La chat degli “Amici di Diac” si anima anche a Ferragosto. Tema: le aree interne, il rischio di abbandono, le strategie per rilanciarle

Intervengono tra gli altri Erasmo D’Angelis, Alessandra dal Verme (Demanio), Mauro Grassi (Ewa Foundation), Jacopo Giliberto, Donato Berardi (Ref), Andrea Ferrazzi (Confindustria Pordenone), Marisa Abbondanzieri (Anea), Claudio Di Donato (Cna), Paolo Costa.

17 Ago 2025

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Sulla chat degli “Amici di Diac” si discute animatamente anche a Ferragosto. Di condizioni per lo sviluppo delle aree interne. Lo spunto è un articolo di Erasmo D’Angelis su Greenreport che potete leggere qui. Prende spunto dal Parco della Maiella, “lasciato dallo Stato senza dipendenti a tempo pieno”, che reagisce con un fai-da-te a base di lezioni di cura dell’ambiente, cultura, accoglienza, bellezza.

La prima a rispondere e a innescare la discussione è Alessandra dal Verme, direttore generale dell’Agenzia del Demanio.

Alessandra dal Verme – Caro Erasmo, lo Stato italiano non è così inesistente.
Vi è purtroppo una cultura dell’abbandono delle aree interne che si è radicata negli anni in quanto poco produttive e lontane dai centri urbani che offrono servizi e opportunità al cittadino.
È un fenomeno che si sta cercando di contrastare ma, come sai bene, gli andamenti culturali/demografici non sono di facile capovolgimento e non c’è governo che abbia tenuto su questi profili….

Ciò che conta, come evidenzi tu, è la volontà e l’impegno degli uomini che possono capovolgere queste tendenze nella loro operatività e nei ruoli che rivestono.

Penso che un conto sia denunciare le parche risorse dei piccoli Comuni e un conto sia denigrare l’azione dello Stato in assoluto. Ciò ingenera sfiducia nel cittadino e nella possibilità di un cambiamento culturale.

Per quanto riguarda il Parco Nazionale della Maiella questo è già oggetto di intervento da parte dell’Agenzia del demanio che, coinvolta dai comuni del territorio, ivi incluso il Comune di Abbateggio, lo scorso aprile con una propria fornita delegazione (architetti, direttore, esperti demaniali etc) si è recata nelle aree demaniali del Parco accompagnata dalle istituzioni locali. Il sopralluogo sugli ex siti minerari (demaniali), sull’ormai dismesso stabilimento demaniale della ex SAMA di Scafa, e su tutti i limitrofi siti di interesse ha avuto come esito
l’ avvio di un progetto per la realizzazione di un Parco tematico Minerario che faccia rivivere i siti minerari dismessi scongiurandone l’abbandono e facendone riscoprire l’immenso patrimonio archeo-industriale, geologico custodito all’interno degli stessi e nel contempo, valorizzi le peculiarità storiche, naturalistiche, paesaggistiche, identitarie e monumentali del territorio. Un volano per un turismo di qualità, esperieziale di respiro europeo ( considerato che le miniere fanno parte della
storia di molti paesi europei), consapevole e culturalmente orientato da una buona azione di comunicazione e ricostruzione storica anche con il supporto digitale.

Presente, tra gli altri, anche il sindaco di Scafa, la proposta di valorizzazione è stata quella di creare sin da subito un piano per lo sviluppo di una decina di comuni del Parco delle miniere della Maiella partendo proprio dalla conversione/rifunzionalizzazione degli impianti di Scafa (porta della Majella) patrimonio di archeologia industriale e sito evocativo e di particolare fascino che racconta la storia delle miniere del territorio ed espressione dell’innovazione che lo connotava e a pochissimi passi dalle sorgenti sulfuree che alimentano il fiume Lavino simbolo di vita ed energia.

Il progetto porterebbe a realizzare un Parco naturale e di archeologia industriale come il Parco della Ruhr, ma sicuramente più ricco dal punto di vista naturistico geologico e artistico.

