L'AUDIZIONE DI NICOLA ARMAROLI

Siti, soldi, tempo, tecnologie: tutte le FALLE del nucleare in Italia per il Cnr

Rispettare quanto previsto dal ddl appena presentato dal Mase, che richiama quanto previsto dal Pniec con una produzione ottimale tra l’11 e il 22% della richiesta di energia elettrica (tra gli 8 e i 16 GW di capacità nucleare installata), significherebbe dover installare 120 Small Nuclear Reactors (Smr) sul nostro territorio. Dove però si ripresenterebbe anche il problema dell’accettazione da parte delle amministrazioni locali e la comunità civile, un po’ come per rigassificatori e pale eoliche.

04 Feb 2025 di Mauro Giansante

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“Le tecnologie su cui l’Italia punta oggi, i piccoli reattori e a fusione, non esistono”. “L’Italia non possiede né il combustibile né le tecnologie nucleari”. E ancora: “Il primo problema [dell’Italia] è la localizzazione, poi abbiamo un altro problema critico che è la scarsa attrattività agli investimenti, ma soprattutto manca la risorsa chiave: il tempo”. Il quadro tracciato da Nicola Armaroli, direttore di ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche, sul nucleare in Italia non sembra lasciare scampo. “Non è in corso e non c’è mai stato un Rinascimento Nucleare”, ha detto senza mezzi termini ieri in audizione alla Camera.

Tecnologie, soldi, tempistiche, siti: in Italia le prospettive sul nucleare, a detta di Armaroli, non sono così limpide come invece vuole far sembrare il governo. Che a gennaio ha presentato il ddl sul nucleare sostenibile definendo un primo quadro legislativo sul tema, rilanciando quanto previsto nel Pniec inviato a Bruxelles a luglio scorso: una quota ottimale di produzione da fonte nucleare che copre tra l’11% e il 22% della richiesta di energia elettrica (ovvero tra gli 8 e i 16 GW di capacità nucleare installata).

Localizzazione, risorse, tempo: tutte le mancanze

Sulla localizzazione, “il 95% del territorio nazionale è a rischio idrogeologico e questo è un problema per la localizzazione di siti nucleare di qualsiasi tipo perché oltre a questo rischio abbiamo quello sismico, quello paesaggistico e anche la questione dell’acqua perché i reattori tipicamente sono raffreddati ad acqua. Poi abbiamo un altro problema critico che è la scarsa attrattività agli investimenti, ma soprattutto manca la risorsa chiave: nel 2040 l’Italia deve aver finito la decarbonizzazione del sistema elettrico e non apprestarsi o cominciare a farne un grande pezzo. Scarseggiano quindi siti, soldi, tempo e le tecnologie indicate dal governo non ci sono”.

Per rispettare le stime tracciate dal Piano clima, servirebbe installare 120 piccoli reattori modulari (assumendo come valori intermedi una potenza da installare pari a 12 GW e capacità degli Smr da 100 MWe). “Chiedo a voi che conoscete il territorio se sia proponibile in Italia un’operazione con 120 reattori sparsi per l’Italia”, ha chiesto dubbioso Armaroli. Che ha poi illustrato stralci di articoli di giornale che già a dicembre evidenziavano anche sul nucleare il tema Nimby (Not in my backyard, non nel mio giardino) tanto corrente per altre opere energetiche quali rigassificatori e pale eoliche. Due mesi fa, infatti, in Veneto il consiglio regionale ha espresso parere negativo sul nucleare in laguna, con il presidente Luca Zaia (leghista) che si era dichiarato “contrario a ogni
impianto del genere in un contesto già provato da un secolo di industria chimica degli idrocarburi”.

Le criticità economiche: incognita costi. Impossibile ipotizzare effetti in bolletta

Anche a livello economico i dubbi non sono pochi. Nella sua relazione, Armaroli ha ricordato che mancando la tecnologia è attualmente impossibile fare valutazioni di costo. E poi, anche sull’uso del calore in contesti industriali “combinare il rischio nucleare con il rischio chimico è un rompicapo. Manca totalmente un quadro regolatorio nazionale e internazionale”. Quanto alla compatibilità del nucleare con le rinnovabili, ha spiegato il direttore del Cnr, “con più di 200 GW di rinnovabili, nel 2040 avremo eccessi di produzione a basso costo per 7-8 mesi l’anno. Sono due le opzioni:
tenere spenti i reattori nucleari per mesi, il che sarebbe economicamente insostenibile, oppure spegnere continuamente le rinnovabili. Ma così si alzano i costi dell’energia”. Insomma, “occorre chiarezza: stiamo operando una scommessa/promessa. Tra 15-20 anni avremo bollette più basse, con tecnologie che oggi non esistono, non sappiamo se e quali saranno, né quanto costeranno. Intanto, crescono tecnologie di decarbonizzazione consolidate, di altro tipo”. Le rinnovabili, appunto.

