IL LABIRINTO OSCURO DELL'EDILIZIA / 30

Il ruolo dei professionisti della PA nei procedimenti di istruttoria e rilascio dei provvedimenti di natura ambientale e paesaggistica: le criticità

Il disegno di legge 1372 Senato evidenzia l’ipotesi (non condivisibile) di andare in direzione di un abbandono della tutela da parte dello Stato, che rema contro la lettera e lo spirito dell’art. 9 della Costituzione.

La maggior devoluzione della tutela paesaggistica agli enti locali non sembra assolutamente idonea a ridurre i tempi di risposta, anche alla luce di una mancata garanzia di elevati livelli di protezione del paesaggio, proprio perché in molti enti locali mancano adeguate dotazioni di personale specializzato, che possano supportare scelte destinate a incidere in modo significativo sul contesto territoriale e paesaggistico.

Tali carenze appaiono già evidenti, laddove l’allungamento dei tempi di conclusione dei procedimenti paesaggistici non dipende solo dalle Soprintendenze, ma, da tardive trasmissioni degli Uffici competenti comunali (Edilizia, Urbanistica, Ambiente e Paesaggio) con delega di tutela del patrimonio paesaggistico (delega che evidenzia delle criticità con profili di incostituzionalità).

Con questa proposta di legge, si finirebbe con il sovraccaricare ulteriormente, il già gravoso carico di lavoro degli enti locali, con inevitabili ed ulteriori conseguenze nei ritardi nel rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche.

Occorre anche sottolineare come spesso i tempi delle autorizzazioni paesaggistiche siano resi inevitabilmente più lunghi dalla presentazione di progetti inadeguati e incompleti, che richiedono necessariamente integrazioni e approfondimenti sia da parte delle Soprintendenze che degli enti locali comunali, mentre sarebbe necessaria maggiore consapevolezza, professionalità e alta qualificazione sul tema ambientale/paesaggistico trattato dai proponenti.

12 Mag 2025 di Salvatore Di Bacco

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In un periodo in cui sempre di più prendiamo coscienza di quanto l’ambiente e il paesaggio siano importanti:

  1. per la salute psico-fisica,
  2. per la formazione dell’identità delle persone
  3. e per la costruzione del senso di appartenenza a una comunità, locale o nazionale

appare innegabilmente fondamentale rafforzare e non diminuire la tutela del paesaggio.

La continua compressione dei tempi necessari alla valutazione delle istanze se non sono bilanciate da una adeguata disponibilità di personale qualificato, sia negli enti locali che nelle Soprintendenze, avrà come effetto una regressione della qualità della tutela, con conseguente deterioramento generale del paesaggio italiano, senza avere la certezza del raggiungimento dell’obiettivo di una maggior celerità di risposta ai cittadini.

Se il paesaggio è, come premesso, parte del patrimonio culturale italiano, la sua tutela deve essere intesa come prevalente perché interesse di rango costituzionale.

La nostra Costituzione ha già operato una scelta che pone come interesse principale quello della tutela a cui devono conformarsi gli altri, comprese le infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale che devono essere progettate con criteri di minor impatto su un patrimonio paesaggistico.

La gestione della “risorsa” (ambientale e del paesaggio), rientra tra i doveri (di tutti gli attori coinvolti nel processo procedimentale) nel tramandare il “nostro” patrimonio paesaggistico, il più possibile integro alle future generazioni.

Gli investimenti che oggi compiamo per la realizzazione di infrastrutture e importanti opere pubbliche devono essere investimenti che non guardano solo alla immediata realizzazione con il minor costo, ma,  che garantiscono una sostenibilità delle opere rispetto alla qualità di vita delle persone che vivono attorno a quelle opere.

Qualità che è innegabilmente legata anche alla qualità paesaggistica.

Carenza di adeguate dotazioni di personale specializzato negli enti locali

Riguardo ai principi e criteri direttivi a cui il Governo si dovrà attenere per l’esercizio della delega, il comma 2, lettera b) prevede che gli interventi di lieve entità, all’Allegato B del D.P.R. n. 31/2017 come disciplinati dal Regolamento, non siano sottoposti a parere della Soprintendenza e competano esclusivamente agli enti locali, previa verifica di conformità con il Piano paesaggistico regionale.

Va osservato al riguardo che, pur essendo piccoli interventi, si tratta pur sempre di aree tutelate.

Non viene, inoltre, specificato il modo in cui competenze di questa natura possano essere espletate da amministrazioni piccole e piccolissime, come sono la stragrande maggioranza dei nostri Comuni.

Sarebbe quindi necessario chiarire in che modo possa essere garantita la qualità del giudizio laddove i Piani non ci fossero.

