PRONTO IL DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE DEL MIT

Piano aeroporti: urgenti nuove infrastrutture solo a Fiumicino, ottimizzare PRIMA quelle esistenti

Previsti 304 milioni di passeggeri al 2035 dopo il record del 2023 che ha recuperato tutto il gap post-Covid (+2,5% sul 2019). L’obiettivo strategico del Piano è creare e far lavorare in sinergia tredici sistemi aeroportuali integrati, soprattutto per razionalizzare l’uso delle infrastrutture e per creare nuove riserve di capacità capaci di ridurre il deficit nel traffico intercontinentale, oggi calcolato pari al 30%. Oltre agli accorpamenti societari o commerciali, per far funzionare i sistemi integrati, il Governo può agire anche sul tetto massimo per singolo scalo. Restano le difficoltà di potenziare gli hub esistenti senza una compagnia nazionale, il Piano vede con favore l’istituzione di voli diretti per le Americhe e l’Asia da scali “minori”. Connettività, competitività, accessibilità, intermodalità e collaborazione le parole chiave, spinta a edifici e procedure green e digitalizzazione (per le torri di controllo remote del traffico, la nuova aviazione e la riduzione dei tempi per i passeggeri). Necessario ridurre la tassa comunale sui voli (passata da 1-1,5 euro agli attuali 6,5-9 euro) e destinarla agli obiettivi dell’aviazione.

10 Feb 2025 di Giorgio Santilli

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“L’impostazione data al nuovo Piano non promuove la realizzazione ex novo di infrastrutture aeroportuali, a meno di una analisi critica dello sviluppo che mostri gli evidenti benefici ambientali e sociali, puntando, invece, sulla ottimizzazione delle capacità infrastrutturali ed operative”. Si può partire da qui per raccontare il nuovo Piano nazionale degli aeroporti (PNA), documento di programmazione degli scali italiani ormai pronto – come ha detto anche il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini – per la sua pubblicazione. Un documento finora inedito che Diario DIAC è in grado di anticipare.

Il Piano prova a inserire il sistema aeroportuale dentro la più generale corsa alla transizione ambientale ed energetica, spingendo verso procedure certificate green, edifici più efficienti sul piano energetico, impianti che assecondino lo sviluppo di nuovi carburanti, sposando gli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti dei protocolli Icao. Si punta anche sulla digitalizzazione: torri di controllo remote del traffico, sviluppo della nuova aviazione smart, riduzione dei tempi per i passeggeri nei terminal. Ma le parole chiave su cui il Piano scommette fin dall’apertura sono connettività, competitività, accessibilità, intermodalità e soprattutto collaborazione fra scali. Prevista la carota degli incentivi ma minacciato anche il bastone di un intervento ministeriale sul tetto massimo di traffico sui singoli scali per redistribuire i passeggeri all’interno di ciadcuno dei tredici sistemi aeroportuali individuati dal Piano.

Il deficit intercontinentale primo problema italiano

Infrastrutture urgenti e necessarie si individuano al momento soltanto per gli scali intercontinentali e, nello specifico, per lo scalo di Fiumicino che deve dare un contributo fondamentale – ma non esclusivo – per recuperare il deficit più grave che ha oggi il trasporto aereo italiano: il deficit intercontinentale del 30%. Con questo parametro si misura la quota (rispetto al totale di passeggeri da/verso l’Italia da/per Paesi di altri continenti) che non è trasportata con voli diretti, ma facendo scalo in aeroporti non nazionali. Le aree più critiche sono l’Asia e l’America Latina, mentre i collegamenti diretti con il Nord America sono in linea con gli altri Paesi europei.

Se è vero che su questo deficit hanno pesato molto prima la debolezza della compagnia di bandiera e ora l’assenza di una compagnia nazionale – bisognerà vedere in concreto quali saranno gli orientamenti strategici di Lufthansa dopo gli annunci dei giorni scorsi (si veda qui l’articolo di Cristina Carlini) – è altrettanto vero che per affrontare la questione occorre potenziare gli hub presenti nel Paese (Fiumicino in primis che fa il 60% di questo tipo di traffico e poi, molto distanziati, Malpensa e Venezia) ma anche i voli diretti da altri scali nazionali che si prestano a potenziare i flussi turistici internazionale sui loro territori.

La convinzione espressa dal Piano è che l’Italia si trovi comunque, attualmente, nel “baricentro geometrico delle rotte globali” e potrebbe affermare il suo ruolo di “porta di accesso al continente” per i traffici aerei provenienti dal Medio Oriente e dall’Asia, ovvero dalle aree di forte sviluppo del pianeta, oltre che verso l’Africa, contando su una riserva di capacità che proprio il Piano conta di ottimizzare, potrebbero così intercettare i traffici da e per l’Oriente prima degli altri scali dell’Europa Continentale. Un disegno che, oltre alle incognite sul posizionamento strategico di Ita Airways, tutto da verificare nella nuova condizione, dovrà scontare anche l’aggressività dei vettori del Golfo e della compagnia nazionale turca.

