PLACEMAKING WEEK EUROPE / 1

Rotterdam, Barcellona, Milano e Valencia: così il placemaking spinge la trasformazione urbana

L’edizione 2025 in corso a Reggio Emilia fino a domani rilancia il valore del placemaking nelle medie e piccole città dopo l’edizione di Pontevedra di tre anni fa. In attesa della sede del prossimo anno, tante esperienze europee dimostrano la fattibilità dell’approccio urbanistico tattico per far vivere il cambiamento alle persone in modo “facile, veloce, economico”. La presenza di stakeholder da Ucraina e Palestina che fa sperare.

24 Set 2025 di Mauro Giansante (da Reggio Emilia)

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Rotterdam, Barcellona, Milano e Valencia: così il placemaking spinge la trasformazione urbana

Dalle piazze aperte di Milano alla piazza del Teatro di Rotterdam fino ai superblocks di Barcellona. Ma anche le esperienze di pedonalizzazione di Valencia e Pontevedra. Gli esempi concreti di placemaking, cioè di intervenire su un territorio e trasformarlo in senso rigenerativo coinvolgendo insieme agli enti locali anche i cittadini residenti, i giovani e le organizzazioni del terzo settore, sono tanti e non per forza riconosciuti “ufficialmente” sotto l’etichetta di placemaking. Ma ciò che conta per dare un nuovo volto alle città sono gli interventi concreti, poco importa come li incaselliamo. Proprio a Reggio Emilia abbiamo chiesto a Demetrio Scopelliti, direttore Territorio di Amat (Agenzia Mobilità Ambiente e Territorio), come procede il programma delle Piazze Aperte. “Il programma è nato nel 2018 con il Comune di Milano e Bloomberg Associates, partendo da progetti pilota basati sull’approccio “facile, veloce, economico” per riqualificare lo spazio pubblico. Da allora è divenuto strutturale tramite avvisi pubblici, quindi non è la città a definire i luoghi su cui intervenire ma la popolazione partecipando e proponendo idee”. Il principio delle piazze aperte va forte per i “patti di collaborazione” tra Comune e cittadini per definire l’impegno reciproco sui luoghi. Dove si interviene tramite pedonalizzazione, apposizione di panchine, stalli per le biciclette, tavoli da picnic, da ping-pong, piante, fioriere. “E’ il modo giusto per coinvolgere tutti a pieno. Oggi le sperimentazioni sono arrivate a sessanta, proprio in questi giorni, e quindi ogni anno se ne aggiungo circa dieci”, racconta Scopelliti a Diac. “La maggior parte riguarda gli spazi davanti le scuole perché sono luoghi diffusi su tutto il territorio, vissuti almeno due volte al giorno, anzitutto dai bambini che sono oggi il 15% della popolazione di Milano e soprattutto rappresentano il 100% di quella futura”. Insomma, l’urbanistica tattica se ben strutturata e portata avanti con metodo funziona, anche perché per definizione consente di correggere la rotta in corsa. E quello conta. “A Roma abbiamo contribuito in un intervento simile in una scuola, così come a Bari, Firenze, Torino, Bologna”. Martedì è stato lanciato a Milano Play-kit, gestito dal Comune e We are urban, per distribuire un kit per il gioco gratuitamente a chi ne faccia richiesta, attivando i luoghi con strumenti ancor più leggeri dell’urbanistica tattica.

Guardando all’estero, il caso Rotterdam è tra i più rilevanti ed emblematici. Il massimo esempio in città, ricostruita da zero dopo la seconda Guerra Mondiale, è la piazza del teatro, in olandese Schouwburgplein, circondata da edifici moderni. Qui, sulla pavimentazione centrale, ovvero la copertura di un parcheggio interrato, è stato messo un tappeto di erba sintetica per consentire di stazionare in quello spazio, sedersi a terra. Ma ci sono altri casi in città, da Benthemplein Water Square – progettata tanto per la socialità quanto per raccogliere l’acqua piovana grazie a tre vasche – alla zona di Schieblock, il parco galleggiante sul fiume Nieuwe Maas, i giardini e le terrazze comunali.

A Barcellona è noto il fenomeno dei superblocks (superilles in catalano), vale a dire aree urbane che raggruppano nove isolati, modificando la rete stradale per avere meno traffico transitorio. Anche qui, quindi le carte giocate sono quelle della pedonalizzazione, ciclabilità e socializzazione grazie a nuove aree verdi, aree giochi.

Infine, in Spagna simili casi vedono protagoniste Valencia e Pontevedra (Galizia). Per la prima, città di Placemaking Week nel 2019, tutto è legato al programma dell’assessore italiano Giuseppe Grezzi, mentore del modello città a 30 km/h già dal 2019. A Valencia sono stati realizzati 75 chilometri di piste ciclabili, è stato aumentato il budget del trasporto pubblico del 50% e restituito un territorio da 150.000 metri quadrati ai cittadini. Tutto questo in una città di 800mila abitanti. Ma nel piccolo ci sono altri esempi di placemaking che vedono la collettività coinvolta, anche tramite attività sportive, come per la rigenerazione del Giardino del Turia. Pontevedra, infine, ha ospitato la Placemaking Week nel 2022. La città ha meno di 90mila abitanti e dal 1999 ha intrapreso il percorso di progressiva pedonalizzazione, arrivando a contarne recentemente circa settemila, con una riduzione del 70% di emissioni e attirando migliaia di nuovi cittadini. La trasformazione è stata infrastrutturale, certo, ma anzitutto culturale.

Come quella che continua a offrire di edizione in edizione la Placemaking Week europea, sempre più in crescita in termini di partecipanti ed eventi. Mettendo così a sistema delle pratiche che sono sempre più diffuse ma che comunque sono attive già da decenni. Si pensi alla quantità di interventi fatti a New York o a Londra. Ma il network Placemaking è mondiale e ogni raggruppamento continentale cerca spunti e nuove connessioni con tutti gli altri. In Italia è nato da poco, ancora informalmente, il network nazionale che si affianca ad altri sparsi per l’Europa. Con l’obiettivo primario di condividere idee e sistematizzare progetti per gli spazi per le persone. Con le persone.

“La strada è spazio pubblico, lo spazio pubblico è per le persone. Le persone creano comunità. Le comunità fanno cambiamento”, ha scritto Demetrio Scopelliti in un post social festeggiando l’apertura di tre nuove piazze e vie a Milano. Un cambiamento sperato anche dai numerosi stakeholder ucraini e palestinesi presenti a Reggio Emilia. Una concreta testimonianza di fede in un futuro migliore da costruire tutti insieme anche in città martoriate ogni giorno dalle bombe.

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