detto: “Maestra, ma allora anch’io posso andare all’università?”. Era la prima volta che ci pensava. Il doposcuola è questo: non solo fare i compiti, ma aprire orizzonti, dare la possibilità di immaginare. Perché studiare non deve essere un privilegio, ma un diritto di ogni bambino e bambina, ragazzo e ragazza. Oggi guardo i ragazzi e le ragazze che si sono diplomati e qualcuno inizia l’università, anche se tra mille difficoltà economiche. I loro occhi hanno trovato una direzione, e la mia pelle trema di gioia. Io li capisco, perché come loro ho faticato per studiare, per laurearmi, per poter scegliere. E’ così che sono diventata forte, sai amore mio? Non sono una roccia certo, ma ci provo, ogni giorno.
Insieme al doposcuola è nato il comitato di quartiere, sai? Per aiutare i cittadini e le cittadine con i documenti, per sanare la propria situazione abitativa. E ancora l’ambulatorio, le assemblee nelle piazze, le discussioni sui parchi e cento altre cose. C’era chi diceva: “Ma a che serve? Tanto non ci ascolta nessuno”. E invece, passo dopo passo, ci siamo fatti ascoltare. Abbiamo strappato promesse, abbiamo fermato progetti non calati sulla nostra realtà, abbiamo dato voce a chi di solito non ce l’ha. E persino un parchetto con un’altalena nuova è diventato segno che non tutto è fermo, che qualcosa può cambiare.
Questo parchetto, infatti, viene da una mappatura nostra, cioè una specie di ricerca che mette insieme tutte le idee. Poi sono arrivate due architette e hanno lavorato con noi, qui alla casa di quartiere…che fai scalci? Hai ragione non te l’ho detto: è successo che poi la palestra si è trasferita qui alla casa di quartiere, perché è un posto più grande e che abbiamo sistemato proprio bene, vedrai.
Allora sono arrivate queste due brave architette e hanno individuato un bando al quale il comune poteva partecipare, per poter riqualificare e realizzare proprio un parchetto. I bambini e le bambine del doposcuola hanno disegnato, detto, scritto come immaginavano questo spazio e pure i cittadini e il comitato di quartiere. E tutte queste idee sono state messe nel progetto. Alla fine è stato realizzato, e si chiamerà: Parco Modesto di Veglia, il nome di un ex partigiano che ci seguiva nei laboratori per le scuole, lui era un testimone della lotta partigiana. Ma questa è un’altra storia di cui presto ti racconterò.
Comunque, tornando a dirti; per noi è molto importante questo parchetto e il percorso per realizzarlo, io ho un ricordo vivo di tutto, perché i bambini e le bambine hanno partecipato proprio alla progettazione, c ‘è stata una progettazione partecipata! Hai capito che bello? Una progettazione dal basso. Vedrai quanto ti piacerà giocare e stare insieme ad altri bimbi, già ti vedo su e giù sull’altalena.
Insomma ne facciamo tante l’avrai capito. Non c’è da annoiarsi.
Collaboriamo anche col Teatro e la Biblioteca, un posto bellissimo, dove puoi immaginarti mille mondi diversi sul palcoscenico e tra i libri. Sappilo te ne leggerò tantissimi.
Amore mio, sai che adesso stiamo pensando pure a come creare economia, che significa lavoro in pratica. Ci sarà un birrificio se tutto va bene, dove potranno lavorare anche le persone che escono dal carcere e hanno difficoltà a reinserirsi.
E un’altra battaglia che stiamo portando avanti è quella delle serrande abbandonate. Vorremmo che venissero aperte per dare la possibilità alle persone del quartiere di lavorare, perché qui sicuramente c’è un problema legato al lavoro, alla precarietà, all’impoverimento. Cioè amore…non ci sono mica tanti soldi in giro, sai?