I 13 sistemi nazionali e la riserva di capacità

L’obiettivo strategico del Piano è, appunto, recuperare una “riserva di capacità”, da destinare prevalentemente al trasporto intercontinentale, costruendo e facendo funzionare in sinergia i seguenti tredici sistemi aeroportuali che dovrebbero costituire il nuovo assetto razionale del settore:

  • sistema integrato aeroportuale del Nord Ovest (Genova-Torino-Cuneo);
  • sistema integrato aeroportuale Lombardo (Malpensa-Linate-Bergamo–Brescia);
  • sistema integrato aeroportuale del Nord Est (Venezia-Treviso–Trieste–Verona-Bolzano);
  • sistema integrato aeroportuale dell’Emilia-Romagna (Bologna-Parma-Rimini-Forlì);
  • sistema integrato aeroportuale Toscano (Firenze-Pisa);
  • sistema integrato aeroportuale Centrale (Ancona-Pescara-Perugia);
  • sistema integrato aeroportuale Laziale (Fiumicino-Ciampino);
  • sistema integrato aeroportuale Campano (Napoli-Salerno);
  • sistema integrato aeroportuale Pugliese (Bari-Brindisi–Taranto-Foggia);
  • sistema integrato aeroportuale della Calabria (Lamezia-Reggio Calabria-Crotone);
  • sistema integrato aeroportuale della Sicilia Orientale (Catania-Comiso–Pantelleria);
  • sistema integrato aeroportuale della Sicilia Occidentale (Palermo-Trapani–Lampedusa);
  • sistema integrato aeroportuale della Sardegna (Cagliari-Alghero-Olbia).

All’interno di questo schema restano le classificazioni dei singoli scali sia pure con un lessico rinnovato: oltre ai tre “di rilevanza intercontinentale” (e non più “intercontinentali”), ce ne sono quattro “di rilevanza internazionale” (Bergamo, Napoli, Catania e Bologna) e non più “internazionali” e gli altri “di rilevanza nazionale”. Ma l’obiettivo dei sistemi aeroportuali è soprattutto l’efficientamento delle infrastrutture esistenti (anche con un obiettivo ambientale), la riduzione delle sovrapposizioni delle catchment area fra scali diversi per liberare capacità aggiuntiva e, in ultima analisi, potenziare la catchment area specifica dei singoli scali.

Gli accorpamenti spontanei e l’intervento del Governo sul tetto massimo per singolo scalo

Il coordinamento tra gli aeroporti che faranno parte dello stesso sistema integrato aeroportuale potrà avvenire attraverso due vie: operazioni volontarie di tipo imprenditoriale e societario, nel rispetto del quadro normativo e regolamentare vigente e in particolare delle ginee guida per la designazione delle reti aeroportuali italiana ai sensi previste dal decreto Mit 401 del 25 novembre 2016; oppure “come conseguenza della indicazione da parte del Governo del tetto massimo di capacità per singolo aeroporto”, che indurrà una “fisiologica sinergia fra aeroporti vicini”. Bastone, dunque, ma anche carota perché il Piano prevede che possano essere studiate “misure  incentivanti (anche di tipo fiscale)”.

Gli incentivi

Il Piano propone in vari passaggi incentivi che ovviamente rimandano alla valutazione del Mef e che dovrebbero contribuire a due scopi fondamentali: individuare le strategie volte a limitare situazioni di mobility divide attraverso bandi di incentivazione e sviluppo della rete di supporto regionale, identificando obiettivi di accessibilità o “con-accessibilità” minima dei territori; individuare, “anche attraverso un confronto con l’ART”, meccanismi di incentivazione alla costituzione di sistemi integrati aeroportuali come potrebbe essere l’adozione di tariffe di sistema. Questa tariffa permetterebbe, insieme allo sviluppo della rete intermodale,  un soddisfacimento della domanda generata dal territorio di riferimento attraverso una gestione più razionale delle componenti del traffico aereo per ciascuno scalo del sistema integrato. “L’adozione di tariffe di sistema, senza distorsioni di prezzo sull’utenza, ovverosia tariffe non in linea con i costi, sarebbe ancorata alla concreta capacità di assorbimento del traffico da parte del sistema integrato aeroportuale a favore di un’offerta complessiva al territorio più completa e coordinata”. Un argomento tutto da verificare – soprattutto in termini di efficientamento del sistema – che in passato non ha mai trovato il gradimento dell’ART, fortemente ancorata all’attuale sistema tariffario.