La valorizzazione coinvolgerà anche luoghi identitari presenti sul territorio quali Monasteri, Santuari e Eremi, anch’essi parte della storia e meta di pellegrini provenienti da tutte le parti del mondo (non ultimo l’eremo di Santo Spirito alla Maiella ove partì la storia di Pietro da Morrone eremita,?divenuto poi Papa Celestino V).

La Struttura di Progettazione dell’Agenzia del demanio ingaggiata dalle Istituzioni del territorio proporrà un masterplan dello sviluppo turistico culturale e identitario del Parco ai comuni interessati, sul quale si attiverà la ricerca dei finanziamenti anche europei.

Solo per dire che la bacchetta magica dopo decenni di storia di abbandono non ce l’ha nessuno ma in qualche modo importante è iniziare.

Erasmo D’Angelis – Alessandra, è proprio questo che serve, non sapevo del progetto ed è meraviglioso, come i tanti progetti di rigenerazione che stai proponendo e sostenendo come a Messina e in altre aree. È proprio la scossa che serve, come nell’Italia centrale colpita dai terribili cluster di terrenoti del 2016-17 dove il programma “NextAppennino” del commissario Castelli prova a garantire una ricostruzione “presidio” di territori. È un problema enorme ma come dici tu l’importante è iniziare, avere una visione nuova per ridurre o evitare lo spopolamento o ripopolare aree che non possiamo abbandonare.

Mauro Grassi – Il tema aree interne e’ un problema complesso che va affrontato territorio per territorio. Ha bisogno di grande innovazione, anche tecnologica, e di sostenibilità’ economica. Se penso che sto a Giuncarico, 20 km da Grosseto e da Piombino, e che rirsco a fatica a lavorare per mancanza di segnale…. La ricostruzione delle aree terremotate potrebbe/poteva essere l’occasione per innovare quei territori. Un po’ meno di continuità’ ….😉

Donato Berardi – Le aree interne avrebbero bisogno di una fiscalità di vantaggio. Per le attività produttive, in primis, penalizzate dal divario infrastrutturale e di servizi. E quindi anche per le persone fisiche, per contrastarne lo spopolamento. Inutile dire che anche i trasferimenti ai comuni dal bilancio pubblico andrebbero ripensati, sganciati dalla spesa storica e ribilanciati per tenere conto delle diseconomie di scala e densità nella organizzazione dei servizi. Usare il criterio della spesa storica e della popolazione vuole direi condannare i piccoli comuni a dismettere tutti i presidi. Più senso avrebbe obbligare i comuni maggiori, che beneficiano di trasferimenti proporzionalmente superiori, a organizzare i servizi in una logica di area vasta, a beneficio dei comuni più piccoli (che dovrebbero pure essere obbligati a convergere in unioni).

Jacopo Giliberto – Concordo. Lle aree interne, quelle dei meravigliosi borghi arroccati sulle colline, sono destinate a spopolarsi perché la popolazione invecchia, i giovani si trasferiscono nelle città del fondovalle dove qualsiasi attività è più facile e meno costosa. Pensa solo alla logistica delle merci, dove un calzolaio di paese ha costi – e quindi prezzi – che non possono competere con il supermercatone della scarpa giù nel fondovalle.

Per chi vive nei meravigliosi borghi servono facilitazioni per:

– l’uso dell’auto – invece delle penalizzazioni che chiediamo noi abitanti di comode città servite e riverite
– la fibra e la banda larga, così che i giovani possano mantenere il lavoro anche in luoghi impervi.

Andrea Ferrazzi – Gentilissimi tutti, mi permetto di intervenire su questo tema che mi sta a cuore e sul quale lavoro per Confindustria, che sotto la presidenza Orsini ha conferito una delega specifica per l’economia della montagna.

Il progetto sul Parco minerario della Maiella è un esempio concreto di come le aree interne possano diventare laboratori di innovazione e non soltanto luoghi da preservare nella memoria. È fondamentale evitare che la rigenerazione si limiti a un racconto nostalgico del passato: la vera sfida è costruire una prospettiva di futuro capace di attrarre giovani, competenze e imprese.

