LE INTERVISTE DEL LUNEDì
Paolo Desideri: con 72 progetti Pnrr vi dico che i costi troppo bassi dei PFTE saranno un problema. Il più bello? L’Albergo dei poveri a Napoli

Paolo Desideri

Architetto Desideri, quanto Pnrr c’è nel suo lavoro oggi con ABDR e anche con la sua nuova Desideri associati?
Molto Pnrr. Abbiamo 72 progetti Pnrr in corso sui 77 per cui avevamo partecipato a una gara.

Una cifra incredibile. Di che progetti si tratta?
Una trentina, di piccolo importo fra 5 e 7 milioni, sono appalti delle Asl dell’Emilia-Romagna. Sempre nel settore dell’edilizia ospedaliera abbiamo progetti più importanti, come il consolidamento, la ristrutturazione e il piccolo ampliamento del San Camillo-Forlanini a Roma e un’opera molto più grande, 60 milioni di importo, che è la ristrutturazione e l’ampliamento dell’ospedale Sacco a Milano con l’impresa Sac (Società Appalti Costruzioni) di Emiliano Cerasi, una delle due società con cui lavoriamo molto. L’altra è la Cobar della famiglia Barozzi, ora presieduta da Daniela Stradiotto.
È stata una scelta strategica legarvi a queste imprese?
Ci siamo chiesti, all’inizio di questa stagione di appalti Pnrr, che cosa convenisse fare. C’erano due possibilità: o ci mettevamo a fare i PFTE in proprio oppure collaboravamo con le imprese per fare progetti definitivi ed esecutivi e realizzare le opere. Come è noto, la mia posizione, anche dentro ABDR, è di amore per il destino costruttivo dell’architettura, non di interesse per il suo destino grafico. Questo ci ha creato, nel corso del tempo, rapporti eccellenti con alcune ottime imprese che sanno realizzare i progetti che facciamo e soprattutto sono soddisfatti di farceli fare. Questa è la ragione per cui siamo riusciti a prendere tutti questi appalti, perché nelle gare il ribasso di prezzo pesava solo il 30% e quello che pesava di più erano invece i curriculum delle imprese e dei progettisti.
Facciamo una carrellata dei vostri progetti più importanti, da Nord a Sud?
Partiamo da Torino, dove stiamo facendo due cose molto belle. La più importante è la Biblioteca civica dentro il Salone dell’Auto disegnato da Pierluigi Nervi, lavoro a cui collaborò anche mio padre nel 1959. Quindi ho ritrovato foto bellissime e un pezzo della mia vita e della mia storia. Il PFTE di questo lavoro è fatto da Rafael Moneo. L’altro lavoro è nel padiglione a fianco, non così bello, è un teatro, è sempre stato un teatro cui hanno lavorato nel tempo vari architetti torinesi non troppo noti. La struttura iniziale era degli anni 40, preesistente al Salone dell’Auto. Si tratta di due opere che valgono circa 60 milioni l’una.
Altri progetti al Nord?
Dell’Ospedale Sacco a Milano ho detto. A Venezia abbiamo il padiglione Careri dentro la Biennale e stiamo facendo con Sac la ristrutturazione di un canale di servizio della Biennale, il Rio delle Galeazze. Ho detto anche delle Asl dell’Emilia-Romagna.
Arriviamo a Roma che per voi è da sempre la piazza fondamentale.
A Roma abbiamo anzitutto il PINQUA di Tor Bella Monaca, dove facciamo la ristrutturazione generale delle Corti di Barucci, con un programma molto ambizioso fatto dal Comune che prevede la ristrutturazione di tutti gli appartamenti per fare l’efficientamento energetico, lo sventramento di tutti i piani terra con il posizionamento di un mix di nuovi servizi al posto delle abitazioni e la ristrutturazione generale degli spazi pubblici della Corte centrale.
Quanto vale questo intervento?
Circa 37 milioni.
Sarà un intervento risolutivo per Tor Bella Monaca?
Direi di sì. Superiamo la destinazione funzionale monotematica e riorganizziamo gli spazi pubblici intorno alla nostra proposta di una torre centrale. Poi ci sono le due corti laterali, più piccole, su cui sta lavorando Valle 3.0. Nella Corte Ovest c’è anche un intervento di realizzazione di un piccolo teatro con il progetto preliminare fatto da Orazio Carpenzano.
Altri progetti romani?
Stiamo rifacendo gli ex magazzini dell’Aeronautica, l’edificio qui a Porto Fluviale (lo studio di Abdr è a duecento metri, ndr) dove c’è il murale di Blu. È un’operazione molto coraggiosa perché, dopo 35 anni di occupazione, il comune ha convinto gli abitanti a lasciare l’immobile per consentire la ristrutturazione concordando poi il loro ritorno nell’edificio. È un’azione potente sul piano sociale. Tutti gli abitanti hanno accettato di lasciato con la promessa di tornarci.
La Sovrintendenza era pronta a mettere il vincolo sul murale di Blu.
