BLUE BOOK/2

Mazzoncini (A2A): “Il problema è il PERMITTING, non i soldi”. Ragni (Acea): “Fateci fare le grandi opere. Allungare le concessioni”

Il settore idrico ha bisogno di un Piano Marshall del permitting. È la sollecitazione che arriva dall’ad di A2A Mazzoncini per il quale non c’è un problema di risorse ma di procedure autorizzative. Un punto che vede d’accordo i principali attori del comparto. Per il cfo di Acea Ragni, c’è un problema di frammentazione che non aiuta la crescita strutturale del settore. occorre pensare anche a un allungamento delle concessioni.

19 Mar 2025 di Maria Cristina Carlini

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Mazzoncini (A2A): “Il problema è il PERMITTING, non i soldi”. Ragni (Acea): “Fateci fare le grandi opere. Allungare le concessioni”

Renato Mazzoncini (a2a) e Pierfrancesco Ragni (Acea)

I soldi per gli investimenti non sono un problema. Lo sono, invece, il permitting e la frammentazione della governance del comparto idrico, freno per gli investimenti e, quindi, causa di ritardi e di tempi lunghi nella realizzazione delle infrastrutture. Su questo, sono tutti d’accordo i principali attori della filiera del settore che, all’unisono, lanciano un messaggio forte in occasione della tavola rotonda organizzata per la presentazione del Libro bianco 2025 “Valore Acqua per l’Italia” di The European House Ambrosetti (Teha) e dal Blue Book 2025 realizzato dalla Fondazione Utilitatis e promosso da Utilitalia. Primo a intervenire e lanciare il sasso è Renato Mazzoncini, amministratore delegato di A2A. “Stiamo facendo l’upgrading delle nostre infrastrutture, cioè cambiare i tubi, e questo procede velocemente. Il problema si pone con le nuove infrastrutture quando devono essere autorizzate. Il problema è il permitting”, dice. “Noi stiamo accelerando, abbiamo un piano da 6 miliardi e stiamo accelerando sulle nostre infrastrutture dove non abbiamo un problema di permitting ma quando si va oltre, sui nuovi impianti, emergono le difficoltà”. Se il tema al centro del dibattito verte sulla necessità di un Piano Marshall per le infrastrutture idriche, Mazzoncini pone, dunque, la questione non tanto nella prospettiva delle risorse quanto delle procedure autorizzative. “Serve  – sottolinea – un Piano Marshall sul permitting. Quello che ha consentito di fare un balzo, è stato l’utilizzo di procedure semplificate e accelerate. Oggi i soldi li abbiamo e ci sono tutti. Tutti i soldi che possiamo investire nell’acqua li investiamo. Non sono i soldi il collo di bottiglia ma le opportunità di investimento”.

Coglie l’assist di Mazzoncini il chief financial officer di Acea, Pier Francesco Ragni. “Concordo sul permitting, il problema non sono le risorse finanziarie: investiamo 80-100 euro per abitante, 5 miliardi e mezzo l’anno. Il mercato finanziario ci segue”, sottolinea. “C’è – rimarca- un gap tariffario. Il 70% degli investimenti è finanziato dalle tariffe che sono le più basse d’Europa, avendo come benchmark Francia e Germania. Non possiamo scaricare tutto sulla tariffa, che tuttavia deve crescere”, rileva Ragni che allarga l’orizzonte anche su un piano europeo. Sui fondi europei “serve una regia unica che pianifichi e che faccia piani integrati tra governo, imprese ed enti locali”. Come pure, “serve anche una evoluzione del quadro regolatorio e vanno favorite le aggregazioni industriali”. Perché “la frammentazione non aiuta la crescita strutturale del settore. Servono operatori su scala diversa da quelli che abbiamo e capaci di fare grandi opere”, incalza rilanciando sulla necessità di un allungamento delle concessioni. L’esempio che porta è l’Acquedotto del Peschiera la cui concessione scade nel 2032: “cosa accadrà dopo? L’ammortamento dell’opera va ben oltre quella scadenza”.

Anche il vicepresidente di Utilitalia e presidente di Smart, Paolo Romano, punta l’indice sul permitting.  “Prevediamo gli investimenti, c’è la disponibilità dei mercati ma poi c’è la zeppa del permitting che blocca gli investimenti e non rende certi i tempi”. Certo, “sarebbe troppo pensare a un ministero dell’acqua ma sicuramente si può pensare a un ente che metta insieme le competenze”.

C’è un dato che fotografa questa frammentazione della governance del settore idrico. Lo riporta Alessandro Cecchi, direttore degli Affari regolatori di Iren:  “sono 30 mila sono gli enti attivi sull’acqua”, indica. “E’ un numero impressionante. Serve una sinergizzazione e mettere a fattor comune le competenze”. C’è anche un problema di stanziamento di risorse pubbliche  che “è limitato nonostante la presenza dell’acqua in una missione del Pnrr. Fondi scarsi rispetto ai costi degli eventi estremi provocati dai cambiamenti climatici come la siccità e il dissesto idrogeologico. Sono stati necessari 30 miliardi in 20 anni per affrontare la siccità mentre per dissesto e fenomeni alluvionali in 80 anni hanno richiesto 360 miliardi”.

Ma l’industria dell’acqua, come è emerso dai lavori, è impegnata anche sui fronti della digitalizzazione e dell’innovazione tecnologica. “Il 20% dell’economia dipende dal consumo dell’acqua. E’ un asset strategico dove la tecnologia ha un valore sempre più rilevante”, fa osservare il ceo di Engineering, Maximo Ibarra. Centrale è e sarà il ruolo dell’intelligenza artificiale: “tra 3-4 anni si avrà una gestione sorgente-rubinetto in totale autonomia. Questa non è fantascienza”.

Altro tema portante  è quello del riuso di acqua. Per il cfo di Acea è “l’unico modo per affrontare l’insufficienza idrica per cui per tutelare questa risorsa va inserito nei piani” di gestione e investimento.

 

 

 

 

 

 

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