GREEN CITIES
Pannelli solari sui tetti, la Sovrintendenza vuole a Roma (e non solo) poteri molto ampi e totalmente discrezionali
La recente lettera della Soprintendenza di Roma con le valutazioni e prescrizioni di modifica delle Norme Tecniche di piano regolatore, approvate lo scorso dicembre dall’Assemblea Capitolina, merita attenzione non solo perché si tratta della Capitale ma per come l’ufficio territoriale del Ministero dei Beni Culturali ha deciso di segnare il proprio campo di poteri su un ambito ampissimo di decisioni che riguardano il governo del territorio. Un esempio, tra tanti, riguarda l’installazione di impianti solari sui tetti degli edifici. Qui la richiesta è secca: si deve stralciare quanto approvato dall’organo elettivo della città. Ed è interessante approfondire il tema, perché riguarda una decisione al di fuori del perimetro dei poteri della Soprintendenza.
Cosa prevedeva la modifica dell’articolo 16, comma 3 bis, di cui si chiede la cancellazione? Di chiarire i riferimenti per l’installazione del solare su alcune categorie di tessuti e beni individuati dal Piano Regolatore al di fuori dell’area Unesco oggetto di specifico vincolo. In particolare introducendo un criterio per cui i pannelli “non dovranno essere visibili dagli spazi pubblici esterni e dai punti di vista panoramici” e lasciando alla Sovrintendenza – con la v al posto della p, ossia un ufficio del Comune stesso – la verifica del loro rispetto.
Quello che per la Soprintendenza di Stato non è accettabile è il passaggio da una valutazione completamente discrezionale in mano agli uffici ad una legata a dei criteri. Rispettando i quali si dovrebbe poter procedere. E non è sufficiente la presa di responsabilità, anche penale, sulla veridicità di quanto dichiarato da parte di chi realizza l’intervento. La ragione della richiesta da parte della Soprintendenza di Stato, che sconfina oltre il proprio perimetro di competenza stabilito dalle Leggi, è di ribadire un principio. Quello per cui non è sufficiente che gli impianti risultino invisibili da cittadini o turisti che camminano per strada o che si affacciano da uno dei colli di Roma. Il punto è che i pannelli “non devono essere visibili dal volo dei droni”. Come si legge sempre più spesso nei pareri che negano l’autorizzazione per i pannelli solari anche su palazzine degli anni Sessanta non visibili da beni vincolati. In sostanza: il fotovoltaico non va installato, qualora lo si voglia realizzare non deve risultare visibile neanche da parte dei famosi gabbiani di Roma. E quindi se proprio si è fissati con questa tecnologia, si può optare per i costosissimi coppi fotovoltaici o per pannelli dello stesso colore del tetto. Molto più cari e inefficienti.
Attenzione, il problema non riguarda solo i cittadini della Capitale perché questo approccio alla tutela del paesaggio si sta diffondendo in tante Soprintendenze ed oggi può contare su una modifica normativa che il Governo Meloni ha introdotto nel 2024, con il nuovo Testo Unico Rinnovabili. Perché se nella precedente versione, approvata durante il Governo Draghi, era stato introdotto il criterio della “non visibilità”, come per le Norme Tecniche di Roma, il Ministero dei Beni Culturali ha ottenuto che si tornasse a una valutazione piena da parte dei suoi organi periferici. Eppure non stiamo parlando di beni di pregio – come palazzi e castelli – ma edifici anche recenti che rientrano in ambiti vasti di tutela paesaggistica. Questo è solo uno dei tanti esempi dei conflitti ancora aperti rispetto alla integrazione delle fonti rinnovabili nel paesaggio. Ma se non si affrontano questi nodi istituzionali e politici diventa assai difficile accelerare la transizione energetica, su cui il nostro Paese è impegnato dentro una chiara direzione fissata dall’Unione Europea, e aiutare cittadini e imprese a individuare come fare qualcosa di utile per sé stessi, in termini di riduzione della spesa energetica, per l’ambiente e il clima.