L’avvento della Modellazione Informativa ovvero del BIM, dapprima, e dell’Information Management, successivamente, hanno cercato di rivitalizzare questo intento secolare, intravedendo nella committenza il soggetto che fungesse da motore mobile.
In altre parole, la tesi prevalente a livello internazionale consisteva nella possibilità che una migliore produzione e un più efficace scambio delle informazioni rendessero meno ambigui e maggiormente verificabili gli esiti.
Questa teoria si è raffinata nel tempo e ha subito notevoli evoluzioni, dando vita a un corpo disciplinare sostanzioso, estesosi oltre i confini del BIM.
Di là di alcune pratiche esemplari, ma circoscritte, il rifiuto effettivo del settore di adottare approcci che si direbbero più improntati a una cultura industriale è rimasto in buona parte intatto.
Da un certo punto di vista, il solo fatto che i modelli informativi (BIM) esplicitino le ottiche specifiche dei soggetti professionali e imprenditoriali è buona testimonianza di una sorta di irriducibilità alla continuità dei flussi informativi.
Può darsi che progressivamente l’opposizione silente venga meno, ma, da questo punto di vista, occorre constatare che le dinamiche, virtuose (?) del settore manifatturiero siano, in ultima analisi, dettate da uno stato di necessità sinora assente per gli attori del comparto.
Che tale stato di necessità possa davvero provenire dal versante della domanda è tutto da verificare, così come lo è parzialmente per l’incremento della produttività intrinseca nelle organizzazioni.
Bisogna, perciò, comprendere se il dato concepito come bene economico su cui imperniare le strutture organizzative e i processi gestionali possa rappresentare questo stato di necessità.
Ciò che si vuole significare è che, da un lato, tutte le applicazioni predittive dei fenomeni, a iniziare dalle soluzioni tipiche dell’Intelligenza Artificiale, esigono data set qualitativamente elevati, mentre, per un altro verso, il dato veramente utilizzabile per supportare i processi decisionali assume un valore economico, può essere apprezzato, vale a dire, può presentare un prezzo per la sua produzione, la sua titolarità, la sua transazione.
Naturalmente, questo passaggio potrebbe presentare contraddizioni, nella misura in cui il dato, pubblico o privato, come bene economico tenderebbe a essere trattenuto gelosamente dai suoi proprietari, mentre esso, in una ottica autenticamente collaborativa di condivisione, potrebbe generare valori aggiunti.
L’irruzione del valore effettivo del dato sul mercato vede, peraltro, come primo destinatario il mondo finanziario, dalle istituzioni finanziarie internazionali e nazionali, ad ABI, ad ANIA, ad AssoGestioni, in quanto fattore di mitigazione dei rischi.
L’interrogativo che si deve porre un settore che si trova agli albori della digitalizzazione, ma che opera per progetti di investimento, è, tuttavia, ancora una volta se sia disponibile a sovvertire prassi consolidate a fronte di leve, come, ad esempio, quelle della Finanza Sostenibile.
Il dialogo tra il legislatore e le entità della domanda pubblica per forza di cose si basa sulla prescrizione e sulla conformità, favorendo stimoli e sensibilizzazioni, ma anche confrontandosi con contesti consolidati.
Può essere che la diversa cogenza dei flussi finanziari per gli investimenti nel settore dell’ambiente costruito possa agire con maggiore immediatezza.
Si tratta, però, di capire se i linguaggi, le mentalità e le convergenze possano essere compatibili tra contesti assai distanti tra loro.