L'annuncio di Musumeci

Prevenzione sismica, nuovo piano: ecco i PRIMI 250 milioni

Nel convegno organizzato da Fondazione Inarcassa, Cni e Cnappc, in occasione della settima Giornata Nazionale della Prevenzione sismica, Musumeci ha annunciato il nuovo piano che avrà una durata decennale. Il ministro ha anche riferito di lavorare alla creazione di un’unica piattaforma per avere un quadro chiaro e gestire i 6-7 miliardi destinati alla prevenzione. Secondo lo studio presentato, una grande opera di manutenzione richiederebbe 219 miliardi di euro.

17 Dic 2024 di Maria Cristina Carlini

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Parte con una dotazione da 250 milioni di euro il nuovo piano nazionale per la prevenzione sismica. Un piano che è destinato a durare 10 anni con l’obiettivo di replicare questa cifra ogni anno. Ad annunciarlo è stato il ministro per la Protezione Civile e le Politiche del Mare, Nello Musumeci, nel suo intervento alla settima edizione della “Giornata nazionale per la prevenzione sismica”, organizzata da Fondazione Inarcassa, Consiglio Nazionale degli Ingegneri e dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. “La prevenzione strutturale rimane una priorità a qualsiasi livello, dal governo nazionale fino alle amministrazioni locali. Per poter avviare un percorso virtuoso, annunciamo il piano nazionale per la prevenzione sismica”, ha detto Musumeci. “Privilegiamo le zone particolarmente a rischio e naturalmente le infrastrutture pubbliche, perché dobbiamo cominciare dalle scuole, dagli edifici ospedalieri, dalle strutture particolarmente strategiche soprattutto in caso di calamità. E per gli edifici privati chiediamo l’intervento della Ue”, ha sottolineato il ministro.

“Stiamo applicando una norma prevista dalle legge di bilancio 2024: il programma nazionale di prevenzione sismica. E’ l’uovo di Colombo perché finora è mancata una programmazione che individuasse le priorità e il tipo di intervento da effettuare”, ha proseguito Musumeci spiegando che l’obiettivo è quello di creare un’unica piattaforma. Proposta, questa, che sarà sottoposta alla premier Giorgia Meloni. “Risulta dal Dipartimento di Casa Italia che ci sono 6-7  miliardi di euro destinati alla prevenzione ma non riusciamo a capire dove stanno perché non si è mai creata nel passato un’unica piattaforma che potesse consentire un costante monitoraggio delle risorse: quante destinate, quante impegnate e quante realmente spese”.

Lo studio: una grande opera di manutenzione straordinaria richiederebbe 219 miliardi di euro

 Durante il convegno, è stato presentato uno studio sui costi indiretti dei sismi. L’analisi ha preso in esame tre terremoti distruttivi  – Valle del Belice, Friuli Venezia Giulia e Irpinia –  e per ciascuno ha analizzato 4 parametri: effetti sul Pil, sull’occupazione, sulla demografia e sui beni culturali. Quello che emerge è che le ferite aperte dsi sismi vanno ben oltre i danni riscontrabili nell’immediato ma si insinuano nel tessuto economico dei territori penalizzandone la crescita per gli anni a venire. Ad esempio, l’analisi mostra come il Pil dei comuni colpiti dagli eventi sia in calo: Belice -2,8% e Irpinia -12%. Situazione diversa per il Friuli, dove l’effetto di ammodernamento della ricostruzione, il cosidetto “building back better”, consentì il passaggio da un’economia agricola a un’economia industriale con un conseguente aumento del PIL del 20%. Inoltre, il tasso di disoccupazione nel Belice e in Irpinia è arrivato rispettivamente a 25,50% e 27,30%, ben oltre la media italiana oggi stimata al 5,8% (fatta eccezione per il Friuli che si attesta su 4,6%). Pesante l’effetto spolamento: la presenza della popolazione residente è arrivata a toccare nel Belice un -10% e in Irpinia un -8,6%. Infine, sulla perdita dei beni culturali si registrano percentuali altissime, 100% nel Belice e 70% in Irpinia.

E secondo una stima, oggi in Italia sono circa 18 milioni gli immobili a uso residenziale a rischio sismico e che necessiterebbero di interventi immediati: una grande opera di manutenzione che richiederebbe una spesa di 219 miliardi di euro, tenendo conto delle diverse aliquote a seconda del rischio sismico e delle agevolazioni del Sismabonus. Servirebbero, quindi, poco più di 7 miliardi di euro all’anno per 30 anni per mettere in sicurezza il nostro patrimonio immobiliare e per mitigare il rischio degli effetti secondari che un evento sismico potrebbe portare con sé.

“Si intuisce che sarebbe più opportuno mitigare e prevenire, intervenendo almeno sulla quota parte di costruito più ad alto rischio, per criticità nello stato di conservazione e sicurezza statica o per localizzazione nelle zone a più elevata probabilità sismica”, ha affermato il presidente della Fondazione Inarcassa, Andrea De Maio. “Un piano nazionale di prevenzione sismica di carattere ordinamentale può rappresentare un primo importante e innovativo passo, al quale occorre affiancare azioni di lungo periodo, che, necessariamente, devono partire dalla conoscenza dello status del patrimonio immobiliare e prevedere finanziament costanti nel tempo per affrontare, adeguatamente, la sfida della prevenzione in questo Paese”.