Guarda il cielo, amore mio, perché sotto questo cielo e con l’ impegno di tutti, pezzo dopo pezzo, è cresciuto un Progetto. Non un solo, ma tanti: palestra, doposcuola, ambulatorio, comitato, cortei, iniziative culturali, perfino un birrificio artigianale. Eppure, per me, resta un solo grande Progetto, che tiene dentro tutto: sport, educazione, cultura, solidarietà, politica dal basso. Un progetto che non è solo presente, ma futuro. Ogni bambino che aiutiamo a studiare, ogni ragazzo che alleniamo, ogni mamma che sosteniamo: sono tutti pezzi di un domani che vogliamo costruire insieme.
Perché, vedi, la vera rigenerazione parte dalle persone. Lo dico a te e lo ripeto al mondo: non puoi ridipingere i muri di un quartiere se non ascolti le vite che ci sono dentro. Non puoi parlare di riqualificazione se non ti prendi cura prima delle ferite umane. Qui al Quarticciolo lo abbiamo imparato: la rigenerazione urbana è possibile solo come rigenerazione umana. E io so che ogni sorriso che torna, ogni bambino che sogna, ogni ragazzo che sceglie lo sport invece della strada, è un mattone in più per ricostruire il quartiere. Questa è la nostra forza: partire dal basso, far nascere la speranza dalle relazioni, dai gesti concreti.
Non è sempre facile. E ci sono le ferite. C’è la ferita del crack: bastano cinque euro e ti bruci la vita. Ci sono i ragazzi senza documenti che non sanno dove andare, ci sono le famiglie buttate fuori di casa. Non c’è lavoro, non abbastanza, c’è impoverimento, paura e per alcuni ancora troppa solitudine. Ci dicono che siamo “lo sgabuzzino della criminalità”, forse per questo ci hanno scelto per applicare il “Modello Caivano” che accende il riflettore sulle nostre mancanze, sulle nostre ombre. Quando è arrivata la notizia, ci è sembrata più una condanna ad essere ghetto per sempre che un’opportunità.
Per noi era chiaro che ci sarebbe stata più polizia, più pattuglie, più controllo. Come se la soluzione fosse reprimere, come se il quartiere si potesse salvare con la paura. Ma noi non ci siamo rassegnati. Abbiamo manifestato, gridato, chiesto che la dignità non fosse solo forze dell’ordine ma scuola, sport, cultura, spazi di aggregazione. Abbiamo detto: “se volete parlare di riqualificazione, partite dai nostri bisogni”. E allora qualcosa è cambiato. Non è perfetto, non basta, ma oggi quel modello porta dentro anche la nostra voce, le nostre rivendicazioni. E questo è il segno che quando una comunità si alza in piedi, niente è più uguale a prima.
Stamattina, mentre ti canto, mi preparo per uscire, ho il turno al Mac Donald, vedi le contraddizioni? Mamma vuole cambiare il mondo, ma per farlo deve sudare tanto, purtroppo il lavoro al doposcuola e alla palestra non bastano, quindi la tua mamma lavora pure da McDonald’s, che ci vuoi fare… Che fai scalci? ridi forse…o piangi ?
Allora voglio raccontarti anche i sorrisi amore mio, perché qui si sorride tanto, perché io rido tanto, e vorrei che tu imparassi a ridere. Perché la lotta non è mai solo rabbia, è anche gioia di stare insieme, di cucinare un pranzo comunitario, di ballare in piazza, di giocare e studiare con i bambini e le bambine del quartiere. La lotta è la gioia che resiste, perché è vita che si esprime in tutta la sua bellezza, e la bellezza è la resistenza alle brutte cose della vita. E qui noi stiamo costruendo bellezza, meglio che possiamo.
