IL RUSH FINALE PER SALVARE I FONDI

Pnrr, revisione definitiva a luglio: fondi oltre il 2026 per tre miliardi a studentati, casa e treni (ma c’è l’incognita armi)

Dalla quinta revisione approvata e dalla comunicazione della commissione “La strada verso il 2026” segnali incoraggianti per la possibilità di riutilizzare i fondi chiudendo accordi su obiettivi e modalità di impiego entro il giugno 2026 e consentendo le realizzazioni negli anni successivi. Ora si attende l’assessment sulla settima rata. Ma serve una proposta forte e decisa del governo italiano che invece sembra fermo (con l’eccezione di Salvini): il rischio è che, in assenza di progetti e proposte sui vecchi obiettivi, i fondi vadano a finanziare l’acquisto di materiale bellico che pure è consentito dalla comunicazione della commissione Ue.

17 Giu 2025 di Giorgio Santilli

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Pnrr, revisione definitiva a luglio: fondi oltre il 2026 per tre miliardi a studentati, casa e treni (ma c’è l’incognita armi)

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Con la comunicazione “La strada verso il 2026” (si veda qui l’articolo di Diario DIAC sulla comunicazione) la commissione Ue – e in particolare il vicepresidente Raffaele Fitto che l’ha elaborata insieme al vicepresidente Valdis Dombrovskis – ha offerta una vasta gamma di opzioni ai Paesi membri per chiudere in bellezza il Recovery Plan, facilitando la rendicontazione di progetti conclusi solo parzialmente, lo spostamento di fondi Pnrr verso altri fondi e programmi (senza perderli) e la costruzione di strumenti finanziari nuovi di zecca, abilitati ad assorbire le risorse di Next Generation Eu e proiettarle oltre il 2026.

Due opzioni, in particolare, tra le otto indicate dalla commissione, consentono di rilanciare fondi Pnrr per una spesa che avverrà effettivamente dopo il 2026: il punto 4, che consente la costituzione di uno “strumento finanziario indipendente per incentivare investimenti privati”, e il punto 6, che consente iniezione di capitali in favore delle banche di promozione nazionale (in Italia Cdp) per finanziare nuove politiche coerenti con gli obiettivi strategici europei.

Entrambe queste opzioni consentono agli Stati membri di fissare entro giugno 2026 milestones che prevedano la sottoscrizione di accordi o di protocolli – con i privati cofinanziatori o con le Cdp nazionali – che quantifichino concretamente gli obiettivi che si vogliono raggiungere con una determinata politica (numero di posti letto degli studentati, numero di abitazioni affordable da realizzare, numeri di treni da acquistare) e individuino forme di garanzia perché gli obiettivi vengano concretamente raggiunti negli anni seguenti al 2026.

Una rivoluzione rispetto all’impianto originario del Pnrr con le sue rigide scadenze. Formalmente il termine del 2026 resta ma si creano dei canaloni che portano oltre.

Se la commissione apre a questa flessibilizzazione che pochi hanno colto nella sua radicalità – da questa settimana parte  peraltro anche il confronto in Parlamento sulla comunicazione “La strada verso il 2026” e gli emendamenti degli eurodeputati già chiedono ulteriori incrementi di flessibilità – spetta però ai Paesi membri avanzare proposte che vadano nella direzione consentita da Bruxelles. La commissione alza una palla d’oro, ma a schiacciarla, con reattività e tempestività, devono essere gli Stati membri.

In Italia, l’unico ministro che da mesi si muove in questa direzione è Matteo Salvini, titolare delle Infrastrutture che dispone della migliore task force Pnrr della compagnie governativa, che a queste svolte europee ha contribuito direttamente (si pensi anche alla misura “modello Terzo valico” che consente di rendicontare anche solo una parte delle opere previste, quella concretamente realizzata, e di stralciare la parte non realizzata). Nella quinta revisione del Pnrr, presentata a marzo e approvata due settimane fa, Salvini ha già incassato un primo risultato: a fronte della riforma della programmazione degli investimenti ferroviari, molto cara a Bruxelles, gli viene consentito di costituire una società di acquisto del materiale rotabile (Rosco, Rolling Stock Company) che dovrebbe assorbire circa un miliardo di euro da altre poste Pnrr non spese. La società, controllata dal Mef e diretta dal Mit, acquisterebbe – dopo il 2026 – treni per i trasporti regionali, abbattendo la principale barriera di ingresso per nuovi operatori che volessero partecipare alle gare per la gestione del servizio ferroviario regionale. Si capisce che la commissione chiude mezzo occhio sull’impiego dei fondi Pnrr e guadagna una serie di obiettivi strategici di concorrenza, trasparenza, vigilanza e apertura dei mercati, forse senza precedenti in Europa nel settore ferroviario.