Per Massimo Crusi (Cnappc), “in un paese fragile come il nostro ripetutamente colpito da catastrofi naturali, cui si aggiunge il problema di un patrimonio edilizio e infrastrutturale sempre più caratterizzato da obsolescenza, va assolutamente alimentato della prevenzione e della manutenzione. La sicurezza e il benessere dei cittadini devono rappresentare uno dei maggiori obiettivi strategici della politica, ciò può attuarsi solo con il sostegno ad azioni di rigenerazione urbana”.

Intervenire per prevenire è, dunque, il primo passo necessario, considerando che il patrimonio immobilare italiano è estremamente vulnerabile rispetto agli eventi sismici. Dal 1968, anno del terremoto del Belice, il nostro Paese ha stanziato 135 miliardi di euro, di cui 20 andranno spesi da qui al 2047, per far fronte ai danni provocati dagli 8 terremoti distruttivi che hanno colpito la penisola negli ultimi 60 anni.  Secondo i dati presentati, oggi 12 milioni di edifici utilizzati per uso resudenzuale sono stati costruiti prima del 1971, il 57% del totale, e meno del 3% di tutti gli immobili censiti è stato costruito a partire dal 2008, momento in cui le norme tecniche per le costruzioni hanno iniziato a focalizzarsi considerevolmente sulla prevenzione sismica. Se poi si guarda lo stato di salute di questi edifici, complessivamente solo il 32% dell’intero costruito a scopo abitativo si trova in ottime condizioni, percentuale che scende intorno al 20% se si considerano gli immobili costruiti prima del 1960.

“L’ammontare delle spese sostenute dallo Stato dal 1968 ad oggi per gli interventi in emergenza e per la ricostruzione è molto consistente. Da tempo sosteniamo che sarebbe molto più utile intervenire in modo capillare e ben calibrato, a seconda delle caratteristiche e livelli di rischio dei singoli territori del Paese, con opere per la mitigazione del rischio sismico e la messa in sicurezza degli edifici – ha detto Angelo Domenico Perrini, Presidente del CNI -. Qualcosa è stato fatto col sismabonus ordinario e il Supersismabonus. Tuttavia, questi interventi non sono mai ricaduti in un quadro organico o in una sorta di Piano chiaramente definito nei costi, nelle modalità di finanziamento, nelle modalità di intervento nei singoli territori e nei tempi di realizzazione delle opere. Il punto nodale resta la sostanziale carenza di dati di dettaglio sullo stato del patrimonio edilizio e gli eventuali interventi di ristrutturazione realizzati negli anni. Serve dunque un cambio di passo per riuscire a focalizzare bene gli obiettivi e gli strumenti di intervento, tentando di passare dalle ipotesi all’azione”.

“Oggi abbiamo finalmente messo al primo posto come priorità l’efficientamento sismico del nostro patrimonio immobiliare: è fondamentale anche per ridurre il rischio idrogeologico e soprattutto sismico ed è altrettanto indispensabile per la salvaguardia del nostro ambiente. Solo dopo aver messo in sicurezza la struttura, possiamo agire sull’involucro e sugli altri accorgimenti per l’efficienza energetica”,  ha detto Erica Mazzetti, deputata di Forza Italia e responsabile nazionale dipartimento lavori pubblici di FI, intervenuta al convegno.”Abbiamo parlato, da anni, della sacrosanta necessità di prevenzione e dobbiamo agire in tal senso, ma dobbiamo prima iniziare a parlare anche delle attività di monitoraggio, con una mappatura reale dello stato effettivo del nostro patrimonio immobiliare con un vero censimento, come richiamato nell’art. 68 della bozza del testo unico redatto dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Queste – ha sottolineato Mazzetti – sono le condizioni indispensabili per affrontare, con consapevolezza e criterio organico, la riqualificazione del parco immobili, non in modo occasionale o spot, ma con una logica organica così da mettere in sicurezza le parti della struttura che ne hanno bisogno, senza indebolirle, per rendere il fabbricato più sicuro, stabile, confortevole. È anche fondamentale per accedere a forme assicurative più mirate per un calcolo puntuale del premio. Sarà la chiave di volta per l’efficientamento energetico del patrimonio immobiliare”.

“Abbiamo la tecnologia e le professionalità per concretizzare tutto questo – ha ricordato -, con la digitalizzazione e con l’intelligenza artificiale, forti delle conoscenze e della consapevolezza dell’uomo che sta dietro la tecnologia”. “Voglio rammentare quanto fatto dalla maggioranza di Centrodestra, in particolare negli ultimi mesi: la legge-quadro sulla ricostruzione post-calamità basata sulla pianificazione, sulla prevenzione e sul governo del territorio, con strutture e norme semplificate. E sono certa che faremo molto di più”. Secondo Mazzetti, gli incentivi “sono utili”, ma devono essere “premianti e strutturali”, con un “reale fine di efficientamento energetico e sismico proporzionale alle migliorie”, ma devono essere “inversamente proporzionali al reddito”, “con la consapevolezza che è finito il tempo dei bonus edilizi a costo zero per i proprietari immobiliari con capienza economica e fiscale”.”Tutto però deve partire dal concetto che non fare le opere costa molto più che realizzarle e che bisogna rendere partecipe il cittadino con l’aiuto del professionista; ciò deve avvenire in modo semplice e applicabile, con l’imprescindibile concetto del partenariato pubblico-privato. Fondamentale sarà fare sistema da politica, professionisti, cittadini come sto cercando di fare”, ha concluso Mazzetti.

 

 

 

 

 

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