Sì, voleva mettere un vincolo diretto sull’edificio per preservare il murale, come fosse il Colosseo. Ma Blu è stato molto carino, ha detto che si poteva procedere perché avrebbe rifatto il murale. L’edificio sarà trasformato secondo gli standard normativi dell’edilizia economica e popolare, ne verranno 35 alloggi. Poi stiamo facendo i servizi al Corviale, intervento da 22-25 milioni. Stiamo sventrando e ricostruendo due edifici esistenti: uno è la biblioteca con il centro servizi centrale, l’altro la scuola. E poi stiamo rifacendo lo snodo alla piazzetta che sta all’innesto della trancia H, dove c’è il mercato coperto che non ha mai funzionato e delle scale che ostacolavano l’accesso.
A Roma state completando anche altri progetti importanti non Pnrr.
Un intervento spettacolare è quello della stazione della metro di Ambaradam, dove è stata ritrovata la caserma di Adriano. Abbiamo sezionato tutto lo scavo archeologico, lo abbiamo spostato, abbiamo continuato a scavare fino a 56 metri di profondità per completare la galleria della metropolitana, abbiamo completamente rifatto la funzionalità della stazione, abbiamo riposizionato lo scavo archeologico. Segnalo anche che la settimana scorsa è finalmente ripartito il progetto della nuova sede Istat.
Scendiamo al Sud?
Il blocco più importante è a Napoli. Lì stiamo facendo l’Albergo dei poveri che è in assoluto l’opera più grande che stiamo facendo, un progetto che vale 220 milioni.
Che progetto è?
È un intervento di recupero con parziale ricostruzione di due muri cantonali che sono venuti giù. È un edificio storico immenso, di 90mila metri quadrati, il terzo edificio monumentale più grande d’Europa dopo Versailles e la reggia di Schönbrunn a Vienna, prima della Reggia di Caserta. Noi lavoriamo su 70mila metri quadrati perché nella terza corte ci sono ancora gli sfollati del dopoguerra. Nella parte che stiamo ristrutturando nascerà un polo di servizi gigantesco, dove andranno la Scuola Normale del Sud, alcuni edifici della Federico II, con uno studentato di 150 stanze, la Biblioteca Nazionale di Napoli, il raddoppio del Museo Mann, tutti i servizi culturali del comune di Napoli, cinque caffetterie, quattro ristoranti, tutti gli spazi pubblici interni ristrutturati. La cosa più interessante è che ci fanno ricostruire i due muri crollati con un tufo napoletano che di giorno è completamente opaco e di notte diventa una lampada urbana. All’ultimo piano non abbiamo rimesso gli infissi ed escono fuori gli alberi che hanno tre secoli. All’interno il problema più grande era come ospitare enormi impianti di condizionamento d’aria e la soluzione che ho adottato è di rialzare il pavimento di un metro per ospitare le vie di fuga e poi grandi armadi in cui ospitare gli impianti tecnologici che sputano l’aria. Le soluzioni creative, come dico io, servono per risolvere i problemi, non per crearli. Faccio notare che questo progetto è stato approvato dalla Sovrintendenza senza prescrizioni. A Napoli abbiamo anche la Taverna del ferro a San Giovanni a Teduccio, un intervento da 17-18 milioni. Poi abbiamo altri progetti minori in Puglia.

Che valutazione dà del Pnrr? Quali sono i punti critici, visti da dentro?
In questa stagione che l’amministrazione italiana si è inventata dal niente, io individuo almeno due punti che sono veramente problematici. Il primo punto che considero drammatico è che questi PFTE sono documenti falsi, nel senso che non contengono previsioni progettuali che dovrebbero contenere oppure, se le contengono, sono fatte peggio di come le farebbe uno studente svogliato. Ma la cosa più clamorosa è che contengono sempre stime di costo uguali per tutti, per la progettazione mille euro al metro quadrato, sia che parliamo di un ospedale sia che parliamo dell’Albergo dei poveri. Nella stragrande maggioranza dei casi sono progetti fatti dalle Università cui si sono rivolte le stazioni appaltanti con un incarico diretto in partenariato istituzionale dopo che non sono riuscite ad appaltare la progettazione.
Si direbbe un meccanismo perverso che produce situazioni perverse.
In effetti, quello che è accaduto è che abbiamo preso questi incarichi con cifre che sono ridicole rispetto alle parcelle che avremmo dovuto avere e mi sono sentito in dovere di avvertire che, dovendo realizzare un definitivo da portare alla conferenza di servizi e poi un esecutivo, al momento del computo metrico, i costi sarebbero lievitati di sicuro. Ho anche chiesto: quando lieviteranno i costi dell’opera alzeremo anche quelli della parcella? Le risposte che ho avuto è che avrei dovuto stare tranquillo perché non sarebbe accaduto nulla di tutto questo, considerando costi e tempi contingentati del Pnrr. Invece è puntualmente accaduto. La mia riflessione è: io ho una società con le spalle grosse, ma che cosa accadrà a società e studi meno strutturati?
È un fenomeno generalizzato?
