Il rapporto CsC

Indietro tutta per gli investimenti: si fermano nel 2024 e calano nel 2025. E il Pil è rivisto al ribasso a +0,8%

La frenata degli investimenti nel biennio, insieme alla crisi dell’industria, mina le prospettive di crescita dell’economia italiana, che viene rivista al ribasso. E’ l’allarme che suona il Centro Studio di Confindustria. Pesa il crollo dell’edilizia residenziale con lo stop agli incentivi e la prevista riduzione delle aliquote per le ristrutturazioni. Nel 2025 si tornerà ai livelli di investimenti in abitazioni del 2021 e del 2022, corrispondente ai valori del 2008.

22 Ott 2024 di Maria Cristina Carlini

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Indietro tutta per gli investimenti: si fermano nel 2024 e calano nel 2025. E il Pil è rivisto al ribasso a +0,8%

Alessandro Fontana, direttore del Centro studi Confindustria

Alessandro Fontana, direttore del Centro studi Confindustria

E’ la stagione del grande freddo per gli investimenti in Italia, che si fermano nel 2024 (+0,5%) e calerranno nel 2025 (-1,3%). Una frenata che, unita agli altri fattori di  forte criticità come la crisi dell’industria, infligge un duro colpo alla crescita dell’economia italiana che modera il passo, rispetto alle previsioni iniziali, sia quest’anno che il prossimo. E’ un quadro con ampie zone d’ombra quello che disegna il Rapporto di previsione, presentato ieri dal Centro Studi di Confindustria, che conferma le difficoltà e la complessità dello scenario macroeconomico, sia a livello internazionale – dove pesano soprattutto le tensioni geopolitiche – sia a livello nazionale: “I nodi della competitività. La crescita dell’Italia fra tensioni globali, tassi e PNRR”, è il titolo del Rapporto illustrato dal predidente. E uno dei dati più eclatanti è relativo all’andamento degli investimenti. Dopo la robusta crescita degli anni scorsi (+21,5% nel 2021, +7,5% nel 2022 e +8,5% nel 2023), nella prima metà di quest’anno gli investimenti hanno frenato a causa dell’azzeramento del contributo in quelli di abitazioni e anche a causa del contributo negativo di quelli in impianti e in macchinari. Ora, la previsione è quella di un’evoluzione negativa della dinamica per la caduta dell’edilizia residenziale che si acuirà nel 2025 quando anche gli altri incentivi edilizi saranno scaduti o torneranno alle aliquote ordinarie ( va detto che ora la manovra cerca di tamponare almeno con la conferma delle detrazioni al 50% per le ristrutturazioni della prima casa, evitando così il taglio al 36%) e nonostante l’impatto positivo del taglio dei tassi di interesse. Il crollo del 15% riporterà nel 2025 gli investimenti in abitazioni su un livello a metà tra quelli del 2021 e del 2022, corrispondente ai valori del 2008.

In un contesto generalizzato di limature delle stime di crescita da parte dei più importanti previsori, anche il rapporto del Csc, diretto da Alessandro Fontana, conferma il rallentamento dell’economia italiana, rivedendo al ribasso (a seguito della revisione dell’Istat) rispettivamento di 1 decimo e 2 decimi di punti all’anno, rispetto a quelle incluse nel rapporto dello scorso aprile: il Pil è previsto crescere del +0,8% quest’anno e del +0,9% nel 2025. Sul 2024, ormai neanche il Governo crede che l’obiettivo dell’1% fissato dal Def sia alla portata mentre più fiduciose sono le stime per il 2025 con +1,2%. Le stime di Csc sono, quindi, sotto di 3 decimi di punto. Si tratta, comunque,  rileva il Centro Studi, di un ritmo di crescita più alto di quello registrato dall’Italia, in media, nei decenni pre pandemia.

