SICUREZZA E APPALTI/PERCHé VOTO NO

Le finalità del quesito sono condivisibili, ma si corre l’elevato rischio di irrigidire l’intero sistema

L’8 e 9 giugno si voterà il referendum abrogativo che propone la cancellazione parziale dell’art. 26, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008, nella parte in cui esclude la responsabilità solidale del committente – da intendersi come l’appaltatore – per i danni derivanti da “rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici”.

 

05 Giu 2025 di Niccolò Grassi

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Si tratta di un quesito abrogativo particolarmente rilevante considerato che è in grado di sovvertire l’attuale sistema secondo cui il committente risponde in solido con l’appaltatore e gli eventuali subappaltatori per i danni da infortunio o malattia professionale che non risultino indennizzati da INAIL o IPSEMA, ma è esonerato da tale responsabilità se l’evento dannoso deriva da un rischio specifico e tipico dell’attività svolta dall’appaltatore o dal subappaltatore.

Il quesito referendario, quindi, mira ad abrogare questo esonero, estendendo la responsabilità civile del committente anche ai casi in cui egli non abbia controllo tecnico o organizzativo diretto sull’attività appaltata. Il tema tocca direttamente la disciplina del subappalto pubblico, oggi regolata dall’art. 119 del D.Lgs. 36/2023, il quale sancisce una responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore nei confronti della stazione appaltante per le prestazioni eseguite, nonché obblighi precisi in materia di trattamento economico e sicurezza dei lavoratori. In particolare, l’affidatario è solidalmente responsabile con il subappaltatore per il rispetto delle normative in materia di salute e sicurezza e deve garantire il coordinamento tra i piani di sicurezza operativi.

Si delinea così una filiera contrattuale dove il controllo del soggetto principale sugli esecutori indiretti assume una valenza sostanziale. L’eventuale abrogazione della clausola di esonero rafforzerebbe ulteriormente questa responsabilità, traducendosi in un principio di garanzia assoluta per il lavoratore, che avrebbe sempre almeno un soggetto solvibile su cui rivalersi per il danno patito. Secondo i promotori del “sì”, ciò rafforzerebbe la tutela dei diritti dei lavoratori, specie nei contesti dove il subappalto viene utilizzato per abbassare i costi, anche a scapito della sicurezza. Un simile effetto deterrente spingerebbe le imprese committenti – pubbliche o private – a selezionare appaltatori solidi, ad attivare controlli più penetranti lungo la filiera e a internalizzare il rischio di incidenti attraverso pratiche organizzative più rigorose. Tuttavia, un’analisi più equilibrata impone di considerare anche le possibili conseguenze disfunzionali dell’abrogazione. La previsione attuale distingue tra rischi interferenziali, per i quali è corretto attribuire una responsabilità anche al committente, e rischi propri dell’impresa esecutrice, sui quali il committente non ha spesso alcuna competenza tecnica o potere di ingerenza. In tal senso, la norma vigente riflette un principio di ragionevolezza e proporzionalità: non si può chiedere al committente di farsi garante di ciò che è totalmente fuori dal proprio controllo. Nel settore dei contratti pubblici, tale approccio trova conferma nella struttura del Codice del 2023, che responsabilizza l’affidatario ma non lo rende assicuratore universale dell’intera filiera. La vittoria del “no” al referendum manterrebbe inalterato questo equilibrio, lasciando impregiudicata la responsabilità solidale per i danni interferenziali e per le violazioni delle norme di sicurezza in ambito contrattuale, ma preservando un’area residuale in cui la responsabilità resta in capo al datore di lavoro diretto. In questa prospettiva, il miglioramento della sicurezza nei subappalti pubblici passa più per un’applicazione rigorosa della normativa esistente – già rafforzata dal nuovo Codice – che per una generalizzazione automatica della responsabilità civile.

Sebbene le finalità del referendum siano condivisibili sul piano etico, una sua approvazione rischia di tradursi in un irrigidimento sistemico che, anziché incentivare la prevenzione, moltiplichi i profili di contenzioso e disincentivi l’affidamento di lavori specialistici, specie nei settori a maggiore rischio tecnico.

 

 

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