Le stime di Confindustria
Csc: dazi Usa al 30% insostenibili, impatto -0,8 punti sul Pil nel 2027
Il Centro Studi di Confindustria calcola l’impatto che i dazi al 30%, imposti dagli Usa in assenza di un accordo al primo agosto, avrebbero sulla crescita. Lo scenario è già complicato a causa dell’incertezza innescata dall’annuncio delle nuove tariffe. E l’incertezza è il primo nemico degli investimenti, che nel secondo semestre danno segnali di indebolimento nel secondo trimestre. Anche EY calcola gli effetti sulla crescita stimando un azzeramento della crescita prevista nel 2025.
IN SINTESI
L’imposizione di dazi al 30% minacciata dall’amministrazione avrebbe un forte impatto sul Pil italiano fino a determinarne una contrazione pari a -0,8% nel 2027, dopo un crescendo rispetto a -0,25% nel 2025 e -0,59% nel 2026. A calcolarlo è la Congiuntura Flash di luglio del Centro Studi di Confindustria, che, senza mezzi termini, parla di dazi insostenibili. A mitigare questo impatto sarebbe la capacità degli esportatori italiani di trovare nuovi mercati di sbocco e di competere su fattori “non di prezzo”. In base a una simulazione del CSC, le vendite di beni nel resto del mondo aumenterebbero di circa 13 miliardi cumulati nel 2027, compensando parte delle perdite nel mercato USA. L’export totale di beni si ridurrebbe, comunque, del 4,0% e gli investimenti in macchinari e impianti dell’1,0%, rispetto a uno scenario base senza dazi. Prioritario e cruciale, dunque, ribadisce il Csc, diventa potenziare il mercato unico europeo, più resiliente agli shock globali, riducendo le barriere interne che tuttora frenano gli scambi di beni, servizi e capitali (armonizzazione delle regole, potenziamento delle infrastrutture transeuropee, completamento del mercato unico dei capitali). Così come è cruciale è favorire la diversificazione geografica degli scambi italiani, puntando su mercati con alto potenziale di crescita, come il Mercosur (destinazione di 7,5 miliardi di export italiano), l’India, l’Australia, i paesi Asean.
I dazi imposti sui prodotti UE alla dogana USA, al 10% dal 5 aprile, saliranno al 30% dal 1 ° agosto in assenza di un accordo tra le parti. Sono già più elevati i dazi in vigore su autoveicoli e componenti (25%), acciaio e alluminio (25% da marzo e 50% da giugno). I dazi americani potrebbero essere estesi anche ai beni attualmente esenti: prodotti farmaceutici, minerali critici, semiconduttori, legname, aerei e cantieristica navale. I paesi UE sarebbero così tra quelli più colpiti dalle nuove tariffe USA, alla pari della Cina (aumento di 30 punti, dal 21% al 51%). Molti altri paesi sono soggetti, infatti, a dazi del 10%, mentre altri importanti esportatori negli USA godono di accordi commerciali che limitano l’entità delle tariffe (USMCA con Canada e Messico, Economic Prosperity Deal con il Regno Unito). L’incertezza di politica economica negli Stati Uniti è più che raddoppiata sotto l’amministrazione Trump (+131% nella prima metà di luglio 2025 da dicembre 2024 l’indice Economic Policy Uncertainty), provocando un balzo anche dell’incertezza globale (+86%); entrambe sono ai massimi storici, sopra il picco toccato durante la pandemia. La minore fiducia sulle prospettive USA, prima economia globale, ha alimentato una forte svalutazione del dollaro, soprattutto rispetto all’euro (-13,7% da inizio anno). Eterogenei sono i primi effetti e negative le prospettive. Le vendite italiane negli USA hanno tenuto in aprile-maggio (+0,4% tendenziale), dopo un’accelerazione nel 1° trimestre (+11,8%) per anticipare l’entrata in vigore dei dazi (frontloading). La dinamica nell’ultimo bimestre è divergente tra settori: in forte crescita quelli ancora esenti, ma a rischio di nuove misure tariffarie, come farmaceutica (quasi