COSA SERVE PER RILANCIARE LE CITTA'
Rigenerazione urbana, la priorità è un centro istituzionale per le politiche e il Ppp
All’ultima assemblea Ance, i costruttori, rappresentati nella visione prospettica dalla Presidente Brancaccio, hanno riaffermato a gran voce l’urgenza di una legge sulla rigenerazione urbana
25 giugno
All’ultima assemblea Ance, i costruttori, rappresentati nella visione prospettica dalla Presidente Brancaccio, hanno riaffermato a gran voce l’urgenza di una legge sulla rigenerazione urbana.
Esigenza autentica. In materia le norme statali sono obsolete e spesso, invece di indirizzare e chiarire, ingenerano dubbi e conflitti interpretativi anche tra gli stessi livelli istituzionali, centrale, regionale e locale. Lo ha ben rappresentato su questa stessa testata il prof. Discepolo, coordinatore della Conferenza delle Regioni, rilanciando sull’opportunità di mettere mano a tutta la materia urbanistica per delineare una nuova visione sistemica dell’azione pubblica che sia coerente ed in linea con il contesto profondamente mutato.
Il governo, rappresentato in assemblea Ance dal Ministro Salvini, ha colto il punto e promesso di attivarsi rapidamente, in abbinata con le “migliorie” al Nuovo Codice dei Contratti e con la riforma del Testo Unico dell’Edilizia.
Ottime notizie.
Ma oltre alla legge sulla rigenerazione urbana o meglio ancora ad una riforma dell’urbanistica, è sempre più evidente come nel Paese si avverta l’esigenza di avere in materia anche un unico punto di riferimento, pubblico e istituzionale, in cui si faccia programmazione e soprattutto sintesi delle politiche di rigenerazione urbana e si attivi un’interlocuzione organizzata e fattiva con gli altri settori, il settore privato e il terzo settore, chiamati a realizzare e a gestire la maggior parte degli interventi di rigenerazione urbana che incidono sulla trasformazione delle nostre città, spesso in partenariati plurali con dimensioni pubbliche e private multiple.
Un Ministero dedicato? Un’altra Cabina di Regia? Non necessariamente, si potrebbe anche pensare all’istituzione di un centro di competenza, di un’autorità in materia, di un’unità di missione all’interno del Ministero delle Infrastrutture che più ne incarna le logiche e gli obiettivi.
La rigenerazione urbana è prima di tutto un processo, al pari dei processi di digitalizzazione o di transizione energetica ed ecologica, grazie al quale si creano infrastrutture materiali e immateriali, necessarie alla collettività o utili al miglioramento del tessuto urbano e sociale.
Ma proprio per questa sua finalità universale, la rigenerazione urbana è trasversale e multilaterale, coinvolge tanti settori dell’economia e muove attori molto diversi che tuttavia si devono coordinare tra loro, i suoi “prodotti” innervano tutte le sfere e toccano pressoché tutti i centri nevralgici delle politiche pubbliche. E poi c’è un tema importante di pluralità delle fonti della rigenerazione urbana: ci sono gli immobili privati, ma anche le aree industriali e a servizio dismesse, i beni demaniali dello stato e quelli confiscati alle mafie e alle criminalità organizzata, i campus universitari e gli immobili delle regioni, delle ex province e dei comuni, solo per citare i principali filoni di provenienza.
La rigenerazione urbana è dunque al centro di un crocevia di progettualità, processi e obiettivi, che più si disperdono e meno sono efficaci, più convergono e più sono in grado di rispondere alle sfide demografiche, socioeconomiche ed ambientali dei nostri tempi.
Pensiamo agli asili e alle scuole materne, al ruolo che hanno nell’educazione dei nostri bambini ma anche a quanto sono importanti per la conciliazione famiglia-lavoro e per contrastare il fenomeno della denatalità e l’inverno demografico. O alle residenze universitarie, non più solo servizi essenziali per sostenere la formazione dei nostri giovani ma assurte a vere e proprie infrastrutture per la competitività ed attrattività dei nostri atenei, diventati a loro volta importanti attori urbani. O alla casa, la cui accessibilità è oggi un tema che tocca anche la sfera del lavoro, con una mobilità verso le grandi e medie città sempre più frenata dalla mancanza di una sistemazione abitativa adeguata ai budget dei lavoratori. E non dimentichiamo la sanità, sempre più orientata a recuperare la dimensione territoriale e di prossimità, oltre che chiamata a fornire nuove infrastrutture e servizi per la popolazione anziana autosufficiente ma bisognosa di attenzioni specifiche. Ma non trascuriamo neppure lo sport, basti pensare a quanto la dimensione urbana permei il dibattito pubblico ogniqualvolta si mette mano agli stadi cittadini o a nuovi impianti sportivi. E chiudiamo con il turismo, da tempo non più confinato nelle località balneari o di montagna ma divenuto centrale e protagonista praticamente su tutto il territorio nazionale.
La recente tristissima vicenda del bracciante indiano Satnam Singh ha messo in evidenza, tra i tanti problemi, che a tre anni di distanza dal varo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza poco è stato fatto per implementare il progetto di superamento delle condizioni abitative di estremo disagio a cui queste categorie di lavoratori sono costretti e per il quale sono stati stanziati 200 milioni di euro. Ecco, noi non crediamo che sia una questione di cattiva volontà o di scarsa attenzione politica alla questione. Crediamo piuttosto che per programmare, progettare e finanziare un piano così importante e complesso serva prima di tutto avere una visione e che questa non possa che formarsi all’interno di un centro di competenze pubbliche che, attraverso il dialogo e il confronto con gli altri centri di competenza del Paese, possa rispondere prioritariamente ad alcune domande fondamentali: ma davvero vogliamo sostituire gli attuali ghetti con altri insediamenti esclusivi, certamente nuovi e moderni, ma sempre ghetti? O non ha più senso pensare all’inserimento della questione abitativa di questi lavoratori nell’ambito delle più ampie politiche dell’immigrazione e della casa che trovano negli interventi di rigenerazione urbana risposte concrete, ancorché da potenziare? E poi chi potrebbe gestire questi nuovi insediamenti sotto il profilo del servizio abitativo?
È solo un esempio, purtroppo tragicamente attenzionato dalla cronaca, che tuttavia restituisce il sentimento diffuso della necessità e dell’urgenza di un forte coordinamento strategico ed operativo in materia di rigenerazione urbana, oggi lasciato alla sensibilità dei singoli ministeri e al dialogo interistituzionale di dirigenti e funzionari volonterosi.
Ma la legge sulla rigenerazione urbana potrebbe essere l’occasione per riflettere su iniziative strutturali anche di governance pubblica dei processi che definisca regole e incentivi, sì, ma anche obiettivi e priorità, di cui certamente potranno beneficiare tutti gli attori imprescindibili di un processo, quello della rigenerazione urbana, i cui contorni identitari sono ormai ben definiti.
Non sprechiamola.
Paola Delmonte è economista sociale ed esperta di rigenerazione urbana e social housing