L’IA e il bivio fra rafforzamento delle pratiche consolidate e un ecoambiente con decisioni sempre più autonome

Due eventi, recentemente organizzati a Roma e a Brescia, sulla digitalizzazione del settore delle costruzioni, a partire dalla Gestione Informativa Digitale per finire con l’Intelligenza Artificiale, permettono di iniziare a ragionare, nel 2025, su quale equilibrio di visione si possa traguardare per il 2030.

Da un lato, infatti, si è ormai esaurita l’onda lunga mediatica del cosiddetto BIM, anche se una serie di acronimi e di locuzioni addizionali, come, in primo luogo, Digital Twin, cercano di protrarne l’effetto; da un altro canto, si è in piena foga per la AI, o IA che dir si voglia, con tutte i portati immaginabili.

23 Feb 2025 di Angelo Ciribini

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L’interrogativo che sorge dietro a tutto ciò, da molti tradotto nell’espressione «maturità digitale», riguarda, però, un livello superiore, che oltrepassa sia la Twin Transition, digitale e sostenibile, sia la triade digitalizzazione/circolarità/sostenibilità, divenute entrambe ormai parole d’ordine irrinunciabili, alla stregua di un prefisso.

L’inestricabilità delle due o delle tre categorie è, d’altronde, spesso messa in discussione, poiché, per alcuni ambiti geopolitici, a una accentuazione della digitalizzazione corrisponde un depotenziamento della circolarità e della sostenibilità, a sua volta, articolata in mille rivoli e alle mille scale.

Il punto, tuttavia, concerne il significato di fenomeni che hanno iniziato a palesarsi tre lustri or sono, intorno al 2010: contestualmente a Industrie 4.0.

La questione ultima riguarda, infatti, la natura del settore e l’identità dei suoi attori, incentrandosi sul discrimine tra informatizzazione e digitalizzazione, tra documento e dato.

Condividere dati sensibili (strutturati o meno), ontologie e quanto altro tra competitori rappresenterebbe, infatti, un cambio di paradigma, ma vorrebbe dire accettare, da parte di tutti i player, di ripensare se stessi, di modificare il posizionamento nella catena del valore, di integrare culture e apparati fisiologicamente distinti.

Se, in effetti, molta parte delle soluzioni proposte e normalizzate per i processi, per i metodi e per gli strumenti è realmente praticabile e talora praticata, contribuendo a migliorare la qualità delle prassi e degli esiti, occorre dire che tali soluzioni si iscrivano, o, comunque, siano attuate secondo ana-logiche, vale a dire quale potenziamento delle pratiche consolidate, entro un quadro di riferimento riconoscibile e un contesto convenzionale.

Tutto ciò ha un rilievo considerevole, costituisce un avanzamento non trascurabile, ma, in definitiva, ha poco a che fare con una dimensione autenticamente digitale che, peraltro, portata alle sue estreme conseguenze, potrebbe rivelarsi indesiderabile o, perlomeno, problematica.

Proprio per questa ragione, è oggi importante assumere un atteggiamento critico, di consapevolezza, rispetto ai fenomeni in atto che, in ultima analisi, si dipanano lungo un fil rouge che presenta due estremi.

Il primo di essi consiste nel promuovere una campagna capillare, anche attraverso i disposti legislativi, di regole e di nozioni, oltreché di formazione e di dispositivi, relativamente a, per così dire, una dotazione basilare per il cassetto degli attrezzi.

L’obiettivo è quello di far acquisire a tutti gli operatori un gergo e una familiarità con i concetti e le funzionalità principali: di alfabetizzazione del tessuto diffuso del mercato, committente, professionale e imprenditoriale.

Il che, comunque, comporta l’eventualità che la base degli attori si limiti successivamente a mettere in essere esclusivamente alcuni modi rituali.

Il secondo corno è offerto dalla ambizione e dalla speranza che modalità «altrimenti intelligenti» possano aumentare le capacità e le prestazioni umane: sentimenti che oscillano tra il supporto fornito all’esperienza e la delega richiesta da parte dall’inesperienza.

Il fatto è che questa opzione presuppone l’evoluzione di un sapere collettivo computazionalmente abilitato (che possa giungere a una Intelligenza Artificiale Generale?) che segue logiche proprie, dunque aliene, talora costitutivamente inesplicabili, e che si alimenta di quadri conoscitivi oltre tutto alimentabili in tempo reale.

Di conseguenza, come si potrebbe confutare o contestare una tale conoscenza accumulata, scevra di allucinazioni (sia pure pregiudiziale e selettiva) che si alimenti con ulteriori serie di dati tempestivamente acquisiti?

Benché il punto di partenza abbia costitutivamente coinvolto i risultati dei processi (ad esempio, la coerenza dei contenuti informativi o l’attendibilità delle stime economiche), ormai la focalizzazione si sposta sui processi e sulla loro semi-automazione.

Il celeberrimo Building Information Modelling nasce, infatti, come Product Data Modelling (e ora il Digital Product Passport potrebbe, per alcuni versi, inverarlo definitivamente!), ma la sfida risiede altrove, nel Business Process Modelling (a titolo esemplificativo, con la redazione semi automatica del contratto o dell’offerta), nella pretesa di normalizzare i processi (e le persone), non solo i prodotti.

La semi-automazione dei processi è, in effetti, non solo improntata alla riduzione della intensità del lavoro umano (per liberarlo dal tedio, come si dice dagli Anni Cinquanta del secolo scorso: un espediente narrativo stanco che la sociologia ha da tempo disvelato), ma pure alla sua uniformità.

Si deve, pertanto, riconoscere che la digitalizzazione, nella sua forma compiuta, preveda, anzitutto, la riscrittura del quadro giuridico, regolamentare e contrattuale secondo criteri non più solo interpretabili dalla macchina (che mostra capacità emergenti di comprensione inaspettate), ma, anche, preferibili da essa.

Gli algoritmi, però, avendo la capacità di riconfigurazione delle regole, acquisiranno sempre maggiormente anche l’abilità di fornire soluzioni per i processi e per i prodotti governati da questi vincoli regolamentari, tendenzialmente conformi a essi, agendo direttamente nei processi e negli strumenti, per le quali l’intervento umano, ovvero la riserva di umanità, dovrebbe intervenire per rettificare esiti banali e/o discutibili: a condizione di detenere una autorità in grado di confutare i saperi accumulati della macchina.

Potrebbe essere, quindi, che il rafforzamento delle pratiche consolidate, di per sé non trascurabile, a molti appaia preferibile in luogo di un ecosistema nel quale le decisioni possano diventare gradualmente etero-dirette, semi autonome, autoreferenziali: governate da chi?

 

Angelo Luigi Camillo Ciribini è Professore ordinario di Produzione edilizia all’Università di Brescia

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