un quarto del totale esportato) e legno; in caduta quelli già soggetti a dazi più elevati (metalli e autoveicoli); risultati misti per i settori soggetti a dazi al 10% (potenzialmente triplicati in agosto). Secondo un’indagine Banca d’Italia, l’80% delle imprese che hanno come principale mercato di destinazione gli USA prevede una riduzione dell’export a partire dal 2° trimestre. Sul totale delle imprese, il 50% si aspetta minori esportazioni e il 20% minori investimenti. Con dazi al 30%, export negli USA più che dimezzato. Secondo stime del Centro Studi Confindustria, con tariffe al 30% su tutti i prodotti e cambio euro-dollaro sui livelli attuali, l’export italiano di beni negli USA si ridurrebbe di circa 38 miliardi, pari al 58% delle vendite negli USA, al 6,0% dell’export totale e, considerando anche le connessioni indirette, al 4,0% della produzione manifatturiera. L’aumento dei dazi e la svalutazione del dollaro, infatti, ridurrebbero la competitività di prezzo degli esportatori europei rispetto sia ai produttori domestici USA che a quelli degli altri paesi meno colpiti. L’impatto sarebbe amplificato dall’incertezza nei rapporti transatlantici e dal rallentamento dell’economia USA. L’effetto stimato è di medio-lungo periodo, cioè nel caso di dazi permanenti (e quando potrebbe aversi lo spostamento di parti delle lavorazioni negli USA), perché molti prodotti italiani di alta qualità sono poco sostituibili a breve, specie in grandi quantità.
In uno scenario complicato, ci sono notizie positive, rileva il Csc, e sono quelle che vengono dal parziale rientro del prezzo del petrolio, dall’inflazione contenuta, dal sentiero di tagli dei tassi nell’Eurozona. L’energia versa in una fase di tregua dal momento che il balzo del prezzo del petrolio a giugno si è rivelato di breve durata, grazie al cessate il fuoco tra Israele e Iran (71 dollari/barile in media a luglio, da un picco di 79 il mese prima). Le quotazioni, però, restano alte rispetto al calo precedente legato ai dazi (64 dollari in media a maggio). L’inflazione resta bassa in Italia (+1,7% a giugno) e nell’intera Eurozona (+2,0%). Il 24 luglio la BCE potrebbe tagliare ancora i tassi, portati al 2,00% a giugno. Ciò abbassa il costo del credito per le imprese italiane (3,7% a maggio) e continua a sostenere la risalita dei prestiti (-1,4% annuo). Ma un fattore di freno per la crescita è dato dalla debolezza degli investimenti. Gli indicatori segnalano indebolimento nel 2° trimestre: le condizioni per investire peggiorano; la fiducia delle imprese recupera a giugno ma su valori bassi (93,9 da 93,1 a maggio), in calo rispetto al 1°; scendono gli ordini di beni strumentali, negativi da mesi (-19,0, da -17,7), anche se le attese tornano positive. “Pesa l’alta incertezza, nemica giurata delle decisioni di investimento”, sottolinea il Csc. Nuovi segnali di raffreddamento arrivano dall’industria: a maggio la produzione è tornata a scendere in Italia (-0,7%), dopo il buon dato di aprile e del 1° trimestre. RTT (il real time turnover aveva anticipato il calo di maggio nell’industria (in termini di fatturato) e l’indagine Csc a giugno suggerisce prudenza delle imprese: i dazi mettono di nuovo a rischio la manifattura. A giugno, il PMI è sceso più in area recessiva (48,4 da 49,2), mentre la fiducia delle imprese industriali recupera per il secondo mese, trainata dalle attese. Debole l’export e a rischio dazi. L’export italiano di beni è in calo nel 2° trimestre (-3,6% in valore in aprile-maggio sul 1°), soprattutto nei mercati extra-UE (-5,7%), meno nell’intra-UE (-1,5%). Si amplia il deficit commerciale con la Cina: in caduta il nostro export, in forte aumento l’import. Tengono ancora gli scambi con gli Stati Uniti, ma in un clima di forte incertezza.