Intervenendo in audizione, anche il Sottosegretario del Mase Claudio Barbaro ha ammesso che “non è possibile stimare i costi dell’avvio della produzione di energia nucleare”, così come “non c’è evidenza che lo sviluppo del nucleare possa rallentare la crescita delle rinnovabili”. Tuttalpiù, “il nucleare può supportare le rinnovabili grazie alle basse emissioni di CO2 e la possibilità di produrre energia programmabile. In alternativa, bisognerebbe virare sulla ccs (cattura e stoccaggio di carbonio)”.

Nicola Rossi, responsabile innovazione di Enel, ha quindi confermato che “come strategia vediamo nel breve termine la necessità di accelerare e continuare a investire sulle fonti rinnovabili anche attraverso un percorso che renda i processi autorizzativi più veloci e più semplici tuttavia in un orizzonte di medio-lungo periodo vediamo la necessità di capacità baseload che sia in grado di consentire al sistema elettrico italiano adeguatezza e flessibilità, oggi questo ruolo è svolto dalle centrali a gas il nucleare potrà rappresentare un adeguato sostituto evitando però le emissioni carboniche”. Ma per gli Smr dovremo aspettare almeno “i primi anni Trenta”. Mentre per gli Advanced modular reactors – “in cui si cambierà il fluido vettore da acqua a metallo tecnologicamente più indietro” – l’orizzonte sono gli anni Quaranta. Secondo Lorenzo Mottura di Edison, però, “il contributo che si può dare in termini di Pil” da un ritorno del nucleare in Italia “è pari a 50 mld di valore aggiunto dal 2035 al 2040 e 120 mila posti di lavoro tra indotto e diretti che possono essere abilitati”.

Quadro fosco anche a livello europeo e globale

I numeri sul nucleare, ad oggi, non convincono neppure se spostiamo lo sguardo a livello internazionale. “La produzione mondiale elettrica è stata coperta dal nucleare nel 1996 per il 17,2% il massimo raggiunto e nel 2024 siamo a poco più della metà, 9,2%”, ha ricordato Nicola Armaroli. L’uranio che è la fonte primaria per alimentare i reattori nucleari, il 43% della produzione è concentrato in un unico paese che è il Kazakistan, non c’è nessuna fonte di energia così concentrata al mondo. L’uranio dal 2021 al 2025 è cresciuto sul mercato del 137%. C’è un dominio russo e cinese totale quasi assoluto sulla tecnologia come ci ricorda l’Agenzia internazionale per l’energia e proprio per questo motivo non è stata mai inflitta alcuna sanzione al colosso Rosatom russo che è il grande dominatore della filiera nucleare mondiale.

 

 

In Europa, invece, “il campione è la Francia che copre il 65% del fabbisogno col nucleare ma ha una flotta di reattori molto vecchia che si avvicina ai 40 anni di età media, 57 reattori tutti in funzione ma zero attualmente in costruzione. È una tecnologia di baseload che per il 65% fa si che la Francia abbia una esigenza vitale di esportare elettricità. Questo lo dico perché c’è il grande equivoco che sembra che l’Italia e la Germania abbiano bisogno di importare energia dalla Francia, invece è il contrario. Perché le centrali nucleari non si possono accendere o spegnere su base giornaliera. Quindi la Francia di notte esporta a basso prezzo per una propria esigenza fisica e strutturale”. E poi, “anche in Francia la quota di nucleare tende a diminuire”. Mentre se guardiamo al Regno Unito “l’anno scorso le rinnovabili hanno superato la produzione elettrica fossile, stessa cosa è accaduta in Germania”.

 

 

A livello globale, invece, “del nucleare in Cina si parla spesso, ha una flotta molto più giovane, in media 11 anni ma copre appena meno del 5%, 59 reattori in funzione, 29 in costruzione. La Cina in 32 anni ha installato 57GW di nucleare, solo nel 2024 ha installato 357 GW di fotovoltaico più eolico. Quindi nel 2024 per ogni elettrone nucleare nuovo immesso in rete ne sono stati immessi 60 di fotovoltaico più eolico. Quindi sia chiaro non c’è un boom nucleare neppure in Cina”. La ricerca del settore, intanto, continua.

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