Le stime del Dfp, Bankitalia e Upb
Il Governo ora si ALLINEA con Bankitalia e dimezza il Pil del 2025 a +0,6%. Troppe incertezze legate ai dazi e alle tensioni internazionali. La scommessa su una ripartenza degli investimenti
Incertezza e prudenza sono le parole d’ordine del nuovo Documento di Finanza pubblica (Dfp), come è stato ribattezzato il vecchio Def. Per questo, il Governo ha dimezzato le stime di crescita d’autunno contenute nel Piano strutturale di bilancio. dall’1,2% allo 0,6%. Il dato è in linea con le ultime proiezioni macroeconomiche diffuse da Bankitalia. Pesano i rischi al ribasso determinati dalle tensioni geopolitiche e commerciali con i nuovi dazi. A sostenere la crescita sono soprattutto i consumi, deboli gli investimenti dai quali però si attende uno slancio, come nel caso delle costruzioni, grazie allo stimolo del Pnrr.
Il Governo vede grigio. E’ il grigio della nebbia fitta dell’incertezza che impedisce la visibilità anche nel breve-medio periodo, per non parlare di quella più lontana. Una nebbia che dissolve ogni slancio di ottimismo e ancora le previsioni alle difficoltà del presente. Ne deriva una crescita dimezzata con la pesante incognita dei dazi, – nel vortice del decisionismo trumpiano che marcia a ritmi di ‘go and stop’ – e in attesa di un maggior impulso (si spera) degli investimenti, considerando che è in questo biennio 2025-2026 che dovrebbe registrarsi la loro massima intensità in vista della deadline della fine del Pnrr. La parola d’ordine, ormai, è solo incertezza e l’incertezza incombe sulle previsioni delle istituzionali e domina anche lo scenario tratteggiato dal nuovo Documento di finanza pubblica (l’ex Def). Il documento è stato approvato dal Consiglio dei ministri il 9 aprile scorso ed è approdato in Parlamento dove, questa settimana, sarà al centro delle audizioni per essere inviato, per tempo a Bruxelles entro il 30 aprile prossimo. Si è detto crescita dimezzata: per il 2025 si prevede un incremento del Pil dello 0,6%. Le tensioni geopolitiche e la guerra commerciale ingaggiata dall’Amministrazione Trump sì è abbattuta sulle ormai vecchie stime di crescita del Piano Strutturale di Bilancio che in autunno indicavano per quest’anno un incremento dell’1,2%. Questa volta, dunque, le previsioni del Governo si allineano con le proiezioni macroeconomiche della Banca d’Italia. Per il 2026 e 2027 la crescita rimane sotto l’asticella dell’1%, con un +0,8% in tutt’e due gli anni. Il Psb ribasso rispetto al Psb che stimava +1,1% e +0,8%. Anche per i prossimi anni le prevsioni collimano con quella di Palazzo Koch, +0.8% nel 2026 e +0,7% nel 2027.
Il nuovo Dfp abbonda di raccomandazioni e richiami alla prudenza, vero e proprio mantra del ministro dell’Econonia, Giancarlo Giorgetti, anche prima di questa nuova tempesta. Sul quadro generale incombono forti “rischi al ribasso”, le prospettive economiche “appaiono più incerte”. Ci sono poi le “sfide complesse” che arrivano dalla necessità di affrontare le nuove urgenze come quelle della sicurezza e dei dazi, appunto. Il governo, assicura il titolare del Mef, “risponderà salvaguardando la disciplina di bilancio” e anche per la difesa comune Ue l’Italia ribadisce la centralità della “sostenibilità” dei conti. A rafforzare l’intento del Governo sul fronte di una sana disciplina nei conti pubblici è il giudizio espresso, venerdì scorso, da S&P che ha alzato il rating dell’Italia a BBB+ da BBB con outlook stabile. Giudizio che “premia la serietà dell’approccio del governo italiano alla politica di bilancio. Nel clima generale di incertezza, prudenza e responsabilità continueranno a essere la nostra linea di azione” Anche il Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, parlando a Trento sabato, ha commentato il giudizio di S&P. «Non sono sorpreso, anzi me lo aspettavo”, ha detto. “Le condizioni dell’economia italiana sono cambiate, è cambiato il modo di condurre i conti pubblici che sono stati gestiti con ragionevolezza e non sono stati trattati come una variabile indipendente, con attenzione coniugare esigenze economia con la necessità di contenere il debito elevato quindi migliorano le condizioni della finanza pubblica».
Il Dpn non incorpora l’impatto dei dazi, che, comunque potrebbe farsi sentire già nel secondo trimestre. In base alle simulazioni contenute nel Dfp, l’effetto delle nuove tariffe potrebbe ridurre il Pil 2025 al +0,3% e uno shock finanziario appesantirebbe anche il debito, portandolo vicino al 140% nel 2027. Anche il Bollettino economico di Bankitalia include solo “una prima e parziale valutazione degli effetti dei dazi” e che “potrebbe risentire in modo particolarmente pronunciato di eventuali misure ritorsive, ulteriori aumenti dell’incertezza e di tensioni prolungate sui mercati finanziari”. C’è, comunque, una nota positiva che coglie Bankitalia. “nonostante la significativa esposizione del nostro sistema produttivo al mercato statunitense”, secondo la Banca d’Italia, riusciranno a mitigare i danni proprio grazie ad alcune loro caratteristiche, come il fatto che esportano prodotti di fascia alta i cui acquirenti non si lasciano scoraggiare dai rincari ed hanno buoni profitti che riescono ad assorbire meglio il colpo.
