L'ARCHITETTURA VISTA DA LPP / 10
Marcello Guido, non conformista e precursore del decostruttivismo. Una storia dimenticata dell’architettura italiana
Marcello Guido è un progettista atipico per almeno due ragioni. La prima per il suo stile fortemente espressivo. La seconda per il fatto che opera nel sud Italia, a Cosenza e cioè in una realtà lontana dai circuiti ufficiali e, in particolare, dalle due aree dove è più fiorente la produzione di opere di architettura: la Lombardia, con epicentro a Milano, e l’Alto Adige con qualche punta verso il Veneto.
Marcello Guido, come ci racconta Antonietta Iolanda Lima, curatrice di un recente volume a lui dedicato, produce “forme che sembrano cadute lì per caso. Picconano la razionalità e per questo spiazzano: il rimando è alla tecnica del collage in uso tra i dadaisti”. Si pongono quindi in alternativa allo stile dominante in Italia oggi, quello che più volte abbiamo definito High Touch che, invece, persegue gli ideali opposti, del perfettamente finito, del grazioso e finanche dell’armonico. E, difatti, l’opera più nota di Guido è un intervento nel centro storico di Cosenza, in piazzetta A. Toscano, che ha scatenato il putiferio.

Luigi Prestinenza Puglisi
Si trattava di intervenire su un frammento degradato di città antica caratterizzato dalla presenza di resti romani. Guido progetta una copertura in ferro e vetro quasi fatta a scaglie, caratterizzata da una forte carica espressiva. Che valorizza l’antico ma senza cercare di scomparire alla vista, anzi abbastanza appariscente da ridisegnare una piazza segnata, se si potesse parlare in termini musicali, da nuove note e ritmi dissonanti. Il risultato, per alcuni commentatori e, tra questi, il grande storico Bruno Zevi, è esaltante. “Magnifico – gli scrive il 5 dicembre del 1999 – sono entusiasta di questo suo nuovo lavoro”. Per altri è scioccante. Tra questi vi è Vittorio Sgarbi che non esita a parlare di schifezza e di tumore da estirpare.
Intervenendo nella polemica, il critico Cesare De Sessa fa notare i non pochi punti di contatto tra le opere di Guido e le migliori che si realizzano in giro per il mondo. E in particolare una certa matrice decostruttivista. Vi sono infatti fertili somiglianze con i progetti, in quegli anni molto apprezzati, di architetti quali Daniel Libeskind e Coop Himmelb(l)au e forse anche con Zaha Hadid. Il paragone aiuta certo a meglio valutare le opere del progettista calabrese, ma nello stesso tempo contribuisce a creare un equivoco, e cioè che Guido sia un emulo di una corrente architettonica, il decostruttivismo appunto, come talvolta accade in provincia con le mode del continente.
In realtà, se facciamo attenzione alle date, possiamo ricostruire un’altra storia, sicuramente più interessante, anche per i suoi risvolti geografici.
Marcello Guido si laurea con Bruno Zevi nel 1977, un anno in cui ancora di decostruttivismo non si sentiva parlare. La casa di Frank Owen Gehry a Santa Monica è del 1978, le prime opere di Zaha Hadid sono degli anni ottanta, Daniel Libeskind è ancora uno sconosciuto e comunque i suoi primi edifici inclinati sono della fine degli anni settanta. Per la tesi, Guido consulta due protagonisti della cultura sperimentale di quegli anni: il musicista e compositore Franco Evangelisti e lo strutturista Sergio Musmeci. Il progetto pertanto mette insieme tre anime: le dissonanze spaziali di Bruno Zevi, la ricerca musicale più avanzata di Franco Evangelisti e l’idea di una nuova organizzazione della materia e delle forze di Sergio Musmeci.
Niente scopiazzatura del decostruttivismo, che, come dicevamo, non è ancora nato, ma un lavoro su alcuni temi che in quegli anni erano presenti, soprattutto nella scuola romana. Basta ricordare le ricerche di personaggi quali Luigi Pellegrin, Maurizio Sacripanti, Francesco Palpacelli, Giuseppe Perugini, Manfredi Nicoletti e alcuni giovani, tra i quali Amedeo Schiattarella e Franco Pedacchia, che proprio in quegli anni lavoravano sul tema della centralità dello spazio e della scomposizione e ricomposizione delle forme. Soprattutto Franco Pedacchia, un personaggio estremamente rilevante, di cui non è difficile rintracciare l’influenza formale nell’opera di Guido, per esempio nella frammentazione dei volumi in schegge variamente colorate.
Visto in questa luce, Marcello Guido è il testimone non di una moda internazionale, il decostruttivismo, ma di una storia che abbiamo rimosso e dimenticato dell’architettura italiana. Una storia per molti versi perdente. Infatti, a un certo punto, queste ricerche, che avevano visto all’opera alcuni tra i migliori progettisti italiani. affascinati dallo spazio, dall’architettura organica e dall’espressionismo, finiscono per essere messe da parte. A godere di maggiore successo e notorietà è infatti un altro e divergente modo di vedere l’architettura: quello storicista, che punta a forme classicheggiati e armoniche, all’imitazione della storia, alla citazione colta e affettata, quella, per capirci, che Paolo Portoghesi promuove a Venezia nel 1980 con la biennale dal titolo La presenza del passato. Agli sperimentatori come Marcello Guido non resterà che trovare un sponda nel decostruttivismo, di cui appaiono come emuli, invece che, come sarebbe stato più esatto, come precursori e anticipatori.
La beffa peggiore per Marcello Guido è nel 2018 quando, in occasione del centenario della nascita, il MAXXI dedica una mostra a Bruno Zevi visto attraverso la sua collaborazione con 35 architetti italiani, mostra curata da Pippo Ciorra dallo storico francese Jean-Louis Cohen. Tra i 35 manca proprio lui. L’esclusione è eclatante. Anche perché Guido è uno dei pochi architetti contemporanei di cui il critico romano ha parlato esplicitamente e in termini entusiasti nella sua storia dell’architettura. Su insistenza della Fondazione Zevi, Guido, viene poi recuperato e inserito in mostra, anche se non tra i trentacinque. Compromesso questo che, se riconosce quantomeno la presenza di Guido all’interno del percorso zeviano, ci testimonia quanto sia ancora difficile inquadrare criticamente e storicamente il contributo di questo architetto precursore e non conformista, e tuttora nel pieno della sua attività, all’interno della storia dell’architettura italiana.
Il libro su Guido, edito da Gangemi, è molto ben illustrato, riflette il carattere della curatrice, Maria Iolanda Lima, generoso e impetuoso. È pieno di informazioni ed ha una antologia degli scritti sull’architetto.
Antonietta Iolanda Lima, Marcello Guido Architetto, Gangemi Editore International, Roma 2025, euro 40.
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