LA BOZZA DEL DDL SALVINI: L'ITER PER L'ESERCIZIO DELLA DELEGA
9 concerti ministeriali, Consulta, Cassazione, CdS, Regioni, comuni, princìpi urbanistici, beni culturali e fisco: così non si farà mai il TU edilizia
L’articolo 1 sul procedimento per l’esercizio della delega di riforma del Dpr 380/2001 definisce una mission impossible. Dovrebbe arrivare nei diciotto mesi successivi all’approvazione parlamentare che già in partenza non si presenta affatto semplice, con il disegno di legge governativo contrapposto alle proposte di maggioranza e opposizioni (e un rapporto non proprio idilliaco fra ministro e Camere). Inoltre, nella proposta di Salvini non c’è (e non avrebbe potuto esserci) alcun riferimento alla legge sulla rigenerazione urbana in discussione al Senato, che pure interferirà pesantemente su molte materie comuni. In una maggioranza litigiosa, scossa dal lungo periodo elettorale, provata dai nodi del Pnrr e dalla prossima legge di bilancio, la riforma della legge sull’edilizia rischia di nascere già morta prima di cominciare l’iter in Parlamento.
Ci sarà tempo, molto tempo, per esaminare e discutere i principi e i criteri di delega contenuti nel disegno di legge che il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, sta predisponendo sulla riforma del testo unico dell’edilizia, il Dpr 380/2001. Sarebbe sua intenzione portarlo nelle prossime settimane al Consiglio dei ministri. Ma quello che salta macroscopicamente all’occhio della bozza salviniana è l’articolo 1, norma che dispone l’iter di approvazione dei decreti legislativi di esercizio della delega. Ci stiamo limitando, quindi, a considerare la fase dell’esercizio della delega, che dovrebbe durare diciotto mesi dopo l’approvazione parlamentare e l’entrata in vigore della legge delega. Senza considerare, quindi, la fase non meno complicata dell’esame parlamentare.
Mai visto un iter di esercizio della delega così appesantito. L’articolo 1 è un compito eseguito con puntigliosità, ma esagerando forse le ambizioni del provvedimento e la corsa a ostacoli del percorso per arrivarci. Si prevede, oltre a nove concerti ministeriali e all’inevitabile passaggio alla Conferenza Unificata, il riferimento esplicito all’adeguamento delle norme “ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori “, quindi Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei conti. Quella che è una modalità di esercizio dell’attività legislativa improntata a scrupolo, scritta nera su bianco in questi termini, diventa un vincolo che aggiunge complessità a un’operazione politica e normativa già in partenza non facile.
Ma la mission diventa davvero impossible quando si chiede ai decreti legislativi e al riordino del testo unico di “promuovere, anche attraverso puntuali modifiche della relativa disciplina, l’adeguamento della normativa in materia urbanistica strettamente afferente alla disciplina edilizia”. Dovrà essere contemporaneamente riformata una parte della legge 1150/1942 e della disciplina urbanistica (quella più connessa alla normativa edilizia) per renderla coerente (quindi adeguarla) alle previsioni del nuovo testo unico edilizio. Non solo. L’articolo 1 aggiunge infatti che bisognerà favorire “il coordinamento con la disciplina di tutela dei beni culturali e paesaggistici, fiscale e con quella di settore avente comunque incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia”. Qui non è chiaro come dovrebbe avvenire il coordinamento con la disciplina dei beni culturali e quella fiscale. Si tratta di un ulteriore vincolo nella scrittura del nuovo testo unico, nel rispetto delle normative dei beni culturali e fiscali? O, viceversa, il “coordinamento” dovrebbe consentire un intervento, quanto meno interpretativo, su queste discipline? Delle due l’una: o una serie di vincoli impropri sul testo che si va a scrivere oppure un allargamento a dismisura della delega. Il Quirinale esaminerà di certo con attenzione questo testo anche perché parliamo di discipline in molti casi rafforzate dalla tutela costituzionale (come si è visto proprio con il tentativo leghista, poi abortito, di modificare pesantemente le norme di legge sulle autorizzazioni paesaggistiche).
Nel disegno di legge di Salvini non c’è invece (e non avrebbe potuto esserci) alcun riferimento alla legge sulla rigenerazione urbana in discussione al Senato, che pure interferirà pesantemente su una larga area di materie comuni. Se ne terrà conto durante l’iter parlamentare dell’uno e dell’altro provvedimento? O si produrranno inerzie incrociate, se non adeguatamente governate, come successo nei mesi scorsi proprio sulla legge per la rigenerazione urbana?
In una maggioranza scossa dalle divisioni sulla politica internazionale, dal lungo periodo elettorale, dai nodi del Pnrr e dalla discussione sulla prossima legge di bilancio, la riforma della legge sull’edilizia non sembra partire con il piede giusto. Anche perché il Parlamento, proprio in polemica con il ministro e con questo suo provvedimento che si è fatto attendere un anno e mezzo, ha già avviato l’iter parlamentare su due proposte di origine parlamentare, di maggioranza e di opposizione (Mazzetti di Forza Italia e Santillo di M5S). Si tenga conto che i tempi sembrano scanditi per arrivare con l’approvazione del nuovo testo unico dell’edilizia a fine legislatura. Cosa che richiederebbe obiettivi chiari, percorsi il più possibile semplificati, sforzi di convergenze politiche.
Dei principi e dei criteri di delega ci sarà poi modo di parlare più avanti. Anche perché appare evidente che, senza un aggiustamento immediato all’articolo 1, il disegno di legge, estremamente ambizioso, rischia di nascere già morto.