Allargando l’orizzonte all’Europa, si registrano segnali di difficoltà nell’Eurozona. A maggio la produzione è calata in Francia (-0,5%), cresciuta in Germania (+2,2%) e Spagna (+0,6%). A giugno, tuttavia, gli indicatori segnalano calo della fiducia e incertezza elevata. Gli indici PMI di servizi e manifattura suggeriscono un’Eurozona in difficoltà nel 2° trimestre (in entrambi i settori, Germania e Francia sono in affanno), con l’eccezione della Spagna in espansione. Oltreoceano, il Pil USA nel 1° trimestre è stato rivisto al ribasso, più dell’atteso, anche se è stato solo marginalmente negativo (-0,1%). A giugno, la produzione industriale è stata superiore alle attese, in linea con il PMI manifattura (52,9 da 50): nel 2° trimestre è cresciuta di +0,3%. La fiducia dei consumatori è migliorata a luglio, anche a seguito del forte aumento degli occupati (+147 mila). In salute è la Cina. La crescita del PIL segna +5,2% nel 2° trimestre, trainata dalla manifattura (+6,8% annuo a giugno), specie i settori high-tech come robotica e veicoli elettrici. La domanda estera resta robusta (+5,8%), soprattutto l’export verso il Sud-Est Asiatico (+16,8%) e l’UE (+7,6%). Le vendite al dettaglio, invece, frenano (+4,8% a giugno, da +6,4%) segnalando persistente volatilità dei consumi. L’obiettivo di crescita annua al 5,0% resta incerto e potrebbe richiedere ulteriori stimoli alla domanda interna.
Ey: nel 2025 i dazi azzerano la crescita prevista
Anche Ey nella seconda edizione del Parthenon Bulletin calcola l’impatto dei dazi sul Pil Italiano. Nel 2025, è prevista una crescita dello 0,6%, destinata a salire allo 0,8%. Tuttavia, l’eventuale conferma, a partire dal 1° agosto, delle cosiddette reciprocal tariff al 30%, potrebbe comportare una riduzione cumulata del Pil di circa l’1,4%, azzerando di fatto la crescita prevista, con un impatto negativo stimato poco sotto i 30 miliardi tra il 2025 e il 2026; se invece le tariffe venissero confermate al 20%, in linea con quanto comunicato agli inizi del mese di aprile, l’impatto economico è stimato intorno ai 20 miliardi di euro e una contrazione del 65% rispetto alle attese di crescita (-0,9% cumulato tra il 2025 e il 2026). Nonostante questo scenario sfidante, le aziende italiane mostrano una forte capacità di reazione sul piano internazionale. Nei primi sei mesi del 2025, infatti, si rileva una crescita significativa degli investimenti da parte di aziende italiane su target estere, con 143 acquisizioni annunciate, rispetto alle 122 nell’analogo periodo del 2024, segnando un incremento del 17%. Si registra anche un aumento del valore che è passato da 7,1 miliardi di euro nella prima metà del 2024 a 13,5 miliardi nel periodo analogo del 2025 e dove il settore di punta risulta essere quello industriale, rappresentando il 24% delle transazioni. Nei primi sei mesi del 2025, in Italia sono state annunciate circa 600 acquisizioni con un valore complessivo, laddove disponibile, di circa 18,7 miliardi di euro. Rispetto alle 564 operazioni registrate nei primi sei mesi del 2024, in questa prima metà dell’anno si rileva un incremento del 6% in termini di numero di operazioni annunciate.