Che Salvini sia avanti rispetto al resto della compagine governativa lo ha confermato lui stesso quando, all’assemblea di Confindustria Assoimmobiliare (si legga qui l’articolo di Diario DIAC) ha detto chiaramente di puntare a recuperare al Piano Casa Italia 300-400 milioni di fondi Pnrr destinati ai Pinqua (Programma nazionale innovativo per la qualità dell’abitare) che non saranno spesi per i ritardi dei progetti. Il gioco è esattamente lo stesso. Salvini si è tenuto basso – quei 400 milioni potrebbero arrivare a sfiorare, secondo analisi meno ottimistiche. un miliardo dei 2,9 complessivamente destinati ai Pinqua – ma ha fatto capire chiaramente dove vuole andare. Siamo nel pieno del quadro della comunicazione Fitto-Dombrvoskis: costruire un Fondo o altro strumento finanziario che indichi entro giugno 2026 – anche in accordo con soggetti privati – quante abitazioni sociali si possono costruire e destini a questo obiettivo i fondi necessari, con l’aggiunta di cofinanziamenti da parte di soggetti privati che moltiplicano gli obiettivi realizzabili.

Salvini è l’unico ministro che propone, avanza idee, parla apertamente della questione, destinata a confluire nella imminente proposta di revisione del Pnrr. Forse lo fa anche perché deve anticipare la concorrenza che sul Piano Casa Italia potrebbero fargli il Mef e in particolare la sottosegretaria Albano, che ha la delega sul patrimonio pubblico. Da lì, l’insistenza a richiedere per sé tutte le deleghe sul piano casa. Fatto sta che, nella scrittura della revisione definitiva del Pnrr – che dovrà arrivare al massimo a luglio a Bruxelles se si vogliono realisticamente dare i tempi minimi per poi realizzare queste misure – Salvini ha le idee chiarissime mentre latitano tutti gli altri ministri. E, quel che è peggio, latita il ministro titolare della delega sul Pnrr.

Qualcuno ha capito che, se il meccanismo non parte subito, non ci saranno più i tempi per organizzare fondi e strumenti così complessi?

Altro tema, gli studentati. Qui ci sono 1,2 miliardi da spendere ma non si andrà oltre i 300-400 milioni. Si pone quindi lo stesso identico problema, anche se qui un mezzo passo avanti è stato fatto ed è possibile un impegno più diretto di Cdp per la creazione di strumenti finanziari che consentano anche la partecipazione in cofinanziamento di soggetti privati.

Per avere un quadro più chiaro di tutto quel che si muove bisognerà attendere, a giorni, l’assessmente della settima rata. Perché la lunghezza dell’esame nasce probabilmente dal fatto che il confronto fra Roma e Bruxelles ha portato a inserire già nella settima rata qualche aggiustamento che vada nella direzione indicata dalla comunicazione Fitto. Gli studentati potrebbero essere fra questi.

Facendo le somme e immaginando altre voci collaterali, si pensi alle infrastrutture idriche, non è difficile arrivare ad almeno tre miliardi recuperabili con le opzioni della comunicazione Fitto, almeno nei programmi di infrastrutture, trasporti e abitare in senso lato.

L’incognita più seria rispetto all’effettivo recupero di questi fondi su obiettivi simili a quelli originari non viene, però, dall’inerzia del governo o del coordinamento Pnrr nel governo. Piuttosto dal punto 7 della comunicazione Fitto, là dove si prevede che i fondi non spesi del Pnrr possano anche finire, come contribuzione, al Programma europeo di industria della Difesa. Se si fa un giro per le task force Pnrr ministeriali in questi giorni si scopre che il timore diffuso è proprio questo: che, dopo aver difeso per quattro anni le proprie risorse e i propri obiettivi nel Piano, molti ministeri rischiano di vederseli sfilare proprio dal Piano di riarmo europeo. Timore diffusissimo che fa venire anche il dubbio che tanto silenzio e tanta inerzia, intorno a Palazzo Chigi, potrebbe nascondere proprio l’obiettivo di destinare fondi non spesi al potenziamento militare. Non sarebbe facile ma neanche impossibile. Non è escluso che l’opzione potrebbe essere vista con favore anche dallo stesso ministro dell’Economia Giorgetti, considerando che l’aumento delle spese militari è un obiettivo strategico e ineludibile e che in qualche modo andrà comunque finanziato.

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