PRIMO ESAME DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Appalti, oggi il correttivo in Cdm. Tensione sui contratti analoghi, linee guida allegate non bastano a evitare il caos

Matteo Salvini porta oggi in Cdm il decreto correttivo del codice appalti. L’obiettivo è chiudere entro fine anno. Il ministro ha accelerato per evitare i paletti della risoluzione parlamentare. Fra le questioni insidiose equo compenso e articolo 11 sui contratti prevalenti e analoghi.

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21 Ott 2024 di Giorgio Santilli

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Appalti, oggi il correttivo in Cdm. Tensione sui contratti analoghi, linee guida allegate non bastano a evitare il caos

Oggi è il giorno del correttivo al codice degli appalti. C’è stata una brusca accelerazione di Matteo Salvini, come aveva anticipato Diario Diac il 15 ottobre scorso scrivendo anche le prime certezze del decreto (leggete qui l’articolo). Accelera, addirittura più di quanto si pensasse, il ministro delle Infrastrutture che porta il testo concordato con Palazzo Chigi al Consiglio dei ministri di oggi prima che venga discussa la risoluzione parlamentare unificata cui stavano lavorando i rappresentanti della maggioranza in commissione Ambiente della Camera. Un blitz proprio per evitare i paletti e i condizionamenti che Forza Italia e Fratelli d’Italia volevano appostare in un testo unificato delle risoluzioni presentate e discusse finora.

Salvini è rimasto fedele alla sua impostazione originaria “minimalista”: il codice sta funzionando e non ha bisogno di essere corretto o riformato ma soltanto “aggiustato” o integrato in specifici punti. La linea del Mit resta di modificare il meno possibile i 229 articoli del codice per agire invece più pesantemente sugli allegati, con correzioni e integrazioni ai vecchi e inserimento di nuovi. Da qui discendono una raffica di no che il ministero ha distribuito alle richieste di modifica dell’articolato arrivate dagli stakeholder: no alla modifica delle soglie per le procedure negoziate, no a modifiche sull’illecito professionale (nonostante il garantismo proclamato dal ministro), no a un regolamento generale né a regolamenti separati per lavori, servizi e forniture, no ai contratti di progettazione a due fasi. E così via.

Un metodo “minimalista” che tuttavia rischia di creare attriti, incomprensioni, risultati molto parziali, mancata soluzioen ai problemi. L’esempio più significativo, su cui si sta scatenando una fortissima tensione sotterranea proprio in queste ore, è quello dell’articolo 11 sull’obbligo, per l’appaltatore, di usare il  contratto prevalente e più rappresentativo, fin dall’offerta di gara, salva la possibilità, prevista dal comma 3, di “indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo da essi applicato, purché garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente”.

Il segretario confederale della Cisl, Andrea Cuccello, ci va giù duro e parla di un’operazione fraudolenta condotta da “una manina che ha aggiunto all’articolo 11 il comma 3 originariamente non previsto”. Ci aspettiamo – aggiunge Cuccello – “che il comma 3 venga soppresso”. Auspici del tutto simili arrivano dalle associazioni maggiormente rappresentative delle imprese edili e soprattutto dalle stazioni appaltanti che in questi quindici mesi sono impazzite a capire se presunti contratti analoghi dovessero essere ammessi o meno e come valutare l’equivalenza. Basti pensare che il maggior numero di sollecitazioni ricevute dal Mit nel sondaggio sulla revisione del codice con gli stakeholder riguardano proprio i contratti analoghi. Basta fare un giro di telefonate per capire che la preoccupazione è alle stelle.

Salvini non ci pensa proprio a sopprimere il comma 3, forse in nome di un liberismo economico che consenta di applicare contratti diversi da quelli firmati dai sindacati confederali con le più importanti associazioni imprenditoriali, ma rischia di infilarsi in un tunnel. Come si fa ad avere un istituto contrattuale analogo a quello delle casse edili nel campo dell’edilizia? O si aderisce alle casse edili o si è fuori da qualunque analogia. Ragionano così rappresentanti sindacali e imprenditoriali del mondo stretturato dell’edilizia e il sospetto che si voglia favorire chi strutturato non è – come è stato nel caso del Superbonus – è molto forte.

La soluzione di Salvini è, invece, proprio quella di costruire un allegato ad hoc contenente le linee guida, quasi un manuale, dell’Anac per individuare o addirittura identificare i contratti che si possono considerare “analoghi” o i criteri per individuarli. Operazione che crea un fortissimo scetticismo fra le stazioni appaltanti chiamate a prendere la decisione se ammettere o meno l’offerta di un’impresa che abbia detto di voler fare ricorso a un contratto analogo. Nel settore delle forniture, dove – a differenza dell’edilizia – in uno stesso settore convivono contratti anche molto differenti, il contratto analogo potrebbe avere più senso ma risulta più difficile da controllare o da riportare ad analogia proprio perché in certi ambiti il quadro contrattuale è fortemente frammentato.

Ci sono risposte che però il decreto non potrà eludere e per cui sarà necessario leggere il testo prima di fare valutazioni: l’equo compenso è il primo nodo da sciogliere fra tutti, poi la revisione prezzi, la concorrenza (pur senza modificare le soglie), tutto il capitolo sull’esecuzione del contratto. Probabile risposta affermativa anche a chi chiede un rinvio dell’estensione del Bim alle opere sopra un milione di euro o, in alternativa, un ridimensionamento della platea attraverso l’innalzamento della soglia a 2-3 milioni. In questo caso il ministero appare meno conservativo anche perché ha l’esigenza di nascondere il clamoroso ritardo delle proprie strutture sul versante della digitalizzazione e della “bimmizzazione” delle procedure.

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