Se l’arretramento degli investimenti frenerà la crescita,  la speranza viene riposta, almeno in parte, nel Pnrr: agiranno, infatti, a parziale compensazione le spese connesse all’implementazione del pianio, che rafforzeranno gli investimenti in fabbricati non residenziali e la ripresa degli investimenti in impianti e macchinari già nella seconda parte del 2024, che riguarderà gli investimenti ritardati dall’attesa di Transizione 5.0, misura che presenta difficoltà applicative (la dimostrazione del risparmio energetico, la non chiara definizione delle regole di cumulo con altre misure finanziate da risorse europee e l’esclusione dell’incentivo di una parte del sistema produttivo in  ottemperanza al principio del Do no significant harm). Su tutte le componenti degli investimenti, inoltre, agiranno positivamente sia il taglio dei tassi di interesse che le migliori prospettive economiche. Il Pnrr è  cruciale per la crescita. L’Italia è più avanti degli altri nell’attuazione del Piano ma dobbiamo correre. Ma, avverte il Csc, quest’anno abbiamo speso poco (9,5 miliardi su 44).

Allarme consumi: cresce il reddito disponibile ma viene convogliato sul risparmio

C’è un altro elemento forte di preoccupazione che mette in luce il Rapporto del Csc ed è quello relativo ai consumi. E’ vero che il reddito disponibile è in risalita ma questo non si  trasforma in spinta ai consumi dal momento che viene convogliato sulla ricostituzione dei risparmi. Un campanello d’allarme, quello che risuona da Viale dell’Astronomia e che rieccheggia i timori manifestati dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sulla scarsa spinta alla crescita del pil che può arrivare dai consumi proprio per la maggiore propensione al risparmio dovuta ai timore e alle incertezze del quadro geopolitico. La spesa delle famiglie per beni e servizi è, comunque, tornata sui livelli pre covid grazie all’ottima crescita registrata nel 2023 (1% in media d’anno). Nella prima metà del 2024 è cresciuta ancora anche se in misura molto limitata (in media, +0,2% a trimestre). Sta risalendo lentamente anche la spesa per i beni, diminuita lo scorso anno (-1,3%). Il reddito disponibile dellle famiglie in termini reali ha registrato un lieve calo nel 2023 (-0,2% annuo) ma nella prima metà del 2024 è cresciuto (+2,2% acquisito al 2° trimestre) grazie al protarsi dell’espansione dell’occupazione, al rafforzamento della dinamica salariale ed alla moderata inflazione. L’elevata propensione al risparmio , arrivata molto oltre i valori ‘normali’ (10,2% nel 2° trimestre rispetto a 7,9% nel periodo 2015-2’19) sta frenando i consumi e riflette l’intenzione delle famiglie di ricostituire il risparmio speso negli anni scorsi a causa dell’alta inflazione e l’incerto contesto geopolitico.

Bene l’export grazie alle Pmi più produttive e ai servizi, crisi nera per l’industria

Ma da dove arriva la spinta alla crescita dell’economia italiana? L’export al netto dell’import è il principale traino di crescita quest’anno. Nonostante la debole domanda europea (che rappresenta il 52% dell’export italiano) e in particolare tedesca (principale partner commerciale), l’export italiano continua ad andare meglio della domanda potenziale (media ponderata dell’import totale dei paesi di destinazione). Questo
perché le PMI hanno accresciuto la produttività più delle omologhe tedesche e francesi ed è aumentato il numero delle imprese esportatrici (oltre che la quota di imprese di media e grande dimensione) e l’export medio per impresa in tutte le classi dimensionali. Inoltre, la crescita del Pil dal lato dell’offerta viene dai servizi  (+0,6% nel secondo trimestre dopo un forte aunento anche nel primo di +0,8%) mentre calano tutti gli altri settori. Nel terzo trimestre 2024, l’attività dei servizi è in rallentamento ma dovrebbe rafforzarsi nella parte finale dell’anno e poi nel 2025. Le costruzioni dal lato abitativo stanno risentendo fortemente – si è detto – della riduzione degli incentivi nel 2024 e ne risentiranno in misura ancora maggiore nel 2025 quando verranno meno altre agevolazioni fiscali. Quelle di tipo non abitativo, invece, dovrebbero beneficiare delle risorse del  Pnrr e di impieghi bancari meno onerosi. Nel biennio prevarrà comunque l’effetto del calo delle abitazioni.