Infatti, gli Enti locali (nello specifico, i Comuni quali delegati delle Regioni) molto raramente hanno le competenze adeguate (ci si riferisce, in particolare, a personale formato dotato di competenze specialistiche) che sarebbero, invece, necessarie per l’espletamento di valutazioni approfondite in merito alla compatibilità o meno di un intervento prospettato, a vincoli paesaggistici generici.

Corre l’obbligo di ricordare, infatti, che il nostro Paese è formato per la grandissima prevalenza da piccoli Comuni: nel 2024 il 69,9% dei Comuni italiani contava meno di 5.000 abitanti (fonte: IFEL Ufficio Studi e Statistiche Territoriali su dati Istat), il che rende evidente che difficilmente potranno avere un organico adeguato per valutazioni tecnico-specialistiche che oggi non erano tenuti a fare, connesse a una tutela che, per sua natura, non è differenziata, nel senso di una minore necessità di tutela al decrescere della dimensione dell’Ente.

Il tutto senza, peraltro, che sia previsto una adeguata implementazione dell’organico (cosa che il d.d.l., che prevede la non creazione di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, non fa).

Sintetizzando le osservazioni sopra esposte, se è apprezzabile l’intento di chiarezza e semplificazione su taluni aspetti (come, ad esempio, il richiamo espresso alla disciplina del silenzio-assenso), deve richiamarsi l’attenzione sulla forte esigenza di non abbassare il livello delle tutele del bene paesaggio, costituzionalmente tutelato.

Ciò, quindi, è necessario rimodulare le finalità previste dal ddl tenendo in considerazione le seguenti criticità:

  • evitando di sottrarre alla tutela un ventaglio di interventi troppo elevato, ampliando eccessivamente una casistica già notevolmente semplificata a seguito dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 31/2017;
  • garantendo alle Soprintendenze tempistiche adeguate all’espressione dei pareri, che devono, a mio avviso, rimanere vincolanti, per la specificità degli interessi tutelati;
  • evitando una devoluzione indiscriminata agli Enti locali di poteri-doveri di valutazione che, nella maggior parte delle amministrazioni che sarebbero coinvolte, non potrebbero essere esercitati con il dovuto grado di preparazione tecnica, portando potenzialmente, oltre a rischi di abbassamento delle tutele paesaggistiche, anche a risultati (contrari alle finalità perseguite) di “blocchi della firma” da parte di funzionari pubblici che temono le conseguenze di eventuali errori nelle scelte “incoscienti” che verrebbero loro demandate.

Ma il fine deve essere quello di correggere, per rendere più efficace  la tutela e non rinunciare ad esercitarla.

 Carenza di adeguate dotazioni di personale specializzato nelle soprintendenze

 Il DDL 1372, si prefigge di rivedere il ruolo delle soprintendenze nell’ambito delle procedure di autorizzazione paesaggistica, con un duplice scopo:

  • da un lato, garantire la tutela del patrimonio culturale e paesaggistico in maniera più efficace e mirata;
  • dall’altro, semplificare i procedimenti amministrativi per evitare che la pubblica amministrazione diventi un ostacolo allo sviluppo economico e territoriale del Paese, attribuendo ai Comuni maggiore autonomia decisionale per gli interventi di minore impatto.

La prima finalità non viene sufficientemente garantita a fronte di una semplificazione dei procedimenti amministrativi e di controllo, mentre la finalità di attribuire ai Comuni una maggiore autonomia decisionale per gli interventi di minore impatto sposterebbe solo il problema da un’amministrazione ad un’altra, lasciando intatte le criticità derivanti da tempi e modalità di esercizio della tutela.

Infatti, a fronte della forte disomogeneità dell’operato delle diverse amministrazioni locali, vi sarebbe il rischio che i processi decisionali risultino differenziati a livello territoriale.

Mantenendo sempre alta la volontà di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio – nostra vera ricchezza, in termini culturali, ambientali, sociali ed economici – l’approccio corretto dovrebbe essere quello di supportare e migliorare la qualità della pubblica amministrazione, rafforzando il Ministero della Cultura:

  • attraverso la digitalizzazione,
  • il rinforzo del personale organico,
  • la formazione ecc.

e non svilendone i ruoli.

Le difficoltà oggi sono innegabili: una burocrazia ancora obsoleta, il quadro normativo che continuamente muta e perde di coerenza, oltre la fatica da parte della amministrazione pubblica di svolgere il suo dovere di tutela.

Ma la soluzione non può essere ricercata nella rinuncia al “governo” delle trasformazioni territoriali.