Tuttavia, si è verificata una riduzione del 50% del volume totale di investimenti, rispetto alla prima metà del 2024, in parte dovuta alla fase di incertezza che ha caratterizzato il primo trimestre del 2025 e che persiste ancora oggi, con conseguente riduzione dei cosiddetti megadeal (operazioni con controvalore superiore a 1 miliardo di euro), mentre il cosiddetto mid market ha visto una riduzione, in termini di valore, meno rilevante. I settori che hanno guidato gli investimenti sono principalmente il comparto industriale, con il 22% del numero di operazioni annunciate, seguito dai beni di consumo (18%) e settore tecnologico, e da quello dei servizi ed energy&utilities (11%). Sebbene il settore industriale continui a essere quello di punta, il comparto ha registrato una diminuzione, passando dal 27% al 22% in termini di numero di operazioni, rispetto alla prima metà dell'anno scorso. Al contrario, i settori dei beni di consumo e dei servizi hanno visto un incremento nel numero di operazioni, in quanto nella prima metà del 2024 rappresentavano rispettivamente il 16% e 9% del numero di operazioni, così come il settore finanziario che ha anch’esso registrato una crescita di rilievo, con un incremento dal 5% al 7% dell’incidenza in termini di numero di operazioni.
Nella prima metà del 2025, il Private Equity e i fondi infrastrutturali hanno continuato a essere un elemento trainante del mercato M&A italiano, con circa 242 operazioni di buy-out su target italiane, con un valore aggregato, quando disponibile, di circa 12,5 miliardi di euro, rispetto alle 246 operazioni per un valore complessivo di circa 14,9 miliardi di euro nello stesso periodo del 2024. I fondi continuano a costituire una significativa percentuale di acquirenti nelle operazioni annunciate, raggiungendo il 41%. Inoltre, il numero di investimenti effettuati attraverso le portfolio companies, note anche come add-on, rimane significativo, superando il 40% del totale delle operazioni effettuate dai fondi, evidenziando il loro ruolo fondamentale nel processo di trasformazione delle aziende.Lo sviluppo dell'agenda infrastrutturale italiana è centrale per la strategia economica del Paese, con gli investimenti pubblici che fungono da catalizzatore per la crescita a lungo termine. Tuttavia, per aumentare l’impatto e diversificare le fonti di finanziamento, è importante coinvolgere il capitale privato, una leva che non è ancora stata pienamente sfruttata. Questo coinvolgimento dovrebbe avere due obiettivi principali: da un lato, mobilitare il capitale privato per integrare la spesa pubblica, attraverso privatizzazioni mirate e partnership strategiche lungo la catena del valore delle infrastrutture; dall’altro, aumentare le entrate da indirizzare verso investimenti o alla gestione del debito. Nuovi modelli di partenariato pubblico privato, che possano consentire al settore pubblico di mantenere controllo e governo delle infrastrutture, possono anche migliorare l’efficienza, la sostenibilità e la competitività globale delle infrastrutture italiane, anche introducendo modelli di remunerazione degli investimenti (RAB) che premiano livello dei servizi ed investimenti. E per gli investitori, questo rappresenta una forte opportunità per sostenere la transizione dell’Italia verso un’economia moderna ed efficiente, allineando capitale, riforme strutturali e obiettivi nazionali a lungo termine. Le privatizzazioni, dunque, possono tornare al centro della strategia economica italiana non come soluzione d’emergenza, ma come leva strutturale per attrarre capitale, rafforzare le infrastrutture, migliorare il livello dei servizi ed al contempo ridurre la pressione sul bilancio statale, seppur nel rispetto del mantenimento del controllo pubblico di infrastrutture critiche. L’obiettivo è di raccogliere circa 20 miliardi di euro entro il 2026 tramite cessioni di minoranza, IPO di società pubbliche, modelli concessori e PPP (Partenariato Pubblico-Privato). Diversi casi concreti sono in fase di analisi e preparazione, con focus su porti, aeroporti e reti di trasporto.