Il 2025, secondo l’istituto centrale, è partito all’insegna di una crescita moderata. A quantificarla è l’Ufficio Parlamentare di bilancio, che ha validato il quadro tendenziale del Dfp: nella prima frazione dell’anno il Pil sarebbe cresciuto dello 0,25%. Una partenza moderata, asserisce anche l’Upb, ma meno asfittica del secondo semestre del 2024, praticamente stagnante. Anche l’Upb avverte che “l’incertezza che caratterizza le previsioni è straordinariamente elevata” e “i rischi sono nettamente orientati al ribasso”.
Intanto, il 2024 si è chiuso con una crescita dello 0,7%, più bassa rispetto a quella prevista dal Psb. Ha pesato, come si legge nel documento, “la debole dinamica degli investimenti, in particolare degli acquisti di macchinari, attrezzature e – soprattutto – dei mezzi di trasporto, che ha risentito del propagarsi degli effetti esercitati dalla politica monetaria, particolarmente restrittiva fino al mese di giugno. Differentemente, soprattutto nella parte finale dell’anno, l’espansione degli investimenti in costruzioni si è mantenuta solida grazie al comparto non residenziale e ai progetti legati al PNRR, scontando un fisiologico rallentamento dovuto alla flessione nel comparto abitativo”. Per l’anno in corso, rileva il documento, “alla prosecuzione della
discesa dei livelli di attività nel settore residenziale si contrapporrebbe una sostenuta dinamica degli investimenti nel settore non residenziale, anche grazie allo stimolo fornito dai fondi PNRR, previsto intensificarsi in corso d’anno”. Tornando ai fattori che hanno inciso nel 2024, “le esportazioni hanno risentito della debolezza del commercio internazionale, soprattutto in alcuni settori specifici, come i mezzi di trasporto, e in alcune fasce di prodotto tipiche del made in Italy”. E’ invece da consumi delle famiglie che è arrivato il maggiore sostegno alla crescita “grazie alla ripresa dei redditi disponibili”.
Come si chiarisce in premessa, l’oggetto principale del Documento è costituito dalla verifica del rispetto per lo scorso anno degli impegni presi nel
Psb e verifica anche lo stato di attuazione delle riforme e degli investimenti messi in campo soprattutto con il Pnrr. Tra i vari punti, sottolinea il documento, che parla di progressi nell’attuazione del programma di politica economica, “Il Governo si è impegnato nell’elaborazione di strategie per supportare la politica industriale e per creare un ambiente favorevole per l’imprenditoria, che promuova strumenti di aggregazione, di accesso al mercato dei capitali, di semplificazione e supporto agli investimenti per la transizione verde e digitale” ed “è stato accelerato il processo di completamento degli investimenti del PNRR e dei programmi della coesione, avendo cura di amplificarne gli impatti oltre il 2026”. In questo quadro, spicca il flop di Transizione 5.0, il piano di aiuti alle imprese introdotto nel 2024 per sostenere il processo di transizione digitale ed energetica. Il decreto ministeriale del 24 luglio 2024 e le rimodulazioni della legge di bilancio per il 2025 hanno dato avvio alla misura, che prevede crediti di imposta finanziati con 6,3 miliardi del piano REPowerEU e ripartiti nel biennio 2024-202567. Ma, secondo il monitoraggio, sono state prenotate risorse per circa 500 milioni, mentre rimangono circa 5,7 miliardi da concedere entro il secondo trimestre 2026 che ha avuto un tiraggio di soli 500 milioni e rimangono ben 5,7 miliardi da concedere entro il secondo trimestre 2026.
Il Dfp traccia anche un bilancio sull stato d’attuazione del Piano Mattei. Sebbene il Piano non preveda impegni in scadenza nel 2024, il Governo ha
adottato diverse iniziative per la sua implementazione. “A partire dal lancio nel gennaio 2024, si registra un sostanziale allineamento
con le previsioni e lo stato di avanzamento è abbastanza sostenuto. In linea con logica incrementale che sottende alla sua realizzazione, il perimetro di operativitdel Piano Mattei è stato esteso, come annunciato nel gennaio 2025, ad altri cinque Paesi: Angola, Tanzania, Senegal, Ghana, Mauritania. Essi si aggiungono ai nove già coinvolti nella prima fase: Egitto, Tunisia, Marocco e Algeria, per quanto riguarda il Nord-Africa, e Kenya, Etiopia, Mozambico, Congo e Costa d’Avorio, per la regione subsahariana. Nel 2024 sono stati approvati e firmati i primi progetti finanziati dal Fondo
Italiano per il Clima a supporto del Piano Mattei per un valore di 502,7 milioni. Inoltre, è stata ridefinita la governance del Fondo per una migliore gestione dei progetti destinati al continente Africano, con attività in corso per migliorare operatività e gestione dei rischi. Nel 2024 è stato anche istituito il plafond Africa, una garanzia a supporto di Cassa Depositi e Prestiti per il finanziamento di progetti del settore privato, in linea con il Piano Mattei, la cui operatività è stata deliberata da CDP e dal Comitato tecnico del Fondo italiano per il Clima nei primi mesi del 2025.