A me è successo praticamente in tutti e 72 gli appalti. Un altro rischio che si può verificare, per fortuna più raramente, è che, essendo partiti da costi molto molto bassi, si arriva a rialzi dei costi che possono andare anche oltre il 50%, soglia oltre la quale si dovrebbe ripetere la gara.
È un’ipotesi incompatibile con i tempi stretti del Pnrr.
Esatto. Un territorio sconosciuto, le amministrazioni si troverebbero nella paradossale situazione in cui hanno un progetto esecutivo e per poterlo utilizzare devono rifare una nuova gara di progettazione.
Qual è il secondo limite che individua?
Il secondo limite di tutta questa operazione è l’impreparazione dell’amministrazione pubblica. Non nei grandi comuni, che comunque ancora mantengono buoni livelli, ma in quelli più piccoli, l’amministrazione è di un livello bassissimo. Penso fin da quando ero piccolo che un buon progetto si fa con una buona impresa. Ma l’amministrazione deve fare la sua parte. Ci sono amministrazioni che non sanno cosa sia un definitivo e cosa sia un esecutivo e pensano che il progetto esecutivo sia una palestra di idee in cui chiedere continue varianti, sposta quello, cambia quell’altro. E c’è una grande incapacità negli atti amministrativi.
Ma concretamente voi a che punto siete con i vostri progetti? State andando avanti?
Con tutti i Pnrr siamo nella stessa fase, cioè stiamo consegnando i progetti esecutivi per la validazione e la verifica. Qui bisognerebbe fare una riflessione sui validatori, ma la facciamo un’altra volta. Mi limito a constatare che abbiamo una grandissima quantità di osservazioni e la stragrande maggioranza sono formali e di nessun valore effettivo. Forse per darsi un ruolo e ripagare la parcella che comunque è il 40% di quella del progettista. Per altro nel momento in cui veramente le amministrazioni impareranno a usare davvero il Bim lungo tutto il processo, la validazione non avrà più alcun senso perché quello che va e non va lo vedremo direttamente dal sistema. Piuttosto mi preme segnalare un terzo rischio che è insito, se vogliamo, all’appalto integrato.
Il rapporto fra progettista e impresa.
Esatto. Qui non parlo del mio caso perché Paolo Desideri ha una certa forza contrattuale ed è in grado di discutere con l’impresa alla pari. Ma in molti altri casi c’è il rischio di ridurre il progettista a ufficio tecnico dell’impresa.
Un rischio che denuncio da trent’anni, soprattutto quando si parla di costi.
Non c’è dubbio che il rischio c’è perché c’è una battaglia giornaliera fra il progettista e i computisti metrici dell’impresa su ogni cosa, i macchinari, le luci, i materiali.
Ha messo insieme tre motivazioni che portano tutte allo stesso risultato: l’aumento dei costi e il rischio che i fondi del Pnrr non bastino. Che succcede in questo caso? Fermiamo i motori?
Non si può. Le soluzioni sono diverse a seconda della forza dell’amministrazione titolare. Qualcuna è riuscito a recuperare altri fondi, magari dagli stessi fondi europei oppure da fondi nazionali collegati, come è stato fatto in molti casi con il decreto di Fitto o con altri provvedimenti che puntavano proprio a coprire la crescita dei costi. In altri casi ancora sono le amministrazioni titolari che usano fondi propri o fanno ricorso a mutui. Nel peggiore dei casi, ma che si verificherà spesso, si fa ricorso agli stralci funzionali, si realizza solo una parte dell’opera.
Come dice uno studio di Legacoop e del consorzio Integra di cui abbiamo parlato su Diario Diac, da questi progetti stralciati o accantonati abbiamo materia per i prossimi anni del dopo-Pnrr.
Sì, certo, materia per i prossimi anni, ma prima bisogna vincere la scommessa di far atterrare tutta questa massa di denaro e chiudere i cantieri entro il 2026. Nel caso dei miei progetti posso dire di dormire sonni tranquilli perché lavoro con imprese solide e strutturate, che stanno nei primi venti posti delle imprese italiane. Ma le piccole e medie imprese che hanno preso questi appalti, come faranno?
Il problema del dopo-2026 si farà sempre più serio proprio per le imprese o gli studi professionali che hanno visto crescite repentine da Pnrr e non sanno cosa li attende dopo. Si torna indietro? È un problema che immagino riguardi anche voi.
Assolutamente. In studio eravamo 40 persone, più o meno, ormai stabili dai tempi storici di Tiburtina e del Palazzo delle Esposizioni di Firenze. Ora siamo 67, l’incremento è superiore al 50% e questo ci ha fatto passare dalla dimensione dello studio professionale per quanto grande a una dimensione di impresa che ci costringe a organizzarci come un’impresa, per esempio ad avere un direttore delle risorse umane, ad avere relazioni con l’esterno, per esempio con il mondo bancario, come un’impresa, che deve investire come un’impresa, fosse anche soltanto cambiare le macchine per 60 persone. A un certo punto, però, una gestione sana deve guardare avanti e cominciare a chiedersi se sia arrivato il momento di tirare il freno. Noi stiamo entrando proprio in quella fase.