IL QUADERNO DI UTILITATIS
Acqua, sugli investimenti la spinta del Pnrr dopo l’effetto-Arera. Pniissi, secondo round. Scadono concessioni per 4,4 mld
L’investimento procapite medio nel 2025 toccherà gli 85 euro, almeno per gli ambiti dove ci sono gestioni industriali: il merito è anche del Pnrr ma soprattutto della regolazione di Arera che ha portato a un raddoppio degli investimenti dal 2012 al 2023. La tariffa resta centrale nel finanziamento delle nuove opere e delle manutenzioni straordinarie. Prima dell’estate le Regioni potranno tornare a proporre le loro opere per il Piano nazionale. Il valore delel concessioni in scadenza sale a 11,7 miliardi se si considerano dodici mesi e non sei. “La regolazione va estesa ad agricoltura e industria”.
IN SINTESI
Ora tutti a brindare perché l’effetto-Pnrr ci porta a un livello mai visto di investimenti procapite nel settore idrico: 85 euro, allo stesso livello dei Paesi della serie A europea. Con tre finalità principali: riduzione delle perdite di rete, fognature (abbiamo quattro procedure Ue) e depurazione (dove si attendono tecnologie innovative e nuovi standard Ue). Ma il merito di questo risultato straordinario resta, per la maggior parte, della grande spinta data dall’Arera nei primi undici anni di regolazione, dal 2012 al 2023, quando gli investimenti sono raddoppiati da 33 a 63 euro pro capite. E ancora oggi il merito è della tariffa che finanzia 4 miliardi su 6 di investimenti, come spiega Lorenzo Bardelli, direttore del Servizio Ambiente dell’Autorità: “Non mi ricordo – dice provocatoriamente – di fondi o contributi pubblici quando, nel 2012, c’era da riavviare gli investimenti idrici, né mi ricordo che ci fossero fondi o programmi pubblici quando nel 2017-2018 c’è stata la grande accelerazione per l’introduzione della regolazione della qualità del servizio”.
La posizione resta la stessa ed è largamente condivisa dal settore – tariffa perno centrale del finanziamento degli investimenti – anche ora che il pubblico si riorganizza e fa un salto di programmazione con il Pniissi (Piano nazionale per gli investimenti infrastrutturali e la sicurezza del settore idrico) cui è affidato il compito di alimentare il dopo-Pnrr, sempre che vengano garantiti finanziamenti stabili e certi per almeno un miliardo l’anno. E proprio sul Pniissi, la novità, annunciata da Attilio Toscano, componente della struttura tecnica del Mit, è che prima dell’estate ci sarà una seconda finestra che dovrebbe consentire sia nuove candidature di opere da parte delle Regioni e degli altri proponenti (Autorità di bacino, gestori, commissari) sia un secondo stralcio finanziabile con i 688 miliardi appostati nella legge di bilancio. La previsione è che arrivi una valanga di proposta stavolta, fino a tre volte quello della prima finestra.
Queste ed altre notizie e riflessioni sull’acqua, con l’effetto di fare una panoramica molto aggiornata delle urgenze del settore, sono state ieri al centro della presentazione del Quaderno n. 3 del Blue Book, la pubblicazione di riferimento del settore curata da Utilitatis, la fondazione/centro studi di emanazione Utilitalia che conta su Rosario Mazzola presidente e Francesca Mazzarella direttore. Giornata molto interessante. Proprio Mazzarella ha dato la notizia forse più interessante nel fare una carrellata dei numeri del quaderno: entro sei mesi scadranno concessioni idriche per un valore di 4,4 miliardi, mentre, se si considerano quelle in scadenza entro un anno, questo valore sale a 11,7 miliardi. “Vedremo – dice Mazzarella – se sarà l’occasione per contribuire a un processo di maggior consolidamento del settore”. In altri termini, l’occasione è di vedere il trasferimento di almeno una quota di queste concessioni da piccole realtà a gestori industriali ben strutturati”. Lorenzo Bardelli la prende da un altro lato: “Sarebbe utile – dice – decidere in fretta con quali procedure si assegneranno queste concessioni perché non sarebbe opportuno che si ritardassero questi affidamenti e, conseguentemente, anche investimenti che nei prossimi mesi hanno scadenze stringenti con il Pnrr”.
Già, perché resta nel settore idrico sempre il solito dualismo fra le gestioni industriali e le gestioni residuali che non sono mai entrate nello spazio applicativo della legge Galli: esempio classico sono le gestioni in economia. E il Quaderno del Blue book ci fotografa ancora una volta questo dualismo ricordando che agli 85 euro procapite di investimento, che riguarda un campione di poco più di due terzi delle gestioni idriche (quelle industriali), corrisponde nel 2023 una media di spesa procapite di 29 euro per le gestioni in economia.
Poiché tante cose importanti stanno succedendo e il momento sembra propizio, Barbara Marinali, presidente di Acea e vicepresidente di Utilitalia, proprio nel ricordare che oggi non ci sono più elementi profondamente divisivi nel mondo dei gestori del servizio idrico integrato per gli usi civili, non si è fatta sfuggire l’occasione per dare l’assalto all’ultimo dei tabù, il più grande di tutti: l’assenza di una qualunque forma di regolazione per l’acqua consumata per usi agricoli e usi industriali (che fanno, sia chiaro, rispettivamente il 50% e il 20% dell’acqua consumata contro il 30% degli usi civili). “Non si giustifica più – ha detto – che a questo tavolo non ci siano anche l’agricoltura e l’industria e che i consumatori del settore civile, cioè i cittadini e le famiglie, paghino anche per loro”.