L’obiettivo dovrebbe essere, all’opposto, quello di rendere più efficiente l’amministrazione pubblica, attraverso:

  • il potenziamento di personale,
  • la sua formazione continua, in particolare in materia paesaggistica,
  • la dotazione di mezzi idonei allo svolgimento del lavoro, per esempio attraverso l’implementazione della digitalizzazione delle procedure e l’introduzione di strumenti digitali condivisi, affermando una sempre più necessaria integrazione tra i vari specialisti;
  • il rafforzamento della pianificazione e in particolare della pianificazione in materia paesaggistica;
  • la creazione di linee guida nazionali e la loro declinazione alla scala locale.

 

Non è condivisibile la proposta del DDL 1372 di erodere il ruolo delle Soprintendenze, custodi dei valori collettivi del nostro paesaggio e dell’ambiente delegando tali “delicate” funzioni di autorizzazione e di verifica di compatibilità ambientale/paesaggistica a “inermi” funzionari tecnici comunali che non hanno assolutamente quelle qualificazioni professionali che ne legittimano la sostituzione.

In particolare:

  • ridurre ulteriormente i tempi per l’elaborazione e l’espressione del parere da parte delle Soprintendenze, significherebbe spesso rendere impossibile il lavoro delle stesse;
  • inasprire il silenzio-assenso, significa una mancata tutela degli interessi della collettività (ambiente e paesaggio);
  • attribuire ai Comuni “maggiore autonomia decisionale” per gli interventi di minore impatto è un obiettivo che non rispetta il dettato costituzionale che rimette l’esercizio della tutela costituzionale e collettiva ad un ente locale che non tra gli obiettivi quelli della primaria funzione avente carattere di unità nazionale;

 Conclusioni

 Nel 1985, con l’approvazione della cosiddetta legge Galasso (legge 8 agosto 1985, n. 431, poi integrata nel Codice), la superficie tutelata del Paese diventa il 46,90%, a fronte del precedente 17,42%.

Di conseguenza gli adempimenti relativi agli interventi di natura paesaggistica sono aumentati considerevolmente, mentre il personale addetto delle amministrazioni statali e comunali è rimasto invariato, o addirittura è diminuito.

L’attribuzione di competenze autorizzative in materia paesaggistica agli enti locali solleva serie criticità, soprattutto alla luce della carenza di risorse tecniche e professionali adeguate.

Circa il 70% dei Comuni italiani ha meno di 5.000 abitanti e dispone di strutture tecnico-amministrative ridotte che sono chiamate a coprire ambiti estremamente eterogenei, quindi senza la possibilità di acquisire una preparazione specialistica per ciascuna materia e spesso inadeguate a gestire procedure complesse e altamente specialistiche.

In questo contesto, il rischio è duplice: da un lato, che le decisioni vengano assunte senza un’adeguata competenza tecnica; dall’altro, che si generi un blocco decisionale per timore di assumersi responsabilità.

Anche le Soprintendenze soffrono di una cronica carenza di organico, tuttavia rappresentano un presidio per la salvaguardia del paesaggio e del patrimonio culturale nazionale da cui non è opportuno prescindere, anzi è necessario investire attraverso il rafforzamento degli organici e la formazione dei suoi funzionari perché possano rispondere al meglio alle modificate esigenze della società attuale nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione.

L’ampliamento delle fattispecie sottratte al controllo paesaggistico, unito all’attuale debolezza delle strutture preposte, rischia di generare nuovi colli di bottiglia nei procedimenti autorizzativi e, soprattutto, scenari di regressione nella tutela del territorio come già avvenuto in passato ed in particolare nel periodo tra il 1976 e il 1985, quando venne promulgata la cd. Legge Galasso.

Alla luce di queste criticità, appare urgente intervenire con proposte puntuali e migliorative, capaci di coniugare l’efficienza amministrativa con la salvaguardia dei valori identitari del paesaggio italiano – patrimonio riconosciuto a livello internazionale, elemento distintivo della nostra cultura e risorsa per lo sviluppo dei territori.

Si evidenzia, infine, come le criticità nei processi pianificatori – si pensi ai tempi eccessivamente lunghi per l’approvazione dei Piani degli Interventi – siano più frequentemente riconducibili a una carenza di competenze tecniche e a una generale difficoltà decisionale all’interno della pubblica amministrazione, piuttosto che a un eccesso di vincoli normativi.

In questo quadro, appare prioritario investire nella formazione, nell’organizzazione e nella responsabilizzazione delle amministrazioni competenti.

In conclusione, particolare attenzione va riservata al rafforzamento degli organici e delle competenze delle Soprintendenze e dei Comuni, affinché queste possano svolgere con efficacia e tempestività il proprio ruolo, contribuendo ad un’azione di tutela autorevole, coerente e pienamente integrata nei processi di pianificazione e in grado di rispondere nei modi e tempi richiesti dalla società attuale.

 

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