C’è poi l’industria, grande malata. La produzione nel 2023 è diminuita nel 2023 del 2,4% e nei primi otto mesi del 2024 di un ulteriore 3,2% rispetto allo stesso periodo del 2023. Nel terzo trimestre rimane negativa con una riduzione dello 0,5% acquisita ad agosto. Pesa in particolare il crollo del settore dell’auto, tornato al livello della produzione di inizio 2013, e, data la sua rilevanza, mette a rischio la crescita italiana sia di breve che di lungo periodo.

E’ allarme anche per il declino demografico: aumenterà la carenza di lavoratori, ampliare il numero di ingressi di lavoratori stranieri

Tra i temi affrontati nel rapporto, quello dell’impatto sul mondo del lavoro del declino della natalità. Il calo  demografico accrescerà la carenza di lavoratori che già oggi è un problema: tra 5 anni la domanda supererà l’offerta di lavoro di ulteriori 1,3 milioni di unità. È cruciale
intervenire per coprire questo fabbisogno, afferma il Csc. E’ difficile pensare di compensarlo con il solo aumento del tasso di occupazione, che dovrebbe salire di 3,7 punti percentuali. Assumendo un aumento del tasso di occupazione di due punti (obiettivo più verosimile sull’arco di un quinquennio) mancherebbero ancora 610 mila unità che dovrebbero essere reperite con un ampliamento degli ingressi di lavoratori stranieri di circa 120 mila unità in più all’anno, se si vuole evitare che la disponibilità di lavoratori limiti la crescita dell’attività economica.

Gli altri fattori che frenano la competitività: dal caro alloggi ai prezzi dell’energia

C’è poi la questione dei costi degli alloggi troppo elevati  che frenano la mobilità dei lavoratori ed esasperano le carenze di personale a livello territoriale. Un problema particolarmente evidente in province come Milano, Como, Venezia, Bologna, Firenze e Roma, oltre che in generale nel Nord Ovest e nel Centro Italia. Misure di sostegno per i canoni di locazione e un piano composito, volto a favorire la costruzione o riqualificazione di immobili a prezzi calmierati, potrebbero aiutare a ridurre questi squilibri e accrescere la mobilità dei lavoratori. Su questo il presidente degli industriali, Emanuele Orsini, ha chiesto interventi già nella legge di bilancio 2025. Un freno alla competitività è rappresentanto anche dai prezzi del gas e dell’elettricità che sono ancora più alti in Italia, sia rispetto agli altri grandi Paesi europei come Francia e Germania, sia rispetto agli Stati Uniti”. Inoltre, con il sistema ETS sempre più stringente e il CBAM operativo, che imporrà una tassa sul carbonio alle importazioni di un gruppo di prodotti ad alta intensità di emissioni, le imprese europee continuano a perdere competitività. E anzi, crescono i rischi che alcune di queste – che rappresentano il 9% del valore aggiunto manifatturiero in Italia come in UE – chiudano o vengano trasferite fuori dall’UE.

“Il quadro delineato dal Csc ci rappresenta una grande complessità globale da cui emerge una perdita di competitività  della Ue rispetto a Usa e Cina”, ha commentato la vicepresidente di Confindustria Lucia Aleotti. Tuttavia, in questa situazione di difficoltà, l’Italia sta tenendo botta, il Pil non galoppa ma cresce e l’agenzia di rating Fitch ha riconosciuto una crescita del 5,5% rispetto alla situazione prepandemica su una media Ue del 3,9%”, ha detto. Per il capoeconomista di Cdp, Andrea Montanino, “se riuscirà a portare in fase esecutiva più progetti finanziati dal Pnrr nel 2025 la crescita potrebbe essere anche superiore alle stime del Csc e arrivare all’1% fisso, strutturale che ci metterebbe in sicurezza”.

 

 

 

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