Come dimostra la ricerca sull’“economia della conoscenza”, non sono le grandi città a detenere un monopolio dell’innovazione . Territori montani e periferici possono competere se riescono a valorizzare il loro capitale distintivo – ambientale, culturale e sociale – integrandolo con reti tecnologiche, digitale e imprenditorialità diffusa. Questo è particolarmente vero per le aree alpine e appenniniche, dove l’obiettivo deve essere quello di delineare strategie che le trasformino in ecosistemi della conoscenza. I dati mostrano che le regioni intrappolate in traiettorie di declino rischiano non solo lo spopolamento, ma anche un aumento del malcontento politico e sociale. Le retoriche nostalgiche possono apparire rassicuranti, ma finiscono per indebolire la fiducia collettiva e alimentare forme di chiusura. Al contrario, esperienze come la Ruhr o Galway insegnano che la rinascita è generata da ibridazione fra tradizioni locali e nuove competenze, non dal ripiegamento.

Per le aree interne e montane italiane la leva non è solo turistica, ma soprattutto industriale e tecnologica: filiere agroalimentari di qualità, manifattura avanzata, energie rinnovabili, servizi digitali e piattaforme di smart working possono ancorare popolazione e creare opportunità. La fiscalità di vantaggio e il ripensamento dei trasferimenti ai piccoli comuni sono strumenti utili, ma senza un progetto di innovazione rischiano di essere palliativi.

Questi territori non devono chiedere di “contare” come in passato, ma dimostrare di poter contare per il futuro: come presidi di sostenibilità, di resilienza e di nuova imprenditorialità. È da qui che può nascere una “montagna competitiva” capace di collegarsi all’Italia e all’Europa non solo come luogo da difendere, ma come hub di sperimentazione per lo sviluppo contemporaneo.

Donato Berardi – Buonasera Andrea. Fiscalità di vantaggio e trasferimenti sono un elemento strutturale che va cambiato. Va cambiato per riconoscere che le aree interne sono penalizzate, penalizzate dalla demografia, penalizzate nella mancanza di servizi, e al contempo svolgono un ruolo necessario anche al benessere dei centri maggiori (servizi ecosistemici). Sono territori nei quali chi fa attività di impresa incontra ogni giorno costi e rischi più elevati (basti pensare alla difficoltà di trovare personale). Per innovare in queste aree occorre ridurne il rischio E per ridurre il rischio occorre lavorare sugli ultimi incentivi. La fiscalità di vantaggio deve essere un incentivo strutturale. Ma non c’è più tempo. Ogni giorno una attività economica chiude i battenti e non c’è innovazione o idea brillante quando ti ritrovi nel deserto.

Marisa Abbondanzieri – Berardi sa di cosa parla….. le aree interne hanno bisogno di normative più adatte e di finanziamenti per dare risposte effettive su vari temi, viabilità, dissesto, manutenzione del territorio, servizi. I parametri con cui lo stato trasferisce risorse non sono adeguati, il blocco delle assunzioni ormai è una malversazione….. le comunità locali sanno come ottimizzare le risposte!

Mauro Grassi – Certo, fiscalita’ di vantaggio. Ma io penso di più’ a progetti tecnologici avanzati. Per Sanita’ scuola e altri servizi. E per questo e’ centrale la connessione di qualità.

Donato Berardi – Certo Mauro. La connessione di qualità è un pre-requisito. La pessima qualità dei servizi digitali è un ulteriore fardello che pesa sui centri minori. Ma è come dire che per lavorare occorre la corrente. Se non c’è connessione non c’è impresa.

Claudio Di Donato – Fiscalità di vantaggio e incentivi sono fondamentali (non sarebbe male riuscire a misurare l’efficacia degli incentivi uscendo dalla logica da ragioniere e delle misure spot a tempo limitato, transizione 5.0 dovrebbe insegnare come non scrivere gli incentivi). Tuttavia la pre-condizione sono le infrastrutture e i servizi ma servirebbe un minimo di programmazione e coordinamento. Solo un esempio: open fiber ha messo centinaia di km di fibra in molte località dove non c’è un solo gestore telefonico che attivi l’offerta commerciale (e open fiber e Tim hanno lo stesso azionista di riferimento).

Paolo Costa – Ma c’è la domanda?

Mauro Grassi – Va fiscalizzata anche la poca domanda. Se no senza connessione quei luoghi scompariranno

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