Il nodo della tassa comunale sui voli

In questo contesto, il Piano richiama anche l’evoluzione fortemente distorsiva dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco, chiedendo una più ampia valutazione. I passeggeri in partenza dagli aeroporti italiani pagano una tassa che varia, a seconda della città, tra i 6,5 e i 9 euro, direttamente caricata sul costo del biglietto aereo.
Questo importo è stato via via incrementato nel tempo, mentre il gettito sempre più è stato destinato in gran parte a finalità non attinenti al trasporto aereo. “Appare quindi opportuno – suggerisce il Piano – rivedere l’intero quadro normativo per giungere a una progressiva riduzione dell’imposta sugli scali italiani, a partire da quelli più piccoli, conservando le quote riservate al comparto, ovverosia 1,5 e 1 euro destinate, rispettivamente, al Fondo del Trasporto Aereo, rivelatosi fondamentale durante la crisi pandemica, e ai Comuni aeroportuali”. Ridurre l’onere dell’addizionale comunale favorirebbe la competitività del sistema aeroportuale nazionale. “Al tempo stesso, mantenere le quote destinate al Fondo del Trasporto Aereo e ai Comuni aeroportuali significa continuare a garantire stabilità al comparto, tutelando i lavoratori, e risorse congrue alle amministrazioni locali, con un gettito destinato al settore”.

I dati del 2023 superano per la prima volta quelli del 2019

I dati del 2023 vengono posti dal Piano “in sovrapposizione al 2019”, considerato anno di riferimento pre-pandemico. Mentre il dato europeo, pure in ripresa, è ancora al di sotto del traffico 2019 del 5.4% (soprattutto per la Germania che registra ancora un gap del 22%), l’Italia registra invece il superamento dei dati pre-pandemia, con un +2,1% rispetto al 2019. “La ripresa – nota il documento – è stata trainata in particolare dai flussi turistici di cui hanno beneficiato molti aeroporti del Sud e delle isole, in particolare Napoli, Palermo e gli aeroporti della Puglia. Al contempo, anche scali come Bergamo, Torino e Bologna hanno registrato incrementi assoluti e percentuali consistenti.

Le previsioni al 2035

I risultati dello scenario di base indicano una potenzialità di mercato in termini di numero di passeggeri pari a 232 milioni al 2025, 266 milioni al 2030 e 302 milioni al 2035. Rispetto al 2019, si stima una crescita che sarebbe del 56,2% al 2035 con un CAGR al 3,1% al 2025 e poi in decrescita, a causa di un progressivo effetto di saturazione, al 2,8% al 2035. Le previsioni per macroaree confermano gli equilibri storici, con gli aeroporti del Nord a oltre 135 milioni di passeggeri al 2035, gli aeroporti del Centro a 83,4 milioni di passeggeri potenziali, gli aeroporti di Sud e Isole insieme a 83,1 milioni.

L’accessibilità sostenibile

Una scommessa con cui il Piano prova a darsi una credibilità green è quella dell’accessibilità sostenibile agli aeroporti. Lo strumento principale è il potenziamento delle connessioni tra gli aeroporti e le infrastrutture ferroviarie nazionali e regionali (ma qui si deve passare per gli accordi non proprio semplici con Fs e bisognerà capire se il coordinamento miniusteriale sarà in gioco di giocare una partita vera o di soli annunci). per altro il Piano considera insufficienti questi collegamenti sia rispetto alla “dotazione attuale” sia rispetto a quella prevista al 2033. Ma l’obiettivo deve essere perseguito anche con altri mezzi, come per esempio il trasporto locale per cui è fondamentale “sensibilizzare” gli enti territoriali a un collegamento che possa essere consistentemente adeguato, “facendo sì che gli aeroporti entrino nei Piani di sviluppo dei TPL come poli intermodali, anche a servizio delle comunità locali”. Inutile dire che serve un coordinamento con le Regioni, anche per definire flotte di mezzi elettrici e a idrogeno. In estrema sintesi l’obiettivo che si propone il Piano è che al 2030 la quota di mobilità sostenibile sul totale sia del 35% per gli scali di rilevanza intercontinentale, del 25% per gli scali di rilevaznza internazionale, del 15% per gli scali di rilevanza nazionale e che queste quote, per il 2035, si alzino rispettivamente al 50%, al 40% e al 30%. Il piano le definisce “quote ragionevoli”, considerando l’apporto dei mezzi pubblici e l’apporto dei mezzi sostenibili che saranno accresciuti dalle più generali direttive sulla mobilità green. Certo è che la questione dovrà essere approfondita in un nuovo documento tecnico del Mit.

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