Un giorno, io e te, cammineremo insieme per le strade del quartiere. Ti mostrerò i murales, i parchi, la ludoteca, il doposcuola, la palestra, i luoghi che stiamo costruendo. E ti dirò, guardandoti negli occhi che saranno il mio nuovo cielo: “vedi, tutto questo non è nato dall’alto, non è stato un regalo. È nato da noi, dalla comunità, dalla forza di chi non ha voluto arrendersi. È nato da quella rigenerazione umana che rende possibile anche una rigenerazione urbana. E tu sarai parte di questo respiro, sarai figlio di un progetto che continuerà a resistere”.
E pensare che tutto è iniziato con un ring in piazza….Quando monti il ring in una piazza è come fare uno spettacolo, è come un teatro a cielo aperto. Le persone si avvicinano, e si scoprono altri bisogni, come il ragazzo che non va bene a scuola e allora si apre il doposcuola. Poi parli con la sua famiglia e capisci che hanno uno sfratto in corso, allora nasce il comitato di quartiere per la casa. E le decine di interventi dell’amministrazione pubblica iniziati in quartiere e mai terminati, ti fanno scendere in piazza. E poi il covid (anche di questo ti parlerò poi meglio) che ha messo tutti alle strette. Pensa che Quarticciolo ha solo due medici di base per 4000 abitanti! Sono pochissimi e non bastano, non bastano, allora alcuni medici in pensione ed infermieri hanno attivato un ambulatorio popolare, proprio nei locali dove prima c’era la palestra.
E ora siamo Polo Civico, con l’idea di mettere in rete realtà e bisogni tra di loro, che possano muoversi insieme per coinvolgere l’amministrazione, perché è vero, rigenerare, riqualificare dal basso è importante, ma non basta. Insieme si deve chiedere, rivendicare, pretendere che le amministrazioni facciano quello che devono fare. E noi insieme a tutti e tutte continueremo a fare e a rivendicare. Ahia…un altro calcetto! Che vuoi dirmi? Mi sto agitando vero? Lo so, mamma è così, sappilo, appassionata e ridente.
Guarda il cielo, amore mio, questo è il cielo sopra Quarticciolo.
Qui crescerai circondato da bambini e bambine che, come te, avranno diritto di scegliere chi essere. E io ti prometto che farò di tutto perché nessuno vi tolga questa possibilità. Perché il futuro non deve avere periferie. E quando avrai paura, quando ti sembrerà che tutto sia troppo grande, alza lo sguardo. Guarda il cielo, figlio mio. È lo stesso cielo che oggi guardo io. Il cielo non conosce confini, non fa distinzioni. Il cielo ti ricorderà sempre che sei libero, e che il futuro è tuo, qui e ovunque tu vorrai andare, ovunque tu vorrai volare…
Dormi dormi mio piccino, dormi dormi bel bambino
tu riposa nella pancia che ti aspetta il mondo intero
quando qui ti affaccerai, il tuo cielo sceglierai.
Quarticciolo canterà ninna nanna e libertà.
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Ringraziamo Fiamma, Pietro e tutte le vite attorno alla Casa del Quartiere, alla Palestra Popolare e al Doposcuola del quartiere Quarticciolo di Roma, per averci ispirato. La storia prende spunto dalle interviste a loro.
Ascolta il racconto su Quarticciolo letto da Jessica Bertagni:
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Emilia Martinelli
Nata a Napoli nel 1974, storyteller nell’ambito della valorizzazione di beni culturali, regista e autrice, insegnante di teatro, educatrice. Il lavoro di autrice parte sempre da ricerche sul campo, dall’ascolto di storie vere. Collabora e ha collaborato col Teatro Brancaccio, il Teatro di Roma. Ha lavorato anche in contesti “al limite” come carceri, centri di accoglienza, periferie, e poi con donne vittime di violenza, persone disabili, minori a rischio. È fondatrice e direttrice artistica della compagnia fuori contesto dal 2005 e dal 2013 del Festival “Fuori Posto. Festival di Teatri al limite”. Dal 2020 è socia della società̀Hubstract Made for art e cura i contenuti, le installazioni e performance site specific.