Alessandro Mazzei, direttore generale dell’Autorità idrica toscana, ha chiosato alcuni aspetti interessanti emersi dai numeri del Quaderno. In primis che “la crescita dimensionale degli operatori è correlata alla crescita degli investimenti, considerando che siamo passati da alcune decine di migliaia di gestori a 200”. D’accordo con Marinali sull’estensione della regolazione agli usi agricoli e industriali, Mazzei ha anche notato che comincia a fare effetto la regolazione dell’Arera (cosiddetta M con zero) finalizzata a promuovere investimenti per la sicurezza idrica e il contrasto ai cambiamenti climatici. “Stiamo parlando di cento milioni di investimenti in due anni, ma è un primo segnale molto importante che questi investimenti ci siano”.
E mentre Erica Mazzetti (Forza Italia) ha ricordato il contributo positivo del commissario unico per l’acqua, soprattutto a livello di coordinamento dei vari livelli decisionali e di lotta contro la burocrazia, il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini, ha ricordato tre questioni fondamentali: le gestioni industriali sono decisive per completare l’attuazione della legge Galli e arrivano buoni segnali da Val d’Aosta e Calabria sul superamento di salvaguardie e gestioni in economia; il Pniissi deve essere la continuazione del nuovo impegno pubblico dopo il Pnrr, ma con un finanziamento adeguato e stabile; occorre prestare attenzione alle nuove iniziative europee, a partire dalla direttiva sulla Water Resilience.
Il Quaderno 3 del Blue Book: i dati tecnici degli acquedotti
Una parte interessante e inedita del Quaderno 3 del Blue Book è quella che raccoglie i dati tecnici del sistema di acquedotti, fognature e depurazione. Le 73 gestioni analizzate, che rappresentano il 61% della popolazione, si approvvigionano da 19.011 fonti disseminate su tutto il territorio nazionale, utilizzando 1.893 impianti di potabilizzazione delle acque. Le condotte di adduzione e distribuzione (escluse le derivazioni di utenza) sono lunghe 265.526 km (pari a circa il 65% delle reti acquedottistiche nel panel considerato da Arera). L’86% della lunghezza riguarda la rete principale di distribuzione, il restante 14% le reti di adduzione. Resta ancora altissima la percentuale delle reti di età non nota, pari al 48% della lunghezza complessiva. Delle reti di cui è nota l’età di posa, considerando la lunghezza complessiva, l’8% ha un’età di posa inferiore ai 10 anni, mentre il 68% ha un’età superiore ai 30 anni (oltre 35mila km di rete hanno un’età superiore ai 50 anni). A livello nazionale, il 90% delle reti del campione risulta georeferenziato, un dato sensibilmente più alto rispetto alla media del campione di Arera (circa 80%). Le reti di distribuzione distrettualizzate e telecontrollate sono il 33%, dato inferiore al
valore indicato nell’ultima relazione dell’Autorità (39%).
I dati tecnici di fognature e depurazione
Le fognature gestite dal campione considerato hanno una lunghezza complessiva di reti pari a 140.065 km (il 68% del panel di gestori rappresentato da Arera nell’ultima relazione annuale). Dai dati emerge una prevalenza di fognature di tipo misto (85mila km, il 61% del campione), scarichi domestici e acque meteoriche. Sono 48mila i km di rete dedicati alle sole fognature di scarichi domestici (il 34% del totale), mentre in piccola parte sono presenti anche fognature dedicate esclusivamente alle acque meteoriche (il 5% del totale; acque “bianche”). Per il 66& delle reti fognarie l’età di posa non è nota. Il 13% dei km di cui è nota l’età, sono di recente posa (sotto i 10 anni), mentre il 65% dello sviluppo della rete del campione supera i 30 anni di età. Il tasso di georeferenziazione della rete è mediamente pari al 91%, un valore sensibilmente più alto rispetto a quello indicato nell’ultima relazione dell’Autorità (81,6%).
Gli operatori del campione gestiscono complessivamente 9.356 impianti di depurazione (il 60% del campione Arera). In termini di potenzialità di trattamento, l’83% degli impianti ha una potenzialità inferiore ai 2.000 A.E., il 10% ha potenzialità compresa tra 2.000 e 10.000 A.E., il 6% ha potenzialità tra 10.000 e 100.000 A.E., mentre l’1% è oltre 100.000 A.E. (solo lo 0,1% superiore ai 500.000 A.E.). La maggior parte di questi impianti sono vasche Imhoff (53%), mentre sono circa 2.800 (il 30%) gli impianti con trattamento sino al secondario. Il 10% (n. 978) hanno trattamenti sino al terziario mentre solo 304 (il 3%) hanno trattamento sino al terziario avanzato.
Il volume totale dei reflui depurati è di 3,7 miliardi di metri cubi, di cui destinabili al riutilizzo il 19% (circa 706 milioni di metri cubi). Ma la percentuale di reflui effettivamente destinati al riutilizzo è ancora bassissima in Italia, facendo registrare, nel 2023, soltanto il 6% sul campione analizzato. Si osservano comunque delle differenze significative a livello territoriale, sia per quanto riguarda i reflui destinabili che quelli destinati. Il Nord ovest è la regione che fa registrare la percentuale più elevata di reflui depurati destinabili al riutilizzo (il 42%) e che riutilizza effettivamente il 14% dei reflui trattati. Al Nord est a fronte del 15% dei reflui potenzialmente destinabili al riutilizzo, viene effettivamente destinato solo il 2% sul totale dei reflui depurati. Situazione ancora piuttosto arretrata al Centro e al Sud dove si registrano valori praticamente bassissimi a fronte di una situazione impiantistica ancora da migliorare.