NUOVE TENDENZE: VERSO LA STRETTA DI FINANZA PUBBLICA
Caro materiali: FINITI a marzo i 260 milioni 2024, mancano 1,5 miliardi. Ora si fermano i cantieri
Nel 2022 erano stati richiesti 1.207 milioni e nel 2023 1.915
18 giugno

La pagina dello studio Ance sui fondi per il Caro materiali relativa agli anni 2022 e 2023 - 10 giugno 2024
IN SINTESI
È bastata la prima finestra, quella che fa fronte ai fabbisogni del primo trimestre, per confermare che i fondi destinati a coprire nel 2024 gli extracosti generati dal caro materiali negli appalti sono del tutto insufficienti. Per l’intero anno c’erano a disposizione 260 milioni, le richieste della prima finestra sono arrivate a 288 milioni, sforando già le disponibilità.
Una stima dell’Associazione nazionale dei costruttori (Ance) dice che per l’intero anno serviranno 1.800 milioni, con uno scoperto che si può quindi quantificare in 1.540 milioni. Anche se si potessero usare – e allo stato non si può – i 160 milioni stanziati per il biennio 2025-2026, le risorse mancanti si avvicinerebbero a 1,4 miliardi.
Con questi numeri e senza interventi integrativi, molti cantieri sono destinati a rallentare e una certa quota a fermarsi. Una volta raschiato il fondo dei risparmi di gara, di una quota del 50% delle riserve e delle altre poste marginali che la legge consente di utilizzare per coprire i costi aggiuntivi, le amministrazioni smetteranno di pagare i saldi di avanzamento lavori (Sal) e i lavori dovranno essere riprogrammati. Stiamo parlando di cantieri – prevalentemente non Pnrr, ma anche Pnrr – avviati prima dell’entrata in vigore del codice 36 che hanno già parecchi mesi o addirittura anni di durata: sarà quindi molto difficile che possano ancora contare su queste poste disponibili all’inizio dell’appalto e dovranno chiedere i fondi al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Mit) che amministra questi fondi.
L’allarme già nel corso del 2023
L’allarme dell’Ance era scattato ben prima dell’approvazione della legge di bilancio. La situazione che si era venuta a creare non poteva lasciare dubbi sull’insufficienza dei fondi per il 2024, visto che per il 2022 erano stati necessari 1.207 milioni e per il 2023 1.915 milioni (non tutti però sono stati ancora pagati, come vedremo più avanti).
L’argomento, da più parti usato, che ormai l’inflazione è sotto controllo e quindi queste compensazioni si sarebbero ridotte di molto non hanno fondamento perché la curva dei costi non è certo tornata ai livelli pre-Covid. Basta consultare gli indici dell’Istat sui prezzi alla produzione per strade e ferrovie per rendersene conto. Nel 2019 l’indice era a 92,7, nel 2023 a 113,3, quindi 20,6 punti percentuali sopra il livello 2019. Anche la leggera discesa del 2024, che ha portato l’indice a 111,9 nel mese di aprile, lascia il livello dei prezzi 19,2 punti sopra il livello del 2019. Molto dipende, nel calcolo dell’extracosto, dal momento iniziale (la gara o l’affidamento) in cui sono stati calcolati i costi nel quadro economico dell’appalto. Per i cantieri più vecchi, il peso è maggiore.
La dotazione di partenza e la destinazione ad altri scopi
In partenza, il fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche, che finanzia questi interventi, aveva per gli anni 2024-2026 una disponibilità non irrilevante di 2.640 milioni. Già il decreto legge 104 di agosto 2023, però, aveva dirottato 998 milioni al finanziamento delle varianti in corso d’opera del Terzo valico e 1.222 milioni alle compensazioni per gli extracosti del 2023. Nella legge di bilancio il Governo non aveva ritenuto di risolvere la questione.
La preoccupazione delle imprese è però a raggio più largo e oggi nasce dal fatto che questo non è l’unico segnale di “stretta” sulle disponibilità di cassa delle stazioni appaltanti, necessarie per mandare avanti operativamente i cantieri. Un sondaggio svolto ancora dall’Ance su 300 imprese un mese fa aveva evidenziato un accresciuto ritardo nel pagamento dei lavori svolti, proprio mentre il Pnrr dovrebbe suggellare definitivamente il termine di 30 giorni (60 per la sanità e poche altre deroghe) per pagare i lavori. Anche qui, il rinvio alla fine del 2024 del target sul rispetto dei tempi di pagamento previsti dalle direttive Ue, era stato colto come ulteriore segnale di difficoltà tecniche ma anche finanziarie. La circolare n. 25 della Ragioneria del 15 maggio scorso che, dopo lo slittamento del termine, aveva invitato le amministrazioni pubbliche a compiere tutti gli sforzi necessari per adeguarsi alla scadenza europea aveva tranquillizzato ben poco in una partita che va avanti da almeno dieci anni. E infatti il sondaggio Ance non solo denunciava tempi medi di pagamento di 150 giorni, ma sottolineava il ritorno di pratiche dilatorie e “gravemente inique” come quelle di chiedere alle imprese di posticipare prima i Sal e poi le fatture. Il sondaggio evidenziava una situazione gravissima presso i comuni dove il 73% delle imprese segnalava ritardi. La situazione non è migliorata. Diversa la condizione dell’Anas che ha avuto un periodo di forte rallentamento dei pagamenti per 2-3 mesi ma ora ha recuperato parzialmente, saldando diversi arretrati. Comunque una situazione significativa perché le disponibilità di cassa dell’Anas dipendono direttamente dall’attuazione del contratto di programma e dai trasferimenti del Mef.
Il rischio di una finanza pubblica restrittiva sugli investimenti
Tornando alla preoccupazione più generale delle imprese, questa nasce dalla sommatoria di segnali di finanza pubblica che assumono un peso specifico alla vigilia di una stagione che promette di essere più restrittiva sul fronte dei conti pubblici di quanto sia stato dal 2020 a oggi con la sospensione del vecchio patto di stabilità. L’entrata in fase operativa del nuovo patto, nella seconda metà dell’anno, porterà certamente un aggiustamento dei conti con una probabile manovra correttiva e una legge di bilancio meno espansiva. Il Mef ricorda poi con continuità come l’eredità del Superbonus restringa ulteriormente gli spazi. E il timore del settore è che si torni agli anni bui in cui, per far quadrare i conti, tagliare gli investimenti era la soluzione politicamente più facile. Tanto più che oggi ci sono i miliardi del Pnrr da spendere.
I ritardi nei pagamenti
Tornando al caro materiali e al decreto aiuti, lo studio dell’Ance scatta anche una fotografia di quanto successo nel 2022-2023 (si veda la grafica). Questo non solo consente di mettere a fuoco il quadro finanziario dell’operazione, con un totale ripartito di 3.122 milioni, ma anche di osservare come la gran parte delle richieste abbia riguardato i cantieri non-Pnrr. Per il 2022, a fronte di richieste provenienti da cantieri non Pnrr per 1.036,3 milioni di euro, si sono registrate domande per soli 170,5 milioni relativi a opere Pnrr.
Ma soprattutto l’analisi evidenzia come, a fronte della ripartizione delle risorse per un totale di 3.122 milioni il Mit debba ancora pagare 1.960 milioni. Se è preoccupante il dato relativo al secondo semestre 2023, con 1,2 miliardi ancora da pagare pressoché per intero, fuori di ogni possibile comprensione sono i fondi ancora da versare per le opere non prioritarie in relazione all’anno 2022: oltre 200 milioni relativi al primo semestre del 2022 e 560 milioni, per intero, relativi al secondo semestre.