La conferenza Bankitalia-Bei
Panetta: “L’innovazione non nasce per caso, creare un ecosistema”. Vigliotti (Bei): “Presto il TechEu, mobiliterà 250 miliardi di investimenti”

FABIO PANETTA GOVERNATORE BANCA D'ITALIA
Più innovazione significa più competitività e produttività, un pilastro per promuovere una crescita sostenibile e duratura e per superare il gap tra l’economia europea e quella statunitense. “Serve un cambio di passo” e cruciale è il ruolo del pubblico che non deve semplicemente mettere più risorse ma creare un ecosistema dove interagiscono molteplici fattori per alimentare il potenziale innovativo dell’economia. E’ una sfida complessa quella che il Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha indicato, ieri, nel suo intervento alla conferenza “Competitività e innovazione: la risposa europea”, organizzata dall’istituto centrale e dalla Banca europea degli Investimenti. Una sfida che Panetta puntualmente rilancia nei suoi interventi e che è stata uno dei temi centrali delle Considerazioni Finali il 30 maggio. E ieri ci è tornato rivolgendo il suo messaggio, tra gli altri, a due dei principali attori pubblici di riferimento presenti, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e la vicepresidente della Bei, il braccio finanziario dell’Unione europea, Gelsomina Vigliotti. Un appuntamento, la conferenza di Bankitalia e Bei, che ha rappresentato u momento di confronto tra istituzioni, imprese e investitori per discutere il ruolo strategico della finanza nello sviluppo di un ecosistema europeo capace di promuovere l’innovazione, valorizzare il capitale umano e accompagnare la crescita di nuovi campioni tecnologici.
“L’innovazione non nasce per caso, né può essere semplicemente ottenuta aumentando le risorse ad essa dedicate”, ha messo subito in chiaro Panetta. Fattori chiave sono “la disponibilità di capitale di rischio e di forza lavoro qualificata, ma anche un ecosistema che stimoli la concorrenza, faciliti la diffusione delle idee e riduca le asimmetrie informative tra finanziatori e imprenditori”. Come ha osservato Panetta, ecosistemi di questo tipo tendono a svilupparsi in aree geografiche ben delimitate che, una volta raggiunta la leadership tecnologica, riescono spesso a mantenerla nel tempo. Negli Stati Uniti, ad esempio, oltre la metà delle tecnologie economicamente più rilevanti ha origine in due soli poli: la Silicon Valley e il corridoio che collega Boston, New York e Washington. Un’elevata concentrazione si osserva anche a livello aziendale: nel 2024, una domanda di brevetto su dieci è stata presentata dalle prime cinque imprese più attive. Organizzazioni di dimensioni maggiori dispongono di competenze più diversificate e risorse per investire su un’ampia gamma di progetti ad alto rischio, da cui possono emergere innovazioni radicali.
C’è poi un dato che ha messo in rilievo il Governatore: “in media, i progetti innovativi falliscono. Ma è al di fuori della media che nascono le intuizioni capaci di trasformare i processi produttivi. Il modello di sviluppo dell’innovazione si basa sulla capacità di ottenere da pochi progetti di grande successo un ritorno sufficiente a compensare numerosi insuccessi”. Di qui, la necessità di “sperimentare, investire in parallelo su più progetti e apprendere anche dai fallimenti”. Non è un compito facile per le piccole imprese che “tendono a concentrarsi su innovazioni incrementali: meno rischiose, ma anche meno trasformative”. Quale deve essere il ruolo pubblico? Quello di sostenere l’innovazione lungo almeno tre direttrici: “finanziando la ricerca di base e il trasferimento tecnologico, orientando la propria domanda verso tecnologie avanzate e facilitando la mobilitazione di capitali privati. Sempre più spesso, le innovazioni più significative nascono dall’incontro tra ricerca di base – generalmente pubblica – e ricerca applicata, svolta dalle imprese. Negli Stati Uniti, la quota di brevetti legata alla ricerca finanziata dal pubblico è salita dal 3 per cento nel 1945 al 30 nel 2010. Questa proficua interazione è particolarmente importante per le start-up innovative, che giocano un ruolo cruciale nel dinamismo economico”.
Per Panetta,” il settore pubblico può intervenire anche sul lato della domanda, acquistando direttamente beni e servizi ad alto contenuto tecnologico, oltre che erogando sussidi diretti”. E’ il caso delle agenzie statunitensi Advanced Research Projects Agencies (ARPA), che finanziano progetti ad alto rischio e potenziale, spesso ignorati dal venture capital, come nel caso del deep tech mentre in Europa, esperienze analoghe sono ancora limitate. I programmi Pathfinder e Transition dello European Innovation Council rappresentano un primo passo, ma con risorse – meno di 400 milioni di euro annui – ancora molto inferiori ai circa 7 miliardi di dollari destinati alle agenzie americane. Inoltre, “il settore pubblico può attivare investimenti privati, soprattutto in settori con ritorni altamente incerti e in contesti con minore propensione a investire in capitale di rischio, come in Europa”. Qui si registra una spesa pubblica in ricerca e sviluppo comparabile a quella Usa “ma spesso meno meno efficace”. Un richiamo poi all’Italia che “deve colmare il divario con il resto d’Europa. Spendiamo per l’università solo l’1 per cento del PIL, circa un terzo in meno della media UE, e con infrastrutture di trasferimento tecnologico limitate rispetto ai principali poli europei. Occorre investire meglio: rafforzando i centri di eccellenza e valorizzando quelli minori attraverso reti di collaborazione”. E, soprattutto, ha incalzato Panetta, “è urgente completare la costruzione di un mercato europeo dei capitali pienamente integrato, in grado di canalizzare il risparmio verso progetti imprenditoriali ad alto potenziale”.
Se per Panetta l’innovazione non nasce per caso, anche per la vicepresidente di Bei Vigliotti “la capacità di innovare non è più un’opzione: è una condizione imprescindibile per assicurare competitività, autonomia strategica e resilienza economica”. La base deve essere quella di “un ecosistema solido: fatto di capitale umano qualificato, infrastrutture di eccellenza, governance efficiente e, soprattutto, di strumenti finanziari adeguati e capitali pazienti”. Tre sono i messaggi chiave contenuti nel rapporto presentato dalla Bei, presentato ieri. “La finanza è essenziale per l’innovazione. L’Unione Europea dispone di basi industriali, scientifiche e tecnologiche solide. Ma per esprimere pienamente il suo potenziale servono investimenti su larga scala e con una maggiore propensione al rischio. 2) Il settore pubblico ha un ruolo cruciale. Gli investimenti pubblici, quando accompagnati da strumenti mirati e coordinati a livello europeo, possono generare un effetto leva rilevante, accelerando la trasformazione del nostro tessuto produttivo. 3) La ricchezza finanziaria europea è significativa, ma va meglio mobilitata. Catalizzare il risparmio privato per finanziare l’innovazione è considerazione necessaria per aumentare la competitività e l’autonomia strategica dell’Europa in settori chiave come l’energia, il digitale e la difesa. In Europa, e in particolare in Italia, l’accesso al capitale per le imprese innovative – soprattutto nelle fasi di crescita – rimane limitato. Molte startup e PMI ad alto potenziale tecnologico si trovano in una sorta di “terra di nessuno”: troppo grandi per il venture capital tradizionale, troppo giovani o rischiose per il credito bancario, troppo piccole per attrarre i grandi fondi internazionali”. Allo stesso tempo, una parte consistente della liquidità presente nel sistema resta ancorata a logiche di breve periodo e, ha sottolineato Vigliotti, “la frammentazione non solo complica l’attività delle imprese, in particolare le PMI che costituiscono oltre il 90% del tessuto produttivo europeo, ma rappresenta anche un forte disincentivo per gli investimenti, dirottandoli verso mercati extra-europei percepiti come più semplici e coerenti, oltreché più liquidi”.
In questo contesto, il Gruppo BEI, che comprende la Banca europea per gli investimenti e il Fondo europeo per gli investimenti, vuole essere “un ponte tra capitale pubblico e privato, tra visione strategica e impatto concreto sull’economia reale”. “Prossimamente – ha annunciato Vigliotti – lanceremo TechEU, un ambizioso pacchetto a sostegno dell’innovazione in Europa. Investiremo oltre 70 miliardi di euro nei prossimi tre anni, con l’obiettivo di mobilitare fino a 250 miliardi di investimenti nell’economia reale. Realizzeremo questo ambizioso obiettivo investendo su supercomputing, intelligenza artificiale, infrastrutture digitali, materie prime critiche e tecnologie per la sicurezza e la difesa, investendo nel cleantech, greentech e healthtech. Realizzeremo questi investimenti attraverso una gamma diversificata di strumenti finanziari, come il Venture Debt o il Venture Capital, con un approccio orientato all’innovazione, e allineato con le priorità europee. E soprattutto in grado di supportare le imprese lungo l’intero percorso di crescita, dall’idea alla quotazione”. Inoltre, “un esempio tangibile delle nostre iniziative, in questo contesto, è l’European Tech Champions Initiative (ETCI), lanciata dal Gruppo BEI con il supporto di alcuni Stati Membri, tra cui l’Italia che ha investito 150 milioni. Si tratta del primo fondo di fondi destinato interamente a colmare il “late-stage funding gap” che ostacola la crescita delle scale-up europee”.
Nel report della Bei, illustrato da Debora Revoltella, Direttrice del Dipartimento Economia della BEI, emerge come l’Europa mantenga un vantaggio nella ricerca di base, ma riscontri difficoltà nel tradurre l’innovazione scientifica in applicazioni commerciali. Le realtà produttive italiane ed europee evidenziano ancora una limitata propensione ad adottare nuove tecnologie rispetto ai concorrenti internazionali. Ad esempio, dall’indagine della BEI emerge che circa il 25-35 per cento delle aziende dichiara di utilizzare l’intelligenza artificiale, rispetto al 40 per cento negli Stati Uniti. I dati della BEI indicano inoltre che, negli ultimi anni, le imprese italiane hanno incrementato gli investimenti nel digitale, mentre risultano ancora indietro su quelli legati al cambiamento climatico: solo il 46 per cento dedica risorse all’efficientamento energetico, contro il 65 per cento a livello europeo. In particolare, le realtà giovani e innovative continuano a incontrare difficoltà nell’accesso al credito, una criticità che la BEI affronta con strumenti dedicati alle PMI. In questo contesto, Revoltella ha richiamato l’attenzione sulle nuove iniziative promosse dalla Commissione Europea e dalla BEI per sostenere l’innovazione lungo tutto il ciclo di vita aziendale, puntando su una maggiore integrazione dei mercati dei capitali e sull’espansione dell’uso di strumenti come venture capital e venture debt, fondamentali per rafforzare competitività e produttività.
“Il Governo sta agendo su diversi fronti, rendendo le opportunità di riforma e investimento del Pnrr leve per l’innovazione e il cambiamento strutturale del Paese. I primi risultati sono già visibili e diventeranno via via piu’ evidenti nei prossimi anni”, ha poi assicurato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.”Mi limito a ricordare gli interventi principali – ha sottolineato – che stanno rimodellando il nostro sistema produttivo: gli incentivi fiscali a sostegno degli investimenti delle imprese per la transizione digitale ed ecologica (in particolare Transizione 4.0 e 5.0); le misure per la valorizzazione del capitale umano per rispondere alle richieste del mercato del lavoro e a sostegno dell’innovazione (tra queste, in particolare, la riforma della filiera tecnico-professionale, la creazione di Istituti Tecnologici Specialistici, il rafforzamento di partenariati e altre forme di cooperazione tra università, centri di ricerca ed imprese”.
In un discorso tenuto ieri a Palermo, il direttore generale di Bankitalia, Luigi Federico Signorini, ha posto l’accento sul “contributo che può dare l’esistenza di un sistema bancario unitario e concorrenziale alla realizzazione della cosiddetta Unione dei risparmi e degli investimenti, cioè alla creazione di un mercato dei capitali, bancario e finanziario, ben integrato, che favorisca lo sfruttamento effettivo delle potenzialità del mercato unico europeo”. “Serve un deciso colpo d’acceleratore”, ha detto. Richiamando i rapporti Letta e Draghi, Signorini ha evidenziato “il grande bisogno di attrarre investimenti per recuperare i ritardi accumulati sul piano della tecnologia e della produttività, perseguire efficacemente la transizione climatica e l’innovazione digitale, creare le condizioni per un robusto sviluppo; che a mancare in Europa non sono certo i risparmi necessari per finanziarli, che sono anzi abbondanti, e finiscono in parte non piccola all’estero; che l’Europa ha per di più il doppio vantaggio di una popolazione istruita e di un enorme mercato; ma che quest’ultimo funziona in parte solo sulla carta, a causa di pervasive barriere interne che impediscono di coglierne appieno i benefici; ed è dunque imperativo darsi